Dati bibliografici
Autore: Nicola Abbagnano
Tratto da: Dante nella critica. Antologia di passi su Dante e il suo tempo
Editore: La Nuova Italia, Firenze
Anno: 1965
Pagine: 223-225
Nel suo primo significato specifico, la parola indica un modo di interpretare le sacre scritture e di scoprire, al di là delle cose, dei fatti e delle persone, di cui esse trattano, verità permanenti di natura religiosa o morale. La prima importante applicazione del metodo allegorico è il commentario alla Genesi di Filone di Alessandria (sec. I). Filone non esita a contrapporre il senso allegorico al senso letterale e a dichiarare " sciocco " questo ultimo. Ecco un esempio: «"E Dio fini nel settimo giorno le opere che egli creò" (Gen., 2, 2). È assolutamente sciocco credere che il mondo è nato in sei giorni o in generale nel tempo. Perché? Perché ogni tempo è un insieme di giorni e di notti che sono necessariamente prodotti dal movimento del sole che va al di sopra e al di sotto della terra; ma il sole è una parte del cielo sicché si riconosce che il tempo è più recente del mondo» (All. leg., I, 2).
A sua volta Origene che è il primo autore di un grande sistema di filosofia cristiana, distingueva nei testi biblici tre significati: il somatico, Io psichico e lo spirituale, che stanno tra loro come le tre parti dell'uomo: il corpo, l'anima e lo spirito (De princ., IV, 11). In pratica però contrapponeva al significato corporeo o letterale il significato spirituale o allegorico e sacrificava risolutamente il primo al secondo giacché solo il significato allegorico costituisce la verità razionale che le Sacre Scritture contengono (Ibid., IV, 2). In seguito divenne dominante nel medioevo la distinzione di tre significati della Scrittura (quale si trova, per esempio, formulata da Ugo di San Vittore, De scripturis, III): significato letterale, significato allegorico e significato anagogico. Ecco corna Dante espone questa dottrina: «Le scritture si possono intendere e debbonsi sponere massimamente per quattro sensi. L'uno si chiama litterale e questo è quello che non si stende più oltre che la lettera propria; l'altro si chiama allegorico e questo è quello che si nasconde sotto il manto di queste favole ed è una verità ascosa sotto bella menzogna... Il terzo senso si chiama morale e questo è quello che li lettori deono intentamente andare appostando per le scritture a utilità di loro e di loro discenti ... Lo quarto senso si chiama anagogico cioè sovra senso; e quest'è quando spiritualmente si spone una scrittura la quale, ancora sia vera eziandio nel senso litterale, per le cose significative significadelle supreme cose dell'eternale gloria: siccome veder si può in quel canto del Profeta che dice che nell'uscita del popolo di Israele d'Egitto la Giudea è fatta santa e libera. Che avvegna esser vero secondo la lettera sie manifesto, non meno è vero quello che spiritualmente s'intende cioè che nella uscita dell'anima del peccato, essa si è fatta santa e libera in sua potestate» (Conv., II, 1). Ma tra questi sensi, come Dante stesso dice, quello fondamentale, per il teologo come per il poeta, è l'allegorico. E di fatti l'allegoria divenne nel medioevo il modo di intendere la funzione dell'arte e specialmente della poesia. Giovanni di Salisbury diceva di Virgilio che egli «sotto l'imagine delle favole esprime la verità dell'intera filosofia» e Dante (Vita nuova, XXV) definiva cosi il compito del poeta: «vergogna sarebbe a colui che rimasse cose sotto veste di figura o di colore rettorico, e poscia, domandato, non sapesse denudare le sue parole di cotal veste, in guisa che avessero verace intendimento».
Nel mondo moderno l'allegoria ha perduto il suo valore e si è negato che essa possa esprimere la natura o la funzione della poesia. Si è visto in essa l'accostamento di due fatti spirituali diversi, il concetto da un lato, l'imagine dall'altro tra i quali essa stabilirebbe una correlazione convenzionale e arbitraria (Croce); e soprattutto la si è accusata di trascurare o di rendesse impossibile l'autonomia dell'imagine poetica la quale non avrebbe una vita propria perché sarebbe subordinata alle esigenze dello schema concettuale cui dovrebbe dar corpo. Buona parte dell'estetica moderna dichiara perciò l'allegoria fredda, povera e noiosa; e piuttosto insiste, nell'interpretazione della poesia e in generale dell'arte, sul valore del simbolo che può essere vivo ed evocatore perché l'imagine simbolica è autonoma e ha un interesse in se stessa cioè un interesse che non muta dal suo riferimento convenzionale a un concetto o ad una dottrina. Tuttavia, se si tiene conto della potenza e della vitalità di certe opere d'arte di chiara struttura allegorica (per es., della Divina Commedia e di molte pitture medievali e rinascimentali) si deve dire che l'allegoria non necessariamente rende impossibile l'autonomia e la leggerezza dell'imagine estetica e che, in certi casi, anche la corrispondenza puntuale tra l'imagine e il concetto può non riuscire mortificante per la prima e non togliere ad essa la vitalità dell'arte o della poesia.