Dati bibliografici
Autore: Giuseppe Ledda
Tratto da: Dante
Editore: Il Mulino, Bologna
Anno: 2008
Pagine: 65-68
Nel poema dantesco agisce la tendenza della letteratura medievale alla produzione di opere polisemiche, capaci cioè di generare significati molteplici. È la dimensione allegorica del poema, che viene annunciata da una spia lessicale fin dal primo verso. Infatti il poema è costruito come un racconto in prima persona, ma l’”io” di cui si racconta l’avventura oltremondana presente un duplice significato. Nei primi versi si avverte infatti la compresenza del pronome personale di prima persona plurale (nella forma aggettivale): “Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura”. Ciò indica da subito che la storia che verrà raccontata è la storia di un “io” che è anche un “noi”. L’”io” della Commedia avrà una duplice dimensione: da una parte sarà un “io” individuale e storico, dall’altra sarà un “io” ‘trascendentale’, un rappresentante dell’umanità. La duplicità dell’”io” articola dunque la duplicità del senso, secondo la distinzione fra il senso letterale, relativo all’individuo storicamente determinato, e il senso allegorico, pertinente all’io in quanto rappresentante dell’umanità. La vicenda del protagonista dovrà dunque essere letta su un duplice piano: quello della sua individualità e storicità, e quello in cui diviene portatore di significati e valori universali.
Riconoscere la presenza del significato allegorico non comporta diminuire l’importanza di quello letterale. Il senso letterale è posto nel poema in primo piano: tutti i personaggi, a partire dal protagonista, e tutti gli elementi della storia e del paesaggio sono dotati di una forte identità storica, e la veridicità di quanto veduto e udito dal protagonista viene ribadita attraverso molti strumenti retorici, primo fra tutti l’incessante ripetizione del verbo “vidi”, a certificare continuamente l’autenticità di ogni esperienza. E Dante non incontra astratte personificazioni, ma sempre individui storicamente precisi e determinati. L’insistenza con cui Dante ribadisce la veridicità dell’esperienza narrata anche sul piano letterale ha indotto ad accostare l’allegorismo della Commedia all’allegorismo biblico, che Dante definisce nel Convivio “allegoria dei teologi”. Gli eventi raccontati nella Bibbia sono infatti dotati di molteplici significati spirituali, ma sono veri anche nel senso letterale. La fuga degli Ebrei dalla schiavitù d’Egitto di cui parla il salmo In exitu Israel de Aegypto, per citare l’esempio cui ricorre lo stesso Dante, è un fatto storico realmente accaduto, dunque il racconto biblico è vero nel senso letterale. Ma tale evento storici possiede anche significati ulteriori, definiti allegorici o spirituali.
In particolare la dottrina dei quattro sensi della Scrittura distingueva, oltre al senso letterale, altri tre sensi allegorici o spirituali. Tra questi il senso allegorico ‘stretto’ riguarda le verità della fede cristiana rivelate nel Nuovo Testamento: nell’esempio citato la liberazione degli Ebrei dall’Egitto indica allegoricamente la liberazione dell’umanità dal peccato originale attraverso il sacrificio di Cristo. Ma vi può essere anche un significato morale, cioè un insegnamento etico che ogni uomo dovrebbe mettere in pratica nella propria vita: in questo caso, che bisogna cercare di liberarsi dalla schiavitù del peccato per intraprendere un cammino di virtù. Infine, si distingue una possibilità di significazione, chiamata senso anagogico, proiettata nel futuro escatologico, alla fine dei tempi. In questo caso, la liberazione finale dalla schiavitù della natura corruttibile e l’eterna libertà nella gloria che si realizzerà per i beati alla fine dei tempi. Un importante contributo alla comprensione dei sistemi di significazione che agiscono nella Commedia viene anche dalla nozione di figura, che si affianca a quella di allegoria. Nell’esegesi biblica medievale la nozione di figura si applica alla relazione fra Antico e Nuovo Testamento, episodi e personaggi rappresentati nell’Antico Testamento sono storicamente veri, ma sono anche la prefigurazione di ciò che è narrato nel Vangelo. Così Mosè è un personaggio storico reale ma è anche una figura di Cristo, e la sua liberazione degli Ebrei dalla schiavitù d’Egitto è un fatto storico reale ma anche l’annuncio, la profezia, la figura della liberazione dell’umanità dal peccato originale operata da Cristo. Si può dunque definire la figura come una profezia reale. I due poli sono la figura, detta anche tipo, e il compimento, la realizzazione, l’inveramento. Ma anche il compimento delle figure veterotestamentarie, realizzato nella vita, morta e resurrezione di Cristo, può diventare a sua volta figura di quanto si compirà definitivamente alla fine dei tempi.
L’importanza della nozione di figura per gli studi danteschi fu segnalata da Erich Auerbach. In particolare secondo lo studioso si deve riconoscere una relazione di figuralità fra la vita terrena dei personaggi e il compimento del loro destino nella vita oltremondana come è rappresentata nella Commedia. Inoltre i dantisti hanno mostrato come la relazione figurale sia quella che meglio spiega le modalità con le quali Dante riprende le storie raccontate dai poeti classici. Così la discesa di Enea agli Inferi o la conquista del vello d’oro da parte di Giasone vengono intese quali figure delle imprese compiute da Dante. In qualche caso la riscrittura cristiana richiede un rovesciamento del senso: i protagonisti di vicende tragiche come Fetonte o Semele sono figure negative di Dante, la cui vicenda corregge e compie in senso cristiano e dunque felice quella tragica dell’eroe mitologico. È questa la linea più incisiva di lettura oggi proposta anche per il rapporto tra Dante e Ulisse.
La nozione di figura si è rivelata feconda anche nell’applicazione al corpus delle opere di Dante. La tensione sperimentale che porta Dante a cambiare da un’opera all’altra mutando talvolta anche le proprie posizioni su problemi, persone, questioni di ogni tipo può ora essere letta in una prospettiva figurale. Ecco che le esperienze letterarie e i miti delle opere giovanili o le posizioni lì sostenute vengono compiute, integrate inverate, in un qualche caso attraverso una correzione, nella Commedia, dove trovano il loro sensi pieno, autentico, definitivo. Ma anche all’interno del poema è possibile individuare una trama di rapporto figurali. Ciò si lega anche all’ipotesi di diffusione graduale per gruppi di canti: sui canti pubblicati Dante non può più intervenire e l’unico modo per correggere posizioni o giudizi nel frattempo mutati è quello di tornare in modo nuovo sullo stesso argomento nei nuovi canti. Inoltre la figuralità risulta essere uno strumento utile per interpretare i molti parallelismi e le riprese di elementi del paesaggio, personaggi, episodi, situazioni, che agiscono nel poema, anche a notevole distanza. Gli studi recenti hanno arricchito il quadro di comprensione dell’allegorismo dantesco e il lettore deve dunque accostarsi al poema consapevole di questa molteplicità. Il senso lettere ha un’importanza e una forza che deve essere tenuta presente. Tale forza si manifesta, oltre che nell’insistenza con cui si ribadisce la sua veridicità, anche nella precisione storica, nella ricchezza dei particolari, nel senso vivo della realtà. Per questo è necessario prendere sul serio l’intenzione di scrivere un’opera in cui agisce un’allegoria di tipo biblico e, come è stato detto, di “imitare il modo di scrivere di Dio”, raccontando fatti reali, che si caricano però di significati ulteriori. Tuttavia è vero anche che in certe parti le cose viste dal viaggiatore hanno un’identità poco determinata. Talvolta poi vi sono personaggi ed episodi che vengono presentanti come un velo, dietro al quale si cela il significato autentico. Ma vi sono perfino casi in cui sembra di trovarsi al cospetto di personificazioni tipiche della letteratura allegorico-didattica. Si pensi agli elementi del paesaggio del I canto dell’Inferno o ai personaggi della processione del Paradiso terrestre. Ma oltre a queste tipologie di allegoria, agisce anche, e con modalità molteplici, la figuralità. Una tale molteplicità delle strutture polisemiche configura il poema come opera non solo pluristilistica ma anche pluriallegorica.