Dati bibliografici
Autore: Nicola Zingarelli
Tratto da: Bullettino della Società Dantesca Italiana
Numero: XI
Anno: 1904
Pagine: 285-286
[…] Poco si può dire della lettura di A. Novara sul canto IX perché egli piuttosto che esporre l’arte e il pensiero di Dante in esso ne ha tratto occasioni a considerazioni generiche. Egli è persuaso che l’Alighieri fosse spinto da ragioni personali ad inveire contro l’Argenti, e però giustifica a lungo questo odio privato e lo difende: naturalmente tutte le testimonianze egli accoglie, comprese le novelle del Sacchetti. Seguita coll’accennare alla tristizia dell’epoca in cui visse il poeta, e vi trova un’altra ragione di sdegno; poi discute il quesito perché Dante abbia rappresentati grandi e ammirevoli alcuni peccatori, ed altri invece abbietti e turpi, quando l'ortodossia avrebbe dovuto avvolgerli nello stesso biasimo, e ne trova anche sufficienti spiegazioni. Quanto all’opposizione dei diavoli alla porta di Dite, accarezza l’ipotesi strana che raffiguri la cacciata del poeta da Firenze, gl’impedimenti a ritornarvi, e che il Messo celeste significhi perciò l'intervento sperato di una provvidenziale potenza. Poi apppressandosi agli orrori che si troveranno entro la città roggia, rammenta la rappresentazione dell'inferno fatta dal Milton, per concludere a vantaggio di Dante che tanta poesia ha saputo trarre dall’orrido mediante la precisione del disegno. Qualche buona osservazione si coglie qua e là, ma del canto rimane una superficiale notizia.
Mi pare che FI. Pellegrini sia riuscito anche meglio nel commento del c. IX, per le proporzioni e la correttezza: si direbbe che abbia fatto un gran progresso. Spiegazioni nuove, vedute originali non vi sono, ma ormai in un campo così mietuto non è facile trovarne: basta che con la guida dei migliori studii si faccia un'esposizione garbata, persuasiva, lucida, accessibile ad un pubblico grande. Non so perché il Pellegr. persista a ritener probabile che l'invenzione della discesa di Virgilio per gli scongiuri di Eresitone si colleghi alla leggenda della sua magia, poiché egli non oppone nulla a quello che il D’Ovidio avea così persuasivamente dimostrato in Studii sulla Divina Commedia, 98 sg. Quanto alle furie e a Medusa (per distrazione certo il Pellegr. ha attribuito a Sofocle le Eumenidi di Eschilo), senza addentrarsi in lunghe dispute, sì risolve per una spiegazione delle meglio accreditate: quelle sarebbero i ricordi mordenti della vita peccaminosa, questa il dubbio petrificante: ma non è esatto che Virgilio sveli al dolce alunno l’orridezza delle prime; e poiché non si fa cenno di altre spiegazioni ragionevoli, non so perché sia rilevata quella politica del Federzoni, che mi pare la meno meritevole. Buona l’analisi della venuta del Messo celeste; sen- nonché si potrebbe dubitare se nella descrizione dantesca del turbine vi sieno due momenti, parendomi che esso anche quando va superbo e fa fuggire le fiere e i pastori abbia la stessa potenza e faccia le stesse cose accennate col percuoter della selva e lo schiantar dei rami; e non so perché sia necessario, che pastori e fiere stieno nei pressi del bosco, quando sarebbero stati benissimo dentro. Giustamente è rifiutata la identificazione del Messo con Mercurio ed Enea, e anche quella con Gesù proposta dal Federzoni; ma mi pare che non abbia in tatto ragione neanche F. Cipolla quando vuol vedere sin la figura, oltre al concetto, dell'angelo in un aspetto dove Dante non ha posto deliberatamente nulla di angelico, fuori della potenza divina: quanto all’affanno, al respirare di questo individuo, mi pare che vi si voglia fondar troppo, se anche esso vi sia realmente. Questa è un’ermeneutica che distrugge la poesia. Crede il Pellegr. che Dante abbia visitato Arli per il preciso accenno che vi fa; ma gli sfugge che al Cipolla avea già risposto P. Meyer in Romania, XXIV, 478 che appunto da quell’accenno risultava non esservi Dante mai stato. La gita in Provenza è tanto possi» bile quanto quella a Pola, di cui e del sepolcreto il Pellegr. parla anche molto acconciamente e italianamente.