Dati bibliografici
Autore: Clive Staples Lewis
Tratto da: L'allegoria d'amore. Saggio sulla tradizione medievale
Editore: Einaudi, Torino
Anno: 1969
Pagine: 44-49
Nel capitolo precedente abbiamo seguito lo sviluppo del sentimento dell'amor cortese fino al punto in cui già comincia ad esprimersi per mezzo dell'allegoria. Ci resta ora da considerare indipendentemente la storia del metodo allegorico e, a questo scopo, occorrerà riandare all'antichità classica. In questa nuova ricerca non c'è tuttavia speranza di trovare o possibilità di immaginare le origini, ultime. L’allegoria, per qualche verso, non appartiene all’uomo medievale ma piuttosto all'uomo o, anche, alla mente in generale. È nella natura stessa del pensiero e del linguaggio rappresentare l'immateriale nei termini del percettibile. La bontà e la felicità son sempre state alte come il cielo o risplendenti come il sole; il male e la disperazione, d'altro canto, sono da sempre profondi e oscuri. Il dolore è cupo già in Omero e la virtù sta nel mezzo, per re Alfredo come per Aristotele . Sarebbe gran follia chiedersi come fu che si incontrarono per la prima volta queste inseparabili coppie di realtà percettibili e impercettibili; la questione vera è invece perché mai si separarono, e la risposta non rientra nel campo dello storico . La nostra impresa è meno ambiziosa: ci basterà indagare come qualcosa, da sempre latente nel linguaggio umano, divenga, per di più esplicito nella struttura di interi poemi, e perché poemi di tal fatta giungano a godere di una straordinaria popolarità nel medioevo.
È possibile delimitare ancor di più la nostra sfera d’azione. Questa fondamentale equivalenza fra il materiale e l’immateriale può infatti venire usata dalla mente in due modi; e a noi interessa qui occuparci solamente di uno dei due. Da una parte si può partire dal fatto immateriale, come ad esempio le passioni effettivamente sperimentate, inventando poi dei visibilia atti ad esprimerle. Per rappresentare, ad esempio, un momento di esitazione fra una risposta per le rime e una replica più mite, si può inventare una persona chiamata Ira, con in mano una torcia, e lasciarla contendere con un altro personaggio inventato di nome Patientia. Questa è l'allegoria, e solo di questo dovremo ora occuparci. Esiste un altro modo, però, di usare l'equivalenza, che è quasi l'opposto dell'allegoria e che io chiamerei «sacramentalismo» o simbolismo. Se le nostre passioni immateriali si possono imitare per mezzo di invenzioni materiali, è possibile allora che il nostro mondo visibile sia a sua volta la copia di un mondo invisibile. Quel che il dio Amore e il suo giardino metaforico sono per le reali passioni degli uomini, forse noi stessi e il nostro mondo «reale» siamo per un mondo diverso. Con «sacramentalismo» o simbolismo intendo il tentativo di leggere questo secondo mondo, attraverso la sua imitazione percettibile; di scorgere cioè nella copia l'archetipo. È, in fondo, «la filosofia di Ermete Trismegisto, che questo mondo visibile è solo, un'immagine di quello invisibile, in cui, come in un ritratto, le cose non stanno veracemente ma in forma equivoca, giacché contraffanno la reale sostanza della struttura invisibile» La differenza tra i due metodi non potrebbe esser maggiore. L'allegorista lascia il dato - le sue passioni - per parlare di qualcosa che, per sua ammissione, è meno reale e addirittura una finzione, mentre il simbolista lascia il dato per mettersi alla ricerca di qualcosa di più reale. Per dirla in altre parole, per il simbolista le allegorie siamo noi. Siamo noi le «fredde personificazioni», i cieli che ci sovrastano sono le «vaghe astrazioni», mentre il mondo che noi scambiamo per realtà, è il piatto profilo di quello che veritabilmente esiste altrove in uno spazio ricurvo di inimmaginabili dimensioni.
La distinzione è importante giacché le due cose, per quanto strettamente collegate, hanno storie diverse e diversi valori letterari. Il simbolismo ci arriva dalla Grecia e fa la sua prima comparsa nel pensiero europea con i dialoghi di Platone. Il Sole è l'imitazione di Dio, il tempo è l’immagine mobile dell’eternità, ogni cosa visibile esiste solo in quanto riesce ad imitare la Forma. Né la scarsità di manoscritti né le difficoltà di diffusione delle dottrine greche impedirono al medioevo di assorbire questa teoria. Non è mio compito tracciare qui in dettaglio i modi del suo percorso, e risulterebbe forse ozioso ricercare delle fonti particolari. La diffusione del platonismo o del neoplatonismo (seppure esiste la differenza) di Agostino, dello pseudo-Dionigi, di Macrobio o del divino volgarizzatore Boezio fornirono l’atmosfera stessa in cui si ridestò il novo mondo. Negli scritti di Ugo di San Vittore si vede come lo spirito del simbolismo fosse pienamente assorbito dal pensiero medievale giunto a maturazione. Per Ugo l'elemento materiale nel rituale cristiano non è una mera concessione alla nostra fragilità sensuale e non ha in sé nulla di arbitrario. Al contrario, vi sono tre condizioni necessarie per ogni sacramento, di cui l'assoluto decreto divino occupa solo il secondo posto . La prima è la preesistente similitudo tra l'elemento materiale e la realtà dello spirito. L'acqua, ex naturali qualitate, era l'immagine della grazia dello Spirito Santo, prima ancora che fosse introdotto il sacramento del battesimo. Quod videtur in imagine sacramentum est. In campo letterario, i monumenti principali dell'idea simbolica sono, nel medioevo, i bestiari: e non mi fiderei del critico che ne sottovalutasse la strana poesia o non si accorgesse di come questo genere sia totalmente diverso dall'allegoria. Certo che la poesia del simbolismo non trova le sue massime espressioni nel medioevo, ma piuttosto nell'epoca romantica, il che chiarisce ancora una volta la profonda differenza che lo separa dall'allegoria.
Insisto su questa antitesi perché gli amatori appassionati quanto approssimativi della poesia medievale sono spesso tentati di scordarsela. Abbastanza naturalmente preferiscono il simbolo all'allegoria, e se appena trovano un'allegoria di loro gusto si affannano a pretendere che sia un simbolo. Può sembrare raggelante sentirsi dire che Amore nella Vita nuova è solo una personificazione; si amerebbe piuttosto credere che Dante, a somiglianza di un romantico moderno, sia alla ricerca di una realtà trascendente che le forme del pensiero discorsivo non riescono a contenere. È invece certissimo che Dante non sente nulla del genere e per porre fine, una volta per tutte, a tali interpretazioni errate, sarà meglio affrontare direttamente le parole stesse del poeta. Ne ricaveremo, per sovrappiù, il vantaggio di un primo indizio verso la comprensione della storia dell’allegoria.
«Potrebbe qui dubitare persona... - dice Dante - di ciò che io dico d'Amore come se fosse una cosa per sé, e non solamente sustanzia intelligente, ma sì come fosse sustanzia corporale; la quale cosa, secondo la veritade, è falsa; che, Amore non è per sé sì come sustanzia, ma è uno accidente in sustanzia» . Comunque si voglia difendere la personificazione, è chiaro che Dante non si sogna di pretendere che essa sia qualcosa di più. Com’egli stesso dice un momento dopo, è una «figura o colore rettorico», una tecnica, una tra le armi della ρητοριϰή. In quanto tale va naturalmente difesa facendo appello ai precedenti letterari. Nella poesia latina, egli osserva che «molti accidenti parlano come se fossero sustanzie e uomini», il che sarebbe per Dante una difesa bastevole se non trovasse necessario, dato il formalismo dell’epoca, dimostrare copiosamente che rimare in volgare – dire per rima – in realtà equivale a versificare in latino – dire per versi – e che il rimatore può giustamente rivendicare tutte le licenze già concesse al versificatore. Non deve, comunque, usarne «sanza ragione alcuna, ma con ragione la quale poi sia possibile d’aprire per prosa». Aggiunge poi che «grande vergogna sarebbe a colui che rimasse cose sotto vesta di figura o di colore rettorico, e poscia, domandato, non sapesse denudare le sue parole da cotale veste in guisa che avessero verace intendimento» .
Il lucido pensiero del grande poeta allegorico non dà adito ad equivoci. Non c’è nulla di «mistico» o misterioso nell’allegoria medievale; i poeti san molto chiaramente di cosa stanno parlando e che le figure che ci presentano sono soltanto una finzione. Se il simbolismo è un modo di pensiero, l’allegoria è invece un modo di espressione. Appartiene alla forma più che al contenuto poetico e arriva a noi attraverso l’uso che ne facevano gli antichi. Se Dante è nel giusto (com’è quasi certo) dobbiamo continuare la storia dell’allegoria con le personificazioni della poesia classica latina .
La funzione delle personificazioni è stata trattata da Johnson. «Fama racconta una vicenda e Vittoria svolazza sul capo di un generale o va ad appollaiarsi su di un vessillo, ma né l'una né l'altra sanno far niente di diverso». Questo è verissimo delle personificazioni dei nostri poeti «classici»; ma se nella tarda poesia latina queste figure scoprivano di saper far ben altro che appollaiarsi o svolazzare, era solo perché fin dall'esordio avevano avuto per i romani un significato più profondo che per Gray o per Collins. La religione romana comincia con il culto di cose che per noi sono pure astrazioni – e prosegue erigendo templi in onore di divinità come Fides, Concordia, Mens e Salus . AI contrario, nomi che ci sembrano designare divinità concrete, si trovano in contesti dove noi useremmo soltanto termini astratti - aequo mar te, per veneris res, e simili. Quest'uso non è particolarmente tardo giacché si trova in Ennio, né specialmente poetico, essendo frequente in Cesare. Considerando entrambi questi fatti siamo costretti a concludere che una distinzione per noi fondamentale - la distinzione, voglio dire, fra un'astrazione universale e uno spirito vivente – si presentava soltanto vaga e intermittente alla mente dei romani. Né occorre disperare di poter recuperare per un attimo questo punto di vista, perché basta ricordare la strana posizione, al limite, che un concetto come «Natura» occupa oggi nella mente di persone con molta fantasia e scarsa preparazione filosofica che hanno letto in una buona quantità di libri di scienza volgarizzata. È qualcosa di più che una personificazione e qualcosa di meno che un mito, pronto poi a diventare l’uno o l’altra cosa a seconda che la forza dell’argomento lo richieda. Questa confusione (se di confusione si può parlare) non è la stessa cosa che l’allegoria, anzi è in gran parte scomparsa prima dell’avvento della grande età allegorica. La sua presenza, però, nella personificazioni e divinità degli scrittori augustei renderà possibili quelle variazioni che esse più tardi subiranno, e sarà la condizione – non certo la causa – che permise quella spinta verso l’allegoria che si osserva nella poesia virgiliana.