Dati bibliografici
Autore: Niccolò Tommaseo
Tratto da: Commento alla Commedia. Tomo I
Editore: Salerno, Roma
Anno: 2004
Pagine: 255-264
Dante minacciato dalle Furie; Virgilio lo salva: un Inviato del cielo apre loro le porte di Dite. Entrano, e veggono tombe infocate da fiamme sparse tra l'una e l’altra, dove penano gli eresiarchi e gli increduli.
Stige è chiamato in Virgilio «amnis severus Eumenidum»: però Dante le colloca in prospetto del fiume. Nell’Angelo è imitato un po’ Stazio là dove Mercurio scende a [cercare] l’ombra di Laio. Si notino le terzine 1, 2, 5, 13, 14, 17, 20, 22; 24 alla 30; 32, 34, 37, 38, 40, 41, 44.
1. (L) Quel...: il pallore dipintomi in viso da paura fece a lui ritenere il pallor suo per non accrescere la paura mia. — in volta: dietro. — suo: color. (SL) volta: Liv. [: «Sconfiggendo e mettendo in volta due osti». Giambull.: «Il campo fu tutto in volta».
2. (L) a lunga: lontano.
3. (L) punga: pugna. — se...: se non errai. — tal...: ma tal donna ci s’offerse ad aiuto che ingannare non può: Beatrice. — tarda a me: io desidero. — altri: un messo del cielo. (SL) punga: come spengere per ‘spegnere’. È nel Villani. — se non...: tali sospensioni non sono frequenti in Dante, pure ce n'è (Inf., XXIII [109]; Purg., XXVII).
4. (L) ricoperse...: esprimeva dubbio, poi si ritratta e lo rassicura. — alle: dalle.
5. (L) dienne: diede a noi, per, a me. — traeva: a quella sospensione davo più tristo senso ch’e’ non l'avesse. (SL) dienne: noi per ‘me’, ne’ Latini frequente. Buc., 1 [6]: «Nobis haec otia fecit». — traeva: Aen., VII [117-18]: «Primamque loquentis ab ore Arripuit (vocem)». (F) tenne: tenere un senso, nell’interpretazione d’un testo, è modo scolastico.
6. (L) grado: del Limbo. — speranza: di vedere Dio. - cionca: tronca. (SL) conca: l’Inferno di Dante è concavo, quasi conca. — cionca: per ‘monco’ vive in qualche dialetto. [Inf., XIII [30]: «Pensier monchi». Qui più sotto terz. 32: «fine Mozzo». (F) cionca: Inf., IV [41-42]: «Sol di tanto offesi, Che, senza speme, vivemo in desio».
7. (L) quistion: domanda. — incontra: avviene. — nui: noi nel Limbo.
8. (L) congiurato: scongiurato. — sui: loro; abitati dall’anime in vita. (SL) cruda: viveva in caverne, usava tra le sepolture. Lucano la chiama «fera», «effera», «tristis». Fa che Eritone, maga tessala, lo scongiuri. Virgilio era nei bassi tempi creduto mago (Buc., VIII; Aen., IV), come lo chiama il Villani, e tuttavia il volgo di Napoli; e grande astrologo lo dice il Boccaccio. — richiamava: Aen., VI [116]: «Potuit Manes arcessere coniugis Orpheus». IV [242]: «Animas... evocat Orco». - ombre: Lucan., VI [693]: «Ad me redeuntibus umbris». (F) fui: Dante prende a guida Virgilio, non solo come descrittor d’un Inferno, ma come cantore di quell’Enea che fu principio all'impero di Roma. Or nell'Impero ideato da Dante (Mon., III) si richiede l'operazione «delle morali e intellettuali virtù, secondo i filosofici precetti, i quali son mezzo alla felicità di questa vita». Così si concilia l'opinione di taluni che fanno Virgilio simbolo della filosofia naturale.
9. (L) nuda: ero morto. — muro: d’Inferno. — cerchio: de’ traditori. (SL) Di poco: cosi quel soldato, di cui Lucano (Phars., VI [776-77]), era di poco defunto: «Tristia non equidem Parcarum stamina, dixit, Respexi, tacitae revocatus ab aggere ripae». — nuda: Aen., IV [168]: «Vita spoliavit». XII [932]: «Corpus spoliatum lumine». Lucan.: «Manibus nudis». — muro: Inf XXXII [18]. (F) fece: della necromanzia, distinta da altre sorti d’indovinamenti, la Somma.
10. (L) dal: Primo mobile. (SL) gira: (Par., II [112-14]). — so: Eritone chiama una maga anche Ovidio (Her., XV); ma qui parla della rammentata da Lucano, la quale, per dar risposta a Sesto Pompeo circa al fine della guerra civile, richiamò d’Inferno lo spirito d’un soldato pompeiano. Eritone, al dir di Lucano, cercava per le sue operazioni i morti di poco. Non già che Virgilio fosse da lei scongiurato per trarre il soldato pompeiano, il quale, al dir di Lucano, non era ancora disceso al fondo d’Inferno; ma Dante, dietro all’invenzion di Lucano, ne imagina un’altra per far dire a Virgilio: Io sono stato fin laggiù; t'assicura. Così Virgilio fa dire alla Sibilla: «Sed me, cum lucis Hecate praefecit Avernis, Ipsa Deum poenas docuit, perque omnia duxit» (Aen., VI [116-17]).
11. (L) u' dove. — ira: per il passo negato. (SL) puzzo: Aen., VII [81]: «Saevamque exhalat opaca Mephitim». - spira: Georg., IV [30]: «Graviter spirantis... thymbrae». «Dulcis... spiravit crinibus aura». Crescenz.: «Spirano vapore pestilenziale». — cinge: in Virgilio (Aen. VI [548]) Flegetonte «flammis ambit» la nera città. Georg., IV [471]: «Palus... alligat... Styx interfusa coercet». (F) puzzo: Som.: «Foetor peccatorum».
12. (SL) torre: torre, sentinelle, vedette, segnali: vera città.
13. (L) ratto: tosto. — atto: portamento. (SL) Furie: Virgilio (Aen., VI [273]) pone nel vestibolo dell'Inferno i ferrei talami delle Eumenidi; poi le dipinge entro alle mura, a straziare i colpevoli. - sangue: Aen., VI [274]: «Vipereum crinem Vittis innexa cruentis». Ov., Met, IV [481-82]: «Fluidoque cruore ru- bentem Induitur pallam». (F) atto: il corpo, secondo le membra diverse, ha diversi atti. Ad Rom., XII 1. Ad Cor, I XII 12, 26.
14. (SL) idre: Aen., VII [446]: «Tot Erinnys sibilat hydris». — verdissime: Buc, II 9: «Virides... lacertos». — serpentelli: Georg., IV [481]: «Coeruleos... implexae crinibus angues». Hor., Carm., V 5: «Brevibus implicata viperis Crines». — crine: Ov., Met., X [349]: «Atro crinitas angue sorores». — avvinte: Aen., XII [119]: «Verbena tempora vincti».
15. (L) meschine: serve. - della: Proserpina. — Erine: Erinni. (SL) meschine: nell'antico francese (V. Dufresne). Come cattivo, di schiavo, venne a significa re ‘dappoco?’, ‘malvagio’. — regina: Aen., VI [395]: «Dominam Ditis». — Erine: «Baco» per Bacco (Inf, XX [59]), e «Naiade» per Naiadi (Purg., XXXIII [49]). I Latini: «Erinnyes», [Semint.: «Erinis».
16. (L) a tanto: a quel punto. (SL) Megera: Aen., XII — piange: Aen., VII [321- 23]: «Luctificam Alecto... [cui tristia bella, Iraeque, insidiaeque et crimina noxia cordi». «Tristis Dea». - Tesifone: Aen., VI [552-53]: «Tisiphoneque sedens, palla succincta cruenta, Vestibulum insommis servat noctesque diesque». Ovidio (Met., IV) dà a Tesifone fiaccola insanguinata. — tanto: modo provenzale e de’ vecchi Italiani (Dicerie del Ceffi).
17. (L) a: con le. — per: per paura. (SL) unghie: Aen., IV [672]: «Unguibus ora soror foedans et pectora pugnis». E XI [85].] — batteansi: Aen., I [479]: «Tunsae pectora palmis». - alto: Stat., II [50]: «Eumenidum vocesque manusque». Aen., XI [36]: «... Gemitum tunsis ad sidera tollunt Pectoribus». — sospetto: vive in Corsica. Armannino: «Il Tartaro da ciascun lato sia pauroso e pieno di sospetto».
18. (L) sì: riempitivo. — smalto: corpo duro e freddo.] - mal...: mal fecimo a non punire già l’ardire de’ vivi. — vengiammo: vendicammo. (SL)] venga: di Medusa, Ov., Met., IV [447-50], e altrove: «Illa sorores Nocte vocat genitas, grave et implacabile numen. Carceris ante fores clausas adamante sedebant: Deque suis atros pectebant crinibus angues». Aen., VI [70]: «Tisyphone.... vocat agmina saeva sororum». — Medusa: Virgilio pone le Gorgoni nel vestibolo dell'Inferno. — smalto: Petr. [R.V.F, CCCLXVI 111]: «Medusa e l’error mio m'han fatto un sasso». Lucan., IX [658-59]: «Et clypeum laevae fulvo dedit aere nitentem, In quo saxificam iussit spectare Medusam». — mal: Georg., III [245]: «Heu! male tum Libyae solis erratur in agris». - vengiammo: rime antiche: «Vengianza». Stat., VIII [65]: «I, Tartareas ulciscere sedes Tisyphone». - Teseo: scese in inferno per liberare Proserpina (Aen., VI [249]; Ov., Met., VII; Her., X). Stat., VIII [53-54]: «Pirithoi temerarius ardor Tentat, et audaci Theseus iuratus amico». (F) Teseo: un anonimo: «Se Tesco fu all’inferno, come nel II dice che soli vandarono Enea e Paolo? Rispondesi: che Teseo non vi penetrò: e i nominati nel II non escludono tutti gli altri che ci fossero stati: e in tanto Dante vi rammenta que’ due in quanto l’uno è fondator dell'Impero ove si stabili la fede di Pietro, e l’altro propagator della fede».
19. (L) viso: occhi. — nulla: non torneresti più al mondo. (SL) Gorgon: mascolino in Semintendi. Virgilio unisce la Gorgone con le Furie. Aen., VII [341]: «Gorgoneis Alecto infecta venenis». VIII [430-33]: «Aegidaque horrificam... squamis serpentum... Connexosque angues, ipsamque ... Gorgona desecto vertentem lumina collo». — vedessi: Lucan., IX [659]: «Quem, qui recto se lumine vidit, Passa Medusa mori est?» — nulla: Petr. [R.V.F, CCXXIII 9]: «Del riposo è nulla».
20. (L) stessi: stesso. — tenne: contento. — chiudessi: chiudesse. (SL) stessi: Sacch. [Trecentonovelle, CLXXVIII 19]: «Tu stessi». Così da ille, egli. — mani: Lucan., IX [674-75]: «Ipsa regit trepidum Pallas, dextraque tremente Perseos aversi Cyllenida dirigit Harpen». - chiudessi: anco in prosa (Ott. e Cellini). Ariosto [O.F, V 71 3]: importassi per ‘importasse’.
21. (F) sani: Som.: «Sanum intellectum».
22. (SL) già: iamque. Cominciamento famigliare a Virgilio. — venia: Aen., VII [586]: «Magno veniente fragore».] — torbide: Aen., vi [296-97]: «Turbidus... gurges».
23. (L) ardori: i caldi di paese opposto. — fier: ferisce. — rattento: ritegno. (SL) altrimenti: «haud aliter»: frequente in Virgilio. — vento: Berni, Orl. inn., I XI st. 6. — avversi: Aen., IV [700]: «Adverso sole». — fier. Dante, Rime: «Che fier tra li miei spirti paurosi». [E Inf., X terz. 23.] Fior di virtù: «Fiere» per ‘ferisce’. Buc. IX [40]: «Feriant.... littora fluctus». (F) vento: Is, LXVI 15: «Quasi turbo le sue quadrighe» (tr.). Ier., IV 13: «Quasi tempesta il suo cocchio». - avversi: l’aria scaldata, crescendo in volume, riversa, per equilibrarsi, le sue pit alte colonne sulle pit fredde: quindi i gran calori dell’una parte del globo [danno] venti dall’altra.
24. (SL) fiori: altri legge porta fuori, perché poco gli paiono i fiori dopo i rami: ma i rami il vento schianta; i fiori, li porta. [La polvere è meno de’ fiori; pur viene poi.] E le gradazioni rettoriche dal meno al più son gioco d’umanisti. Arios., XXX 51 [s]: «Grandine... Che spezza fronde e rami e grano e stoppia». [A chi piace il fuori, rammenti] Aen., I [55]: «Maria ac terras... ferant rapidi secum». Georg., II [439-40]: «Sylvae, Quas animosi Euri assidue franguntque, feruntque». Ma il fuori solo, mal suona a me, massime col dinnanzi che segue. — pastori: Georg., I [326-28]: «Quo maxima motu Terra tremit, fugere ferae, et mortalia corda Per gentes humilis stravit pavor». Aen., XII [451-55]: «Qualis, ubi ad terras abrupto sidere, nimbus It mare per medium: miseris, heu! praescia longe Horrescunt corda agricolis; dabit ille ruinas Arboribus, stragemque satis; ruet omnia late; Antevolant, sonitumque ferunt ad litora venti».
25. (L) sciolse: Virgilio. — nerbo: forza del vedere. — antica: stagnante. — per indi: di là. — acerbo: punge gli occhi. (SL)] nerbo: risponde all’acies oculorum de’ Latini. — antica: Aen., VIII [671]: «Fluctu spumabant coerula cano». — acerbo: Aen., XII [587]: «Fumo... amaro». (F) fummo: S. Bern., Serm. III: «Il peccato è alla natura quel che il fumo agli occhi».
26. (L) abbica: ammucchia. (SL) rane: Virgilio, d’un serpente che si pasce di rane (Georg., III). — abbica: bica, mucchio di grano, e nell’uso toscano, di escremento. [Aen., VI [305]: «Gurgite ab alto ad terram glomerantur aves». Stat., Theb., I [92-93]: «Exsiluit ripis: discedit inane Vulgus, et occursus dominae pavet».
27. (L) distrutte: di tormento e spavento. — un: messo del cielo. — passo: luogo più prossimo. (SL) distrutte: in senso simile al «disfatto» del canto VIII. Dante, Rime: «Amor... svegliato nel distrutto core». Altrove [V.n., XXXVI 1 9]: «Gli occhi distrutti». (F) asciutte: Psal., LXV 5: «Qui convertit mare in aridam, in flumine pertransibunt pede».
28. (SL) grasso: Georg., II [110]: «Crassis... paludibus». Stat, Theb., II [1-6]: «Gelidis Maia satus aliger umbris Iussa gerens magni remeat Iovis; undique pigrac Ire vetant nubes, et turbidus implicat aer... Styx inde novem circumflua campis; Hinc obiecta vias torrentum incendia claudunt». (V. Cic., De Nat. Deor., II 6) Ov., Met., IV [432]: «Styx nebulas exhalat iners». (F) grasso: Habac., III 15: «Facesti nel mare via a’ tuoi destrieri sul loto d'acque molte». - sinistra: Ott.: «In quelle parti inferiori l'Angelo usa la sua minore potenza».
29. (L) messo: mandato. — inchinassi: me. (SL) messo: Fior di Virtù: «Conobbe ch'egli era amico di Dio e suo messo». — inchinassi: Vit. ss. Padri, ed altrove. |(F) messo: della missione degli Angeli, V. Som., 1 1 12.]
30. (SL). Ahi: Aen., X [770]: «Hei mihi quantum...!»] - verghetta: segno di comando. Stazio fa che Mercurio con la verga plachi la furia di Cerbero.
31. (L) dispetta: spregiata. — ond’: di che cotesta tracotanza si nutre in voi? (SL) dispetta: Buc., II [19]: «Despectus tibi sum». E in senso simile nella Somma. — soglia: Stat., VIII [53-54]: «... Ferus Alcides tunc cum custode remoto Ferrea Cerbereae patuerunt limina portae». — ond’ Aen., I [131-33]: «Tanta ne vos generis tenuit fiducia vestri? lam coelum terramque mio sine numine, Venti, Miscere, ... audetis».] — alletta: Albertano: «L'uomo adiroso alletta brighe». Tasso, [G.L., IX 76 8] più languidamente: «Ond'è ch’or tanto ardire in voi s'allette?».
32. (L) voglia: ...: divina che non può essere interrotta. (F) ricalcitrate: Act., XXVI 14: «Calcitrare contro lo stimolo» (tr.). — fin: Sap., VIII 1: «Dall’un fine all’altro giunge fortemente» (tr.).
33. (L) fata: destini di Dio. — ancor: da quando Teseo ne lo trasse. (SL) Cerbero: Virgilio, di Teseo (Aen., VI [395-96]): «Tartareum ille manu custodem in vincla petivit Ipsius a solio regis, traxitque trementem». Ov., Met, VII [408-9]: «Tirynthius heros... nexis adamante catenis, Cerberon abstraxit». — fata: in Toscana tuttavia le prata e le tetta. — pelato: dalla catena o checché stringa e arroti, e dalla violenza del trarlo. (F) fata: Boez., IV: «Lo quale modo, quando si ragguarda nella puritade stessa della divina intelligenza, si chiama provvidenza di Dio; ma quando si riferisce a quelle cose che move e dispone, allora è appellato dalli antichi fato». Aen., VIII [333]: «Ineluctabile fatum». Virgilio più volte congiunge l’idea di divinità libera e proteggitrice con quella di fato. Aen., III [394]: «Fata viam invenient, aderitque vocatus Apollo». IV [648; 612]: «Fata Deusque sinebant». «Et sic fata Iovis poscunt, hic terminus haeret». VII [563-65]: «Fata Deum... Iussisque ingentibus urget Apollo». Purgatorio, XXX [142]: «Fato di Dio».
34. (SL) stringe: Aen., IX [292]: «Animum patria strinxit pietatis imago». - morda: Aen., 1 [261]: «Cura remordet». Non parla a’ Poeti per uscire tosto, come colui che arde tornarsene in luogo migliore (Inf., II). Hor., Carm., I 18 [3]: «Mordaces solicitudines». Boet., de Consol. cl. 0878, III pr. 5: «Solicitudinum morsus».
35. (L) terra: città. — appresso: dopo.
36. (L) condizion: di gente e di pene. (F) condizion: condizione, nel linguaggio scolastico, era lo stato e la qualità delle cose. Crescenz.: «Gli arnesi di che condizione siano».
37. (L) man: parte. (SL)] invio: meno strano del «ferre oculos» di Virgilio (Aen., VIII [310]) . — man: Aen., VI [440]: «Partem fusi monstrantur in omnem Lugentes campi». (F) tormento: Luc, XVI 28: «Locum tormentorum».
38. (L) termini: confini. (SL) Arli: in Provenza, dove fu data nel VII secolo gran battaglia tra Saracini e Cristiani. Arios., Orl., XXXIX - Pola: Nell’Istria, dove sono monumenti romani.
39. (L) varo: [vario di tombe grandi e piccole. - modo: dolore del fuoco. (SL) varo: come impero per ‘imperio’.
40. (L) arte: per infocare. (SL) si del tutto: Inf., XXIX [123]: «Sì d’assai».
41. [(L) offesi: di dolore.
42. (F) seppellite: Eccl, VIII 10: «Vidi gli empii sepolti» (tr.).
43. (SL) eresiarche: anco in prosa. (F) carche: Flegiàs iracondo e disprezzatore del cielo, è ben posto per tragittare gl'iracondi dalla palude alla campagna infocata degli eretici e de’ miscredenti. Eresiarchi chiama gl’increduli tutti, come se dal negare una cosa al negare tutto non sia grande il passaggio.
44. (L) simile: nell'errore. — monimenti: monumenti. - più e men: secondo l’errore. — tra: tra le tombe infocate e le mura infocate. (F) simile: Greg., Dial., IV 35: «Consociano i simili a’ simili in pari tormenti, che i superbi co’ superbi, i lussuriosi co’ lussuriosi, gli avari con gli avari, gli ingannatori con gli ingannatori, gl’invidiosi con gl’'invidiosi, gli infedeli con gli infedeli ardano». — più: Cypr.: «Par sceleri discrimen imponit».
L’accenno mitologico a Teseo, e la invenzione fondata sopra Lucano, la quale rende ragione del potere Virgilio condurre Dante in fondo all’abisso, non sono bellezze; ma quand’anco difetti fossero, li compensa la bellezza morale dell’affetto con cui Virgilio rassicura il Poeta temente, e della schiettezza con che questi confessa il proprio timore, chiamandolo addirittura viltà. I vili non sono così modesti. E la paura in Dante dell’essere abbandonato è più bella che la spavalderia d’Enea a avventarsi col ferro per trafiggere le ombre. L'avvertimento del porre mente alla dottrina nascosta sotto il velo de” versi, credo io che principalmente riguardi il rivolgere gli occhi dal teschio di Medusa, e il chiuderglieli che fa Virgilio con le mani proprie, mosso da materna sollecitudine: per insegnarci che l’affisarsi nel male non giova a prenderne orrore, ma che dalle cose abiette e vili bisogna saper rifuggire. Altre bellezze morali sono i rimproveri dell’Angelo a chi cozza contro la provvida necessità delle cose per impedire ad altri il cammino del bene; e la fatica che prova esso Angelo non del correre leggero sulle acque, ma del rimovere da sé l’aria grossa del pantano (giacché alle anime elette, più ch’altro, pesa il dover vivere in più bassa regione di quella a cui si sentono destinate); e quindi il rivolgersi ch'egli fa, senza dire parola ai Poeti, come da pit alta cura occupato. Le Furie, il vento, i sepolcri, le voci ch’escono di sotterra, e le fiamme, e la memoria de’ monumenti sepolcrali della Provenza e dell’Istria, sono poesia che fa questo canto forse più originale del quinto.
Macrobio: «Sacrarum rerum notio sub pio figmentorum velamine, honestis et tecta rebus, et vestita nominibus enunciatur». È impossibile, dice Dionigi Areopagita, o l’autore qualsiasi che porta quel nome, è impossibile che il raggio divino risplenda a noi se non circonvelato dalla varietà di velami sacri. E Tommaso: «Sotto le similitudini e figure s'asconde la verità figurata». E altrove: «Il velo del Tempio significava le cose nascoste ai pit, note a’ saggi». E il Vangelo, congiungendo le due imagini di nascondere e di togliere il velo: «Sia lode a te, Padre... che ascondesti queste cose a’ savii e agli avveduti, e le hai rivelate a’ parvoli». Dante ritorna sovente su questo che era lo spirito de’ tempi suoi e di tutta l’antichità. Nella Vita Nuova e’ disprezza quella poesia che sotto gli ornamenti delle parole non porta sodezza di cose; e nel Convivio: «L'uno senso si chiama letterale, e questo è quello che non si stende pit oltre che la lettera propria; l’altro si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto il manto delle favole: ed è una verità ascosa sotto bella menzogna...». E altrove: «Intendo anche mostrare la vera sentenza... che per alcuno vedere non si può s’io non la conto, perch’è nascosa sotto figura allegorica».
Il Rossetti qui vede un simbolo dell’esilio di Dante, al quale i Fiorentini chiudon le porte, e Arrigo gliele apre. Gli altri comentatori intendono che la sola filosofia naturale figurata in Virgilio non può penetrare i decreti della giustizia sempiterna. Una forza superna bisogna che riveli ed apra; poi la ragione va franca da sé. Io accetterei e la interpretazione filosofica e la politica: tanto più che il cenno di Teseo rammenta Atene, alla quale in tre luoghi il Poeta accenna, e in due la raffronta a Firenze; l’accetterei purché per il messo s’intenda non Arrigo, ma in genere un dux, chiamato nell’ultimo del Purgatorio «messo di Dio»: e ciò tanto piti che al tempo che questo Canto fu scritto, egli forse non pensava ad Arrigo. Quanto al chiudere gli occhi, spiegherei che la ragione li deve distorre dal volgere pure uno sguardo ai nemici del giusto quando mirano ad arrestarci in cammino. Ma l’interpretazione morale non si può rigettare dacché nell’VIII del Purgatorio abbiamo un passo tutto somigliante; e con l’avvertimento medesimo, inserito, come qui, nella narrazione in guisa di nota: «Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero; Ché ’l velo è ora ben tanto sottile, Certo, che ’l trapassar dentro è leggiero». E il serpente s’affaccia alla valle, e due Angeli scendono per fugarlo. Là due An- geli per custodire il ricetto de’ giusti, qui un Angelo per aprire a un giusto il ricetto degli empii: là viene il demonio come biscia; qui d’innanzi all’Angelo le anime fuggono come rane d’innanzi a biscia. Ognun vede qual delle due similitudini sia la più appropriata. Cecco d’Ascoli miseramente si fa beffe di questo passo nella Acerba sua: «Qui non si canta al modo delle rane; Qui non si canta al modo del Poeta Che finge imaginando cose strane». Ma Dante con le sue cose strane rimane sempre Poeta, e Cecco sempre Cecco. Un altro Francesco, e ben pit illustre, biasimava l’Allighieri imitandolo; di che gli si doleva riverentemente il Boccaccio amico: né cagioni a censura certamente mancavano, ma le ragioni dell’ammirare erano molte più.