Dati bibliografici
Autore: Giovanni Busnelli
Tratto da: Bullettino della Società Dantesca Italiana
Numero: XX
Anno: 1913
Pagine: 23-25
Allo studio sul peccato degli abitatori del nobile Castello seguono cinque altri sulla scena dell'ingresso di Dante nella città di Dite.
Per città di Dita il F. intende solo il sesto cerchio: sentenza assai poso plausibile, come l'altra cha «l'idea del nome di città di Dite venne certamente a Dante più assai che da Ovidio e da Virgilio, dalla civitas Babylonis di Sant'Agostino, che è l'antitesi della civitas Dei». Ma più di questo, richiama l’attenzione nostra il problema delle Furie è di Medusa. Pel F., le tre Furie simboleggiano le tre concupiscenze: Aletto, la concupiscenza della carne; Megera, la concupiscenza degli occhi, ch'egli riduce all'invidia; Tesifone, la superbia. E questa sua interpretazione allegorica agli la crede non «facilmente contestabile» e la difende contro le critiche mossegli da A. Farabino .
Anzitutto il principio donde parte, che cioè i peccati dell'Inferno dantesco sieno distinti secondo le cause, ignoranza, passione e malizia, ha men sicuro fondamento che non il principio delle tre male disposizioni, esplicitamente affermate da Dante. Inoltre il Filomusi, mentre riduce tutte le cause di peccato alle passioni disordinate dell'appetito concupiscibile, a cui con S, Tommnao connette la concupiscenza della carne e degli occhi, e a quelle dell’irascibile, a cui va ridotta la superbia della vita ; dimentica qui lo due altre cause, l'ignoranza e la malizia, da lui prima additate, che non sono contenute, come può ognuno vedere presso l'Aquinate, nelle passioni, cause generali di peccato solo ex parte appetitus sensitivi, laddove l'ignoranza ne è cansa ex parta rationis, e la malizia ex parte voluntatis . Come dunque le tre Furio possono essere il simbolo di tutto le cause di peccato, se simboleggiano le tre concupiscenze, a che si possono ridurre solo «omnes passiones quae sunt causa peccati»? E perché con quel simbolo in testa di peccati di passione, debbono star per l'appunto sulla soglia della città della malizia, sentinelle di difesa, in luogo non proprio? In terzo luogo, lasciamo pure che qui si avrebbe un duplicato delle tre fiere; ma non è forse cosa nuova il tirare la concupiscenza degli occhi a equivalere all'invidia, mentre la sentenza comune de' Padri è de' Dottori vi vede dentro o la curiosità ovvero la cupidigia, cioè l'avarizia? In quarto luogo non quadra il paragone fra le Furie è la femmina balba o incantatrice del Purgatorio: certo ai dolci allettamenti di questa mal rispondono gli atti violenti e le minacce di quelle; onda il simbolo vuol esser tutt'altro.
Le Furie invocano Medusa contro Dante; ma che cosa simboleggia il Gorgone? «L'obduratio, nel senso di subtractio gratiae; è più precisamente, dell'una delle due causa di essa, ille qui opponit obstaculum gratiae; ché l'altra causa... è Dio, il quale cujus vult miseretur et quem vult indurat», Questo ‘vero simbolo’ di Medusa, l'aveva intuito anche il P. Berthier; ma l'ha poi, nell'accordarsi con gli altri interpreti, sciupato; e il F. lo critica perché «ad ogni modo... la dottrina del P. Berthier non s'accorda con quella di S. Tommaso».
Ma vediamo, senza pregiudizio del P. Berthier, se il F. vi si accordi meglio. Medusa per lui sarebbe l'obduratio, come procedente da ille qui opponit obustaculum gratiae, e però è causa meritoria della subtractio gratiae, mentre n’è cansa efficiente Dio, che, «proprio judicio lumen gratiae non immittit illis, in quibus obstaculum invenit» . Orbene, intesa così, l'obduratio altro non è che il motus animi humani inhaerentis malo et aversi a divino lumine; cioè proprio una della due cose importate nell'obduratio stessa, ma distinta dalla subtractio gratiae, come causa dall'effetto, ossia colpa escludente ln grazia. Perciò il F. si stacca dal linguaggio di S. Tommaso, che non restringe il senso di obduratio all'una sola delle due cause; ma afferma che le importa tutte e due, l'uomo e Dio. Un altro difetto di espressione è quello di dire che l'obduratio nel senso di subtractio gratiae, significa colui che pone ostacolo alla gratia. Obduratio nel senso di subtractio gratiae significa non l'atto del libero arbitrio che si ostina e indura, ma l'altra causa, cioè Dio che indura col sottrarre la grazia. Ma para il F. voglia intendere in modo nuovo la subtractio gratide, cioè che l'uomo induri sé stesso in quante subtrahit se gratiae. ln ogni malo, al concetto del F., oltre la chiarezza del contenuto, fa difetto la proprietà del linguaggio teologico, contro cui certo non pecca il P. Berthier.
Non perciò è da stimare inaccettabile l'interpretazione che Medusa figuri l'induramento del cuore e l'accecamento dell'intelletto. Ma poiché, secondo il F., «Medusa altro non è che un'emanazione delle passioni», in luogo delle passioni ossia delle tre concupiscenze converrebbe porre le cause immediate dell'obduratio, che, stando all'Aquinate, sarebbero tre altre: l'impeto della passione, l'inclinazione dell'abito contratto e il falso giudizio della ragione nell'elezione particolare .
In altre parole è con un concetto più comune si può dire che Medusa rappresenta l'impenitenza finale, che è tutt'uno con l'obduratio e l'obcaecatio; e lo tre Furie i prerequisiti che la determinano, contrari alle tre virtù teologali: queste, ancelle dalla beatitudine, a cui mena Beatrice o Maria; quelle, meschine della dannazione, di Proserpina, la regina dell'eterno pianto. Le quali meschine potrebbero simboleggiare nel genere di falso giudizio della ragione, l'infedeltà (ceraste, di color grigiastro contro il bianco della fede) con Megera; nel genere dell'inclinazione dell'abito, l'odio (di sangue tinte contro il rosso della carità) con Tesifone; nel genere dell'impeto della passione, la disperazione (idre verdissime contro il verde della speranza) con Aletto. Siffatti simboli chi li credesse accettabili, meglio si accorderebbero, se mai, col fondamento dall'impenitenza finale, causa immediata di dannazione.
Contro la opposizione della tre Furie e de' demoni alle porte di Dite scende il Messo celeste. Questo pel F. altri non sarebbe se non Aronne, e noi lasciamo correre, benché un poco meravigliati.