Dati bibliografici
Autore: Angus Fletcher
Tratto da: Allegoria: teoria di un modo simbolico
Editore: Lerici, Milano
Anno: 1968
Pagine: 156-157; 289-290
Primo, il poeta può arbitrariamente rifiutarsi di elaborare, e abbiamo allora un forte senso di "chiusura”, come quando egli interrompe bruscamente una processione di artifici allegorici facendo ricorso a ciò che nella letteratura medievale è chiamato "schema riassuntivo” . Il “threnos” di The Phoenix and the Turtle è un esempio classico dello schema riassuntivo, che conclude una sequenza di passi potenzialmente interminabile. La conclusione arbitraria di un romance per mezzo di un matrimonio 0 di una morte è un altro esempio, meno evidente soltanto perché sembra un artificio più materiale e meno formale. Forse certi poemi come la Divina Commedia e The Faerie Queene mostrano questa chiusura arbitraria più nitidamente di molte altre allegorie, perché non soltanto la mostrano lungo il loro svolgimento, per mezzo di ciò che definirei "segregazione delle parti” (per esempio, la forma di stanza di entrambi i poemi) ma perché entrambi sono concepiti per chiudersi con il finale raggiungimento d'una mèta in un mondo ideale . The Faerie Queene doveva finire letteralmente come era incominciata, con una cerimonia nuziale. Secondo la mia interpretazione del canto finale, la Divina Commedia suggerisce metaforicamente che Dante potrebbe ormai ritornare serenamente alla sua esistenza terrena di azione quotidiana. Il poema termina con una nota di pace trionfante:
E già volgeva il mio desire e il velle,
come una ruota ch'egualmente è mossa,
l’Amor che muove il sole e l'altre stelle.
Ne consegue, dalla natura arbitraria della stessa azione allegorica, che essa continuerà finché sarà presente un agente demonico, poiché, a differenza di Dante, che gradualmente si trasforma, un demone non si stanca mai, né mai muta natura. Se muta natura, ciò avviene solo in conseguenza di un incontro con una forza superiore, inevitabilmente un altro demone, e allora il mutamento non è meno arbitrario di quanto lo sarebbe la continuazione di un’azione monodirezionale . I critici hanno osservato che quando, in un romanzo cavalleresco medievale o in una forma composita come The Faerie Queene, l'eroe consegue una vittoria su di un agente ostile, non è per questo portato a uno stato di quiete; è acclamato e poi ricompensato con l'assegnazione di una nuova missione. Questa è la maniera convenzionale per esprimere una tendenza verso l’estensione all’infinito. Logicamente è quindi del tutto naturale che l'estensione sia infinita, poiché per definizione non esiste il tutto di un'analogia: tutte le analogie sono incomplete e incompletabili, e l’allegoria si limita a registrare questa relazione analogica in forma drammatica o narrativa . L'interesse dell’allegoria risiede forse nello speciale genere di nesso causale che essa stabilisce fra le scene e i diversi caratteri allegorici. In fondo, anche una letteratura sistematica ha bisogno di interessi che non siano esclusivamente logici.
[...] Dante ci presenta il personaggio ’’Dante” che ha molte evidenti identificazioni con l’autore stesso e che, tuttavia, fa l’esperienza dell'Altro Mondo e la commenta, così come egli l'ha compresa. Questo Dante” cambia gradualmente, attraverso un apprendimento continuo, e attraverso una purificazione graduale, durante l’ascesa attraverso il Purgatorio e il Paradiso. Mentre nell’Inferno egli è stato un osservatore di qualcosa che gli era essenzialmente estranea, la vita ultraterrena dei dannati (benché egli stesso si sia macchiato dei peccati d’ira e di superbia), diventa lentamente un partecipante, anziché un semplice osservatore. Questo significa, in effetti, che il commentatore "’Dante’” diventa meno obiettivo via via che ascende; e lo stesso poeta vi fa una precisa allusione, nel Paradiso, quando afferma che la luce delle potenze angeliche si fa più abbagliante di quanto egli possa sopportare. In breve, il commentatore viene lentamente spinto in disparte, mentre il suo posto viene preso dal partecipante mistico. Questo sarebbe già di per sé uno sviluppo sufficientemente complesso per qualificare la Divina Commedia come un caso speciale; ma c’è un'altra complicazione di personae. Il personaggio “Dante” ha due guide, Virgilio e Beatrice, e così il commento ha costantemente un secondo interlocutore. Per essere più esatti, Virgilio e Beatrice sono i commentatori primari, e il loro compagno di viaggio, il personaggio “Dante”, è il commentatore secondario. Infatti essi comprendono più pienamente il significato della visione, e guidano l’analisi dell’intenzione proprio come guidano il personaggio “Dante”. Oltre ad impiegare queste due guide, il poeta ha introdotto nel corso del poema personaggi minori, i quali spiegano chi sono e che cosa fanno. La Divina Commedia mostra il più elaborato controllo retorico di intenzione che sia possibile trovare in un'opera allegorica.
L'impiego che Spenser fa del narratore come personaggio è assai meno complicato. Egli chiama se stesso ”io”, e questa designazione pronominale è appena variata quando egli allude a se stesso sotto il nome pastorale di Colin Clout, nel Libro VI. Tuttavia, come Colin Clout, egli stesso non si presenta mai apertamente in primo piano; il poema chiede: “Chi non conosce Colin Clout?”. Nel caso di Spenser si avverte generalmente che l'io del poema è un agente la cui funzione dipende più dalle necessità del poema stesso che da quanto può avere provato lo stesso Spenser, anche se nel lamento contro Burleigh, nel Proemio al Libro IV, egli si avvicina a quel genere di autorivelazione che Dante consegue continuamente nella Divina Commedia.
L'intenzione di The Faerie Queene non è rivelata molto nitidamente dalla persona del narratore. Può darsi che il fine dell’epopea, nel suo complesso, sia rivelato più chiaramente dall'uso che Spenser fa della similitudine, come ha suggerito Harry Berger , che dai commenti diretti esposti dall'io del poema. A differenza di Dante, Spenser non permette che il commento sommerga l'azione. Spenser è sempre molto parco nelle spiegazioni; è molto meno dottrinale, nelle sue digressioni, di Dante, di Langland e di Bunyan, i quali lasciano cadere la narrazione quando citano fonti della massima autorità.