Dati bibliografici
Autore: Salvatore Battaglia
Tratto da: Esemplarità e antagonismo nel pensiero di Dante. Vol. I
Editore: Liguori, Napoli
Anno: 1967
Pagine: 274-279
Bisogna subito avvertire che la categoria del poeta teologizzante rispondeva a una particolare mentalità, quale si era formata nella stessa. antichità e si era riprodotta nel Medioevo cristiano. L’ispirazione, cioè, numenica della poesia abilitava a trasferirla nell’esegesi ermetica e l’auto- rizzava a una lettura per allegorie e per simboli. L’interpretazione traslata della poesia, come la preferivano gli antichi e i medievali, accordava un procedimento metaforico e integrativo, che permetteva di travestire poeti remoti (come Omero ed Esiodo) nel costume mentale contemporaneo. Per questa via l’opera poetica riusciva a rinnovare periodicamente i propri valori e a ritrovare motivi di perenne attualità anche in climi di civiltà disparatissimi.
Il ritorno trecentesco a Platone e al concetto del fantasma poetico come «idea» preesistente allo stesso poeta e dotata di un retaggio di verità trascendenti e occulte, le quali affondano le loro radici in una dimora iperuranica e s’incontrano con i simulacri dell’assoluto e della fede, equivaleva anche ad un ripristino dell’interpretazione medievale e cristiana. La posizione critica, infatti, che si sviluppa dal Boccaccio al circolo ficiniano, rappresenta una ripresa delle teorie etico-letterarie di cui nel secolo quinto s'era fatto portavoce Fulgenzio il Mitografo, che le aveva applicate in larga scala all’esegesi virgiliana. Solo che nel metodo degli apologisti cristiani era implicita una prevaricazione dei testi classici, nel senso che la lettura più moderna li sottoponeva ad un’opera di riscatto, ritraducendoli nei nuovi valori, che si ritenevano originariamente inconsapevoli e soltanto divinati dalla coscienza degli antichi autori...
L’assunzione dell’ispirazione poetica sul piano della dottrina teologica implica inevitabilmente la lettura allegorica. La stessa concezione platonica della poesia le conferisce valore mitico e la investe di sensi perpetuamente traslati e arcanamente sottintesi. Il metodo allegorico (che poi si venne a codificare nella teoria della poesia teologizzante, secondo il pensiero platonico, e in funzione stilistica e tropica nella retorica aristotelica) era stato escogitato dall’esegesi greca per l’epopea omerica e per il repertorio dei miti e delle favole. Quando questo procedimento interpretativo per- viene nelle mani di s. Agostino (pet citare lo scrittore che avrebbe agito più autorevolmente nella cultura medievale) aveva circa mille anni d’esperienza…
Nel rapido e tenace diffondersi del trattamento allegorico, non è circostanza secondaria la pretesa di aristocratica selezione che s’accompagna ad una lettura mistica ed ermetica della poesia. Tanto il poeta quanto l’interprete sentono di appartenere a una minoranza eletta, a cui è dato di reperire segni e simboli che si celano nelle favole, Equivaleva a possedere una doppia intelligenza, quella comune e diretta, e un’altra superiore, ispirata, ‘partecipe d’una favilla del divino. La coscienza di poter considerare un testo poetico sotto una duplice visuale, con gli occhi e i sensi consueti e normali e insieme con la rara intuizione del sapiente e del teologo, aveva finito col creare una dimora di privilegio per pochi intellettuali, che, sia come poeti e sia come esegeti, ritennero di nutrire e trasmettere un patrimonio di verità iniziatiche, senza fondo e senza tempo. Nonostante la differenza di epoche e di situazioni, una fondamentale affinità accomuna la sapienza occulta e metastorica di Pitagora, di Evemero, di Fulgenzio, di Dante, di Marsilio Ficino, di Cristoforo Landino (fino allo stesso Vico). Per ciascuno d’essi è l’interpretazione dei testi antichi che li abilita al mondo del conoscere. È sui loro significati e simboli ch’essi possono ogni volta presentire il segreto del mondo, della vita, della sorte, ed eventualmente edificare una concezione della. storia, della realtà e della natura.
Questa saggezza nascosta e coperta aveva il fascino di stabilire fra il poeta e la realtà e poi fra il lettore e l’opera di poesia una relazione d’intelligenza, come una complicità d’iniziati. Per suo tramite la poesia acquistava la prerogativa del conoscete intellettuale e del sapere mistico. Si veniva a porre sullo stesso piano della religione e della filosofia, con il vantaggio di operare sulla realtà e sulla natura per via diretta e insieme sotterranea. E le sue immagini permettevano agli uomini di riconoscersi nella propria concretezza ed empiricità, ma nello stesso tempo li autorizzavano a penetrare e tentate i segreti e i misteri del mondo, del creato, del destino eterno. Era un modo di conferire all’arte un significato universalistico e farle superare la sua appartenenza alla trama quotidiana delle passioni e delle sensazioni e all’alea delle finzioni favolistiche. Il concetto che sarà accolto e tramandato dalla poetica d’Aristotele sul carattere dell’arte come imitazione della natura e dell’esperienza, quale semplice riproduzione del vivere e dell’agire umano, conteneva nella sua formulazione più divulgata un principio limitativo, quasi di passiva meccanicità, che finiva per mortificare la stessa vocazione. E viceversa la teoria allegorista e sapienziale apriva alla poesia un orizzonte sconfinato e le attribuiva una qualità rivelatrice e misteriosofica, destinata a sedurre le menti con la lusinga di farle partecipare, pur senza l’obbligo di sistemi dialettici, ad un'attività euristica e inventiva. L’opera poetica si dotava di risonanze plurime e proliferanti: diventava una suggestione perpetua di indagini, intuizioni, verità allusive e sempre disponibili all’infinito. L’universalità e cosmicità riconosciute all’arte dall’estetica moderna erano anticipate dalla cultura antica e medievale attraverso questa coscienza simbolista d’illimitata applicazione.
Il procedimento a cui s’ispirava siffatta esperienza aveva una duplice articolazione, o, meglio, una correlazione di tipo dialettico, perché da un canto è l’idea che per esprimersi ricorre alla realtà delle cose e degli aspetti, e, dall’altro, sono le parvenze concrete e sensibili che aspirano a tramutarsi in valori ideali. Il poeta e il lettore risultano solidali in questa sintesi di favola e di verità, di mito e di dottrina, di esperienza e intuizione, di realtà e trascendenza. Trascutate tali presupposti nella coscienza letteraria del nostro Medioevo e nella più interna struttura della. Divina Commedia in nome dell’intolleranza di noi moderni verso le forme allegorizzanti e simbolistiche, è un controsenso. Tanta parte dell’estetica resterebbe abolita senza peraltro giovare alla più intrinseca comprensione dei poeti, che a quella poetica si iscrivevano e ambivano, compreso lo stesso Dante. D'altronde, la presunzione di sublimare la poesia nei cicli dell’universalismo allegorico e teologico, non differisce molto dalla prosopopea della cosmicità ed eternità dell’arte secondo la formula idealistica.