Dati bibliografici
Autore: Henri de Lubac
Tratto da: Esegesi medievale. I quattro sensi della scrittura
Editore: Jaka Book, Milano
Volume: IV
Anno: 2006
Pagine: 395-400
Nel riservare uno spazio a Dante alla fine di questo paragrafo, non supereremo né i confini dei regni cristiani né, affatto quelli della teologia. Theologus Dantes. Nella sua teologia come nella sua poesia, il quadruplice senso ha la sua parte.
Il De Monarchia (ca. 1312) tocca la sacra Scrittura solo incidentalmente, ma per toccare nello stesso tempo il senso spirituale. Dante qui rivendica il principio dell'autorità suprema della Scrittura contro le esagerazioni dei Decretalisti moderni. Non è però, come succederà più tardi, per opporre Bibbia e Tradizione, e ricordare Lutero qui sarebbe fuori luogo , perché Dante non solo riconosce alle Decretali una certa «auctoritas apostolica» che le rende venerabili, benché subordinate alla Parola divina, ma esalta, in termini quasi esagerati, l'autorità dei Padri della Chiesa, come quegli autori antichi che parlavano senza molta precisione della loro «ispirazione»; non si potrebbe negare, dice, che Cristo stesso abbia assistito ai grandi concili, o che gli scritti di sant' Agostino e degli altri principali Dottori siano stati composti sotto l'azione dello Spirito santo'". Ciò che ci interessa direttamente è che questo appello alla Tradizione per spiegare la Scrittura era in connessione naturale con il riconoscimento di un «senso mistico». L'autore del De Monarchia menziona questo senso e cita a suo riguardo una pagina della Città di Dio, che mette in guardia contro un duplice scoglio: «Circa sensum mysticum, dupliciter errare contingit: aut quaerendo ipsum ubi non est, aut accipiendo aliter quam accipi debeat». Ma i due testi più importanti ci sono forniti, uno dal Convivio, l'altro dalla Lettera a Cangrande.
Se il Convivio prende dalla teologia il tema o il quadro del quadruplice senso, è chiaro che è per farne una applicazione letterale, che sarà una trasposizione. Dante stesso si spiega piuttosto chiaramente:
Come dice il Filosofo (Aristotele) nel primo libro della Fisica, la natura vuole che ordinatamente si proceda... Io adunque, sopra ciascuna canzone ragionerò prima la litterale sentenza, e appresso di quella ragionerò la sua allegoria... E a ciò dare a intendere, si vuol sapere che le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi. L'uno si chiama litterale e questo è quello che non si stende più oltre che la lettera de le parole fittizie, sì come sono le favole de li poeti. L'altro si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto 'l manto di queste favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna: sì come quando dice Ovidio che Orfeo facea con la cetera mansuete le fiere..., che vuol dire che lo savio uomo con lo strumento de la sua voce faria mansuescere e umiliare li crudeli cuori... Veramente li teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti; ma però che la mia intenzione è qui lo modo che li poeti seguitare, prendo lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato. Lo terzo senso si chiama morale, e questo è quello che li lettori deono intentamente andare appostando per le scritture... Il quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si spone una scrittura, la quale ancora sia vera eziandio nel senso litterale, per le cose significate significa de le supeme cose de l'etternal gloria, sì come vedere si può in quello canto del Profeta che dice che, ne l'uscita del popolo d'Israel d'Egitto, Giudea è fatta santa e libera (Sal. 113). Ché avvenga essere vero secondo la lettera sia manifesto, non meno è vero quello che spiritualmente si intende, cioè che ne l'uscita de l'anima dal peccato, essa sia fatta santa e libera ...
Il Convivio, rimasto incompiuto, data dal 1304 al 1307 circa. Non vi si cercheranno quindi indicazioni precise su ciò che Dante ha voluto realizzare più tardi nella Commedia. Questa semplice osservazione basterebbe per escludere l'interpretazione di René Guénon, per il quale i quattro sensi, di cui il Convivio formula la teoria e la Commedia farebbe l'applicazione, sarebbero i seguenti: senso letterale del racconto poetico - senso filosofico, o piuttosto filosofico-teologico - senso politico e sociale - senso propriamente iruzianco, metafisico nella sua essenza . Si noterà piuttosto, con André Pézard, il «tono quasi religioso» che Dante adotta in questo passo . Se è evidente che egli vuol fare, come si diceva, di un tema teologico un'applicazione letteraria - la definizione della lettera come «parole fittizie» lo dimostra abbastanza chiaramente, fin dalle prime righe-, si potrebbe dire altrettanto bene che, di una teoria letteraria, vuol fare una applicazione in qualche modo teologica. La sua opera ne deve assumere un tono di gravità, perché in tutto questo si gioca proprio la sua opera, il Convivio, come subito ripete: «Sopra ciascuna canzone ragionerò prima la litterale sentenza, e appresso di quella ragionerò la sua allegoria...; e talvolta de li altri sensi toccherò incidentalmente...». Per uno scopo preciso egli ha scelto il termine indeterminato «scritture», come l'uso gli permetteva, termine che può designare sia i Libri santi, sia uno scritto, sia un'opera qualunque. Ancora per uno scopo preciso unisce le due allegorie, la teologica e la poetica, pur distinguendole molto bene: «i teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti». Del resto deve ricorrere alla teologia per portare fino al suo termine il quadruplice senso. Conosce evidentemente testi dottrinali come quelli di san Tommaso, benché alla fine si confonda un po', mescolando, come altri, la tropologia con l'anagogia, che doveva usare poco nella spiegazione dei propri versi. Subito prosegue, mantenendosi assolutamente nella linea tradizionale e nel tono scolastico:
In dimostrar questo, sempre lo litterale dee andare innanzi, sì come quello ne la cui sentenza gli altri sono inchiusi, e sanza lo quale sarebbe impossibile ed inrazionale intendere a li altri, e massimamente a lo allegorico. È impossibile, però che in ciascuna cosa che ha dentro e di fuori, è impossibile venire al dentro se prima non si viene al di fuori: onde, con ciò sia cosa che ne le scritture la litterale sentenza sia sempre lo di fuori, impossibile è venire a l'altre, massimamente a l'allegorica, sanza prima venire a la litterale. Ancora, è impossibile procedere a la forma, sanza prima essere disposto lo subietto sopra che la forma dee stare. È impossibile procedere, se prima non è fatto lo fondamento, sì come nella casa e sì come ne lo studiare .
È invece proprio alla fine della sua vita, verso il 1319-1320, che Dante redige la lettera a Cangrande, per dedicargli il Paradiso . II senso di quest'opera, gli dice, non è semplice; lo si può dire anche polisemos, cioè a più sensi; perché altro è il senso che si deduce dalla lettera, altro quello che si deduce dalle cose significate dalla lettera; il primo è detto letterale, e il secondo allegorico o morale o anagogico. Per farsi comprendere meglio, ricorre ad un esempio preso nella Bibbia, e ciò lo induce ad esporre la teoria completa del quadruplice senso:
Questi diversi modi di trattare un argomento si possono esemplificare, per maggior chiarezza con i versetti: «In exitu Israel de Aegypto, domus Jacob de populo barbaro, facta est Judea sanctificatio ejus, Israel potestas ejus» (Sal. 113, 1). Infatti se guardiamo alla sola lettera del testo, il significato è che i figli di Israele uscirono d'Egitto, al tempo di Mosè; se guardiamo all'allegoria, il significato è che noi siamo stati redenti da Cristo; se guardiamo al significato morale, il senso è che l'anima passa dalle tenebre e dalla infelicità del peccato allo stato di grazia; se guardiamo al significato anagogico, il senso è che l'anima santificata esce dalla schiavitù della presente corruzione terrena alla libertà dell'eterna gloria. E benché questi significati mistici siano definiti con diversi nomi, generalmente si possono tutti definire allegorici, in quanto si differenziano dal significato letterale ossia storico. Infatti la parola «allegoria» deriva dal greco alleon che è reso in latino con alienum ossia «diverso».
Qui come nel Convivio, Dante mostra una conoscenza abbastanza precisa della dottrina teologica. È riportato lo stesso esempio tratto dal salmo. È commentato in modo più completo e più esatto, perché Dante non inserisce, come nel suo primo testo, l'allegoria biblica e quella della poesia profana. Tuttavia, anche qui egli tenta di spiegare la propria opera, non la Bibbia, pur cercando di beneficiare di un accostamento così augusto. Accostamento tanto più legittimo ai suoi occhi in quanto, come dice nella stessa lettera a Cangrande, nello scrivere la Commedia, ha voluto allontanare gli uomini «dallo stato di miseria e condurli a uno stato di felicità». Quindi prosegue:
Ciò premesso è chiaro che il soggetto di un'opera, sottoposto a due diversi significati, sarà duplice. E perciò si dovrà esaminare il soggetto della presente opera se esso si prende alla lettera e poi se s'interpreta allegoricamente. È dunque il soggetto di tutta l'opera, se si prende alla lettera, lo stato delle anime dopo la morte inteso in generale; su questo soggetto e intorno ad esso si svolge tutta l'opera. Ma se si considera l'opera sul piano allegorico, il soggetto è l'uomo in quanto, per i meriti e demeriti acquisiti con libero arbitrio, ha conseguito premi e punizioni da parte della giustizia divina .
L'applicazione non sembra molto chiara. Difatti, per quanto il piano ne sia teologico, un poema umano non è la Scrittura. Questo si era già verificato, e più ancora, per il Convivio e aveva obbligato Dante a elaborare, con la teoria dell'allegoria biblica, quella dell'allegoria profana. Un riferimento ad Ovidio sarebbe stato fuori luogo per spiegare il simbolismo del Paradiso, che pretende proprio di fondarsi sulla lettera stessa del dogma cristiano. Qui non si tratta più, come a proposito del Convivio, di «bella menzogna». Dante non ha voluto soltanto farcire il suo poema con qualche «enigma», con «sensi nascosti» o «presagi di verità» , tutte cose che non ci devono indurre a pensare a qualche esoterismo. Egli ha voluto applicarvi «il principio fondamentale degli interpreti della Bibbia: nella Divina Commedia, come nella Scrittura, anche le cose significano». Tuttavia gli sarebbe stato difficile fare veramente «un poema a quattro dimensioni» e mostrarvi l'analogo perfetto dei quattro sensi biblici. Era quindi «un po' imbarazzato», come p. Mandonnet ha ben constatato. In ogni caso, la leggera mancanza di coerenza, rilevabile in entrambi i suoi testi, ci sembra che provenga unicamente dal desiderio di assimilare la sua opera, per quanto era possibile, riguardo all'intenzione simbolica, alla Bibbia stessa. In ogni caso, tra il Convivio e la Lettera a Cangrande non si scorge una divergenza tale da poter costituire un argomento contro l'autenticità di quest'ultima .
L'impresa di Dante non aveva niente di inaudito. Come un poema cristiano, tutto intriso di sostanza dogmatica e la cui intenzione simbolica era affermata dal suo autore, non poteva essere trattato secondo le leggi di un'esegesi, che già da molto tempo si era tentato di applicare, bene o male, agli scritti pagani per cristianizzarli? Boccaccio, esegeta di Dante, aveva una ragione in più per rinnovare il tentativo. Così, dopo aver spiegato nella Vita di Dante che «la poesia è la teologia stessa, oppure per parlare più giustamente, la cosa che le assomiglia maggiormente», lo si vede cercare nelle favole un triplice senso: letterale o storico, allegorico o morale, anagogico o cristiano , Non sarà l'ultimo. Nella sua Lettera a Giovanni Dominici per giustificare lo studio dei poeti antichi (1402), Coluccio Salutati farà lo stesso accostamento della poesia alla sacra Scrittura, ma anche, in senso inverso, della sacra Scrittura alla poesia:
Non vedi che le Lettere divine, e tutt'intero il corpo della sacra Scrittura, a ben considerarla, non differisce in niente da quella maniera di parlare che io ho definito poesia? Infatti, quando noi parliamo di Dio o delle creature incorporee, non c'è niente di vero secondo la lettera, ma anche, sotto la falsità della scorza, tutto è vero... Se tu proscrivi la poesia, tu condanni dunque assolutamente le Lettere sacre ...
In un senso come nell'altro, l'assimilazione, frequente nell'umanesimo italiano, non sarà senza pericoli: autorizzando una introduzione massiccia della mitologia nel discorso cristiano, essa contribuirà a far dimenticare o per lo meno ad attenuare il carattere storico della rivelazione. Quanto ai commentatori di Dante, rimarranno attenti alle indicazioni del poeta e all'esempio del Boccaccio. Il fiorentino Cristoforo Landino, prendendo pienamente sul serio la Lettera a Cangrande, annunzierà la sua intenzione di commentare la Commedia mettendovi in luce «non solo il senso naturale, ma anche l'allegorico, il tropologico e l'anagogico» .