Dati bibliografici
Autore: Nicolò Mineo
Tratto da: Dante
Editore: Laterza, Roma-Bari
Anno: 1970
Pagine: 201-204
È preliminare a una lettura del poema la discussione del rapporto tra allegoria e poesia.
La moderna esclusione della poeticità dell’allegoria risale alla distinzione del Goethe tra rappresentazione allegorica e simbolica, fondata sulle distinzioni primarie (tipiche della filosofia «classica» tedesca) tra «idea» e «concetto», «ragione» e «intelletto». Si ha il simbolo, secondo lui, quando si converte in immagine l’«idea», mentre si ha l’allegoria, quando diviene immagine il «concetto». Nel simbolo l’idea traspare ma non è esaurita e si ha una espressione polivalente, nell’allegoria il concetto è del tutto assorbito e l’espressione è monovalente. In altri termini, «è una differenza di gran momento — sono parole del Goethe — che il poeta cerchi il particolare nell’universale, o veda l’universale nel particolare. Dalla prima maniera deriva l’allegoria, dove il particolare vale solo da esempio dell’universale; ma nella seconda consiste propriamente la natura della poesia: esprime un particolare senza pensare all’universale o rinviare ad esso. Chi afferra al vivo questo particolare, ottiene in pari tempo l’universale e non se ne accorge o se ne accorge solo tardi» (Maximen und Reflexionen, III, 1113, 279). Tutto ciò si può tradurre nei seguenti assiomi: la poesia nasce, allorché una particolare immagine è capace di esprimere un universale; l’allegoria non è poesia, perché unidimensionale, perché non ha spessore espressivo, polisemia (nel senso stilistico-estetico del termine).
Indicazioni del medesimo genere si ricavano dall’estetica hegeliana. L’allegoria, secondo questa, è una delle forme dell’arte simbolica e segna la seconda fase della dissoluzione del simbolismo stesso, allorché il significato (universale) diviene, nel rapporto con la forma che lo esprime, elemento dominante e la asservisce. Il compito dell’allegoria, secondo Hegel, consiste «nel personificare, e quindi nel concepire come soggetto, astratte condizioni 0 qualità universali tratte sia dal mondo umano che da quello naturale: religione, amore, giustizia, discordia, gloria, guerra, pace, primavera, estate, autunno, inverno, morte, fama, ecc.». La non poeticità dell’allegoria deriva, tra l’altro, dall’impossibilità che l’universale si faccia veramente «soggetto», dato che la soggettività, perché possa esprimere l’astratto, deve svuotarsi di ogni «individualità determinata» e finisce quindi con l’essere un segno, in sé senza significato (Estetica, parte II, sez. I, cap. III, B, 2).
Il Croce per conto suo esclude perentoriamente e semplicisticamente la possibilità che l’allegoria sia poetica o che la poesia sia allegorica. A suo modo di vedere, infatti, un pensiero, che si voglia presentare come secondo senso di una espressione letterale, o viene attribuito a posteriori a una composizione poetica già esistente o viene tradotto in un nuovo e strumentale sistema di immagini. Nel primo caso, il pensiero rimane estraneo alla poesia stessa e questa rimane «intatta»; nel secondo, il sistema di immagini non sarà poetico. L'esistenza dell’allegoria fa sì che appunto l’espressione poetica finisca di essere immagine, cioè poesia, e diventi «segno». Anche per il De Sanctis il figurante in un contesto autonoma, allegorico è semplice «personificazione o segno delle idee», non ha quindi vita cioè realtà poetica.
Nella direzione hegeliana si muove, fondamentalmente, il pensiero del Lukacs, che indica nel goethiano convertirsi del concetto in immagine non un processo dall’astratto del pensiero verso il concreto del fenomeno, ma al contrario, ulteriore trascendimento del fenomeno. Si ha pertanto una più radicale «cesura tra il rispecchiamento sensibile-umano della realtà e quello concettuale- disantropomorfizzante». Ben diversamente, nel processo dall'idea all’immagine si ha il trasferimento nella rappresentazione del contenuto del fenomeno e di tutta la «ricchezza di rapporti e di determinazioni» che ne costituiscono la valenza «ideale». Si tratta quindi di una delle forme dell’arte «realistica». Secondo l’ulteriore e personale sviluppo del discorso lukacsiano, il limite estetico dell’allegoria si coglie, tra l’altro, nel tipo di rapporto che si stabilisce tra immagine specifica («singolarità individuale») e contenuto astratto («universalità astratta»). I due elementi formano una «combinazione astratta», poiché il figurato, in quanto trascendente, non è necessariamente implicito nel figurante. L’«individualità personale», nel caso dell’allegoria, non raggiunge, per mediazione estetica, la «tipicità esemplare» o «particolarità» (Asthetik, I, Die Eigenart des Asthetischen, 2. Halttand, cap. 16, sez 2).
L’allegoria, come è pensata da Goethe, Hegel, Lukacs, quando non è una pura e semplice personificazione, consiste quindi nell’attribuzione arbitraria di un determinato significato, astratto e trascendente, a oggetti concreti del mondo naturale, sicché a rigore la loro teorizzazione non dovrebbe essere adoperata per giudicare la polisemia della Commedia. Vogliamo tuttavia ugualmente (come è stato fatto) partire da essa. La non poeticità dell’allegoria dunque, secondo l’impostazione oggi dominante, deriva fondamentalmente dalla natura del rapporto tra figurante e figurato, che è tale, e perché arbitrario e perché unidimensionale, da vanificare l’individualità di uno dei termini, per lo più del figurante.
La distinzione tra allegoria (non poesia) e simbolo (poesia) ha avuto ampia fortuna recentemente tra gli studiosi (Huizinga, Bezzola, Roncaglia, Bosco, Pagliaro) ed è stata applicata alla lettera della Commedia. Si tende a limitare al minimo in questa il numero delle allegorie e ad iscrivere nel novero dei simboli la maggior parte dei luoghi di evidente polisemia o, più opportunamente, si tende a ricondurre alla natura del simbolo l'insieme del poema e a riconoscere come allegorici solo certi luoghi (Pagliaro). Ma, una volta riconosciuta l’allegoricità del motivo del viaggio, che è quello strutturalmente dominante nella Commedia, il problema appare ben più complesso e va posto e risolto con diversa metodologia.
Nella Commedia i personaggi, come si è detto, hanno tutti una loro individuale realtà, sicché non appaiono come enti allegorici bensì come exempla di determinati modi di intendere e condurre la esistenza terrena o ultraterrena. Tra questi, come abbiamo visto a suo luogo, si distinguono Dante personaggio e le guide, che posseggono tutte le caratteristiche del simbolo e guadagnano pertanto la possibilità di esser ritenuti poetici. Allegorico invece è il motivo del viaggio ultramondano. Ma la relazione tra questo (figurante) e il viaggio interiore e terreno di Dante (figurato) non è arbitraria, perché tra essi esiste una evidente analogia: entrambi hanno un processo di svolgimento verso una meta. Questa addirittura, cioè l'ascesa a Dio come esperienza conoscitiva e affettiva, è identica. A chi inoltre conosca le caratteristiche fondamentali della mentalità medievale, la connessione tra figurante e figurato della Commedia, cioè tra viaggio oltremondano e itinerario interiore, appare ovvia e spontanea, come poteva apparire a un lettore contemporaneo. Per quest’aspetto, l’allegoria del poema è della natura del simbolo.
Altrettanto evidente è però che il senso riposto assorbe e annulla quello letterale. Abbiamo visto infatti che gli elementi della rappresentazione riguardanti direttamente o indirettamente il viaggio non sono pensabili come significanti un'esperienza reale. Essi significano soltanto l’esperienza interiore, il senso riposto. Sono quindi di natura nettamente allegorica. Avrebbero infatti quella unidimensionalità, che, non possedendo la pregnanza della «particolarità» (usiamo il termine lukacsiano), produce l’impoetico.
La lettera quindi del tema del viaggio, benché non arbitraria quanto a ideazione, non possiede autonomia di valore semantico, poiché è distrutta dal senso riposto. Ciò vuol dire che il significato della lettera non è in realtà che significante di un significato, per così dire, di secondo grado. Questo però non basta ad escludere la poeticità del momento allegorico della Commedia. Se la lettera costituisce la mediazione ad un significato di secondo grado e quindi non ha una sua vera autonomia ed univocità semantica, la poeticità della Commedia deve essere cercata e vagliata nel contesto dell’opera quale è in realtà, un contesto cioè fatto di significati letterali a loro volta significanti. Insomma, è il secondo senso, che nella forma in cui è espresso deve poter porsi come espressione poetica, come tipicità caratteristica o «particolarità» appunto e la poeticità deve essere realizzata proprio dal particolare tipo di linguaggio risultante da un siffatto procedimento allegorico: un linguaggio metaforico (o parabolico, se si vuol usare l’espressione tomistica).
La metafora infatti consiste nell’uso di un segno designante un certo oggetto («veicolo») al posto di un altro designante un altro oggetto («tenore»). I due segni devono tuttavia possedere qualche comune elemento mediante di somiglianza. Il significato reale però che il significato metaforico deve indicare è quello del significante sostituito, non quello del significante sostituente, anche se il secondo contribuisce ad arricchire connotativamente il primo di determinazioni e attribuiti. La metafora è quindi un «rapporto di somiglianza-dissomiglianza», vale a dire un «complesso logico-intuitivo» (Della Volpe, Critica del gusto, Milano 1964, pp. 73 Sgg.).
La relazione esistente nella Commedia tra lettera e allegoria è quella stessa che collega veicolo e tenore nella metafora, una relazione appunto che è fatta di somiglianza (analogia tra viaggio oltremondano e itinerario interiore), ma anche di accostamento di segni appartenenti a campi diversi (accostamento di due «specie», direbbe Aristotele per la Commedia). Come nella metafora, il significante improprio (o letterale), mentre va soprattutto inteso nel suo valore traslato (allegoria), costringe tuttavia a scorgere nello stesso significato (allegoria) prospettive e rapporti, da cui esce più riccamente connotato. Infine, come la metafora non è di per sé poetica, così non lo è di per sé il procedimento allegorico del poema; solo che, così come la metafora, può esserlo, ove raggiunga la condizione estetica della «particolarità». Non ha rilievo poi, dal punto di vista estetico, che il concetto preceda o meno l’immagine, se ci fondiamo su una concezione dell’arte come procedimento.