Dati bibliografici
Autore: Enrico Malato
Tratto da: Dante
Editore: Salerno Ed., Roma
Anno: 2009
Pagine: 297-301
Lettera e allegoria concorrono dunque ad una straordinaria costruzione poetica, in cui il fine didascalico e morale, sempre presente all’autore e sempre incalzante in ogni passaggio della narrazione, non è mai effettivamente limitativo del respiro della poesia, sostenuto dalla presenza costante sulla scena del poeta-“personaggio”, con la sua ricca umanità fatta di curiosità e debolezze, la sua passionalità, il suo rigore, la sta capacità di proporsi come interlocutore attento, partecipe, a volte polemico, a quanti gli capita di incontrare nel suo cammino. In questo mondo irreale dell’oltretomba trovano una suggestiva proiezione i problemi, le aspirazioni, i conflitti del mondo reale, riproposti e resi attuali nel ricordo degli uomini che li hanno vissuti, o anche, a volte, come drammatica anticipazione profetica di avvenimenti che accadranno. Così il viaggio attraverso i tre regni ultraterreni diventa anche un viaggio attraverso il tempo e lo spazio, che consente a Dante di delineare una rappresentazione grandiosa di eventi e personaggi di ogni epoca e di ogni civiltà, storica e leggendaria: con netta prevalenza, però, di uomini e fatti della vita contemporanea - italiana, e particolarmente fiorentina —, in cui si esprime la sua vocazione di grande testimone e protagonista del proprio tempo.
Il “tono” della rievocazione, e con esso l’atteggiamento del “personaggio” narrante e dei suoi interlocutori, si adattano, nel corso del racconto, al mutare delle condizioni ambientali, man mano che dalla civitas diaboli, il regno del peccato, si compie l’ascesa alla civitas Dei, sede della beatitudine. L'inferno è ;) regno dei forti sentimenti e delle passioni ancora vive, del legame non infranto con gli interessi, con gli affetti, con gli umori della vita; il purgatorio è il regno delle passioni sopite, in cui non è del tutto venuta meno la memoria e l’attenzione alle cose della terra, ma l'interesse è ormai proiettato verso la nuova vita cui le anime sono destinate; nel paradiso si è operato il distacco dalle cose terrene, che perdono rilievo e incidenza nella considerazione delle anime, immerse nella beatitudine della contemplazione e dell'amore di Dio. Nel variare della realtà contestuale resta tuttavia costante l'umanità del poeta che tutto osserva e giudica, partecipando con la sua personale sensibilità ai casi che via via gli si presentano, addirittura sottratto a ogni condiziona- mento di ordine morale. Cost la rigorosa condanna del peccato, nell’Inferno, in cui si consuma la degradazione estrema dell’uomo che ha smarrito la sua identità di creatura di Dio, non vincola l’atteggiamento del pellegrino, che di volta in volta si identifica nella situazione che gli viene prospettata: e può essere di commossa, pietosa partecipazione alla sofferenza di Paolo e Francesca (c. V), di sprezzante asprezza nei confronti di Filippo Argenti (c. VIII), di rispettosa opposizione a Farinata (c. X), di sottile solidarietà verso Pier della Vigna (c. XIII), di affettuosa e premurosa attenzione verso Brunetto Latini (c. XV), di severa condanna dell’arroganza di Vanni Fucci (cc. XXIV-XXV), di apparente impietosa indifferenza alla narrazione della tragica vicenda del conte Ugolino (c. XXXIII), che non gli vieta una veemente invettiva contro Pisa, «vituperio de le genti / del bel paese là dove ’l si suona» (vv. 79-80), eco dello sdegno di un uomo giusto per un supplizio iniquo che coinvolge terzi innocenti; mentre nella rievocazione de «l’ardore» che spinse Ulisse e i suoi compagni «per l’alto mare aperto», verso il «folle volo» (XXVI 97, 100, 125) che doveva perderli, si avverte la segreta partecipazione del poeta a quella sfida temeraria, in cui si esprime l’insaziabile sete di conoscenza dell’uomo (vv. 118-20):
Considerate la vostra semenza [la vostra origine, la vostra natura umana]:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
Manca l'atteggiamento oppositivo o direttamente polemico, ma non la varietà delle inclinazioni sentimentali, di fronte ai casi e ai personaggi in cui egli s'imbatte nel Purgatorio: affettuoso trasporto verso Casella (c. II), bonaria ironia verso Belacqua (c. IV), intimità nostalgica degli affetti giovanili verso Forese (cc. XXIII-XXIV), o semplicemente assorta attenzione verso altri, la soave Pia (c. V), Manfredi (c. III), Iacopo del Cassero e Buonconte da Montefeltro (c. V), Nino Visconti e Currado Malaspina (c. VIII), Provenzan Salvani (c. XI), Sapia (c. XIII), Guido del Duca e Rinieri da Calboli (c. XIV), Marco Lombardo (c. XVI); mentre più forti emozioni suscitano gli incontri con esponenti illustri del mondo delle lettere o dell’arte: Sordello (cc. VI sgg.), Oderisi da Gubbio (c. XI), Stazio (cc. XXI sgg.), Bonagiunta Orbicciani (c. XXIV), Guido Guinizzelli e Arnaut Daniel (c. XXVI). Una folla di personaggi, una somma di eventi e di episodi, nell’Inferno e nel Purgatorio, che hanno anche un fondamentale valore esemplare della complessità e varietà delle esperienze umane.
Più solenne e severo il quadro del Paradiso, dove pure non mancano figure di grande umanità o di forte rilievo, Piccarda (c. III), Giustiniano (c. VI), Carlo Martello (c. VIII), Cunizza e Folchetto (c. IX), Cacciaguida (cc. XV-XVII); ma sono le austere e imponenti figure dei santi quelle che dominano la seconda parte della scena, san Tommaso e san Francesco (cc. X-XIII), san Bonaventura e san Domenico (c. XII), san Pier Damiano (c. XXI), san Benedetto (c. XXII), san Pietro, con san Iacopo e san Giovanni, e con Adamo (cc. XXIV-XXVII), infine san Bernardo (cc. XXXI-XXXIII), «quel contemplante» (XXXII 1) – devoto, come Dante, di Maria — al quale è attribuita la fervida preghiera alla Vergine con cui s’inizia il canto conclusivo del poema (vv. 1-39) e si chiude la sublime esperienza dantesca: elogio e invocazione alla regina dei cieli, che in uno straordinario concentrato di dottrina e di fede, con mirabile essenzialità stilistica e concettuale riesce a cogliere e a sintetizzare in poche formule nitide e incisive i principi fondamentali e apparentemente paradossali del credo cristiano, realizzando una pagina di poesia che a chi ne sappia intendere il profondo anelito religioso, vibrante sotto il composto rigore formale, apparirà tra le pit alte che siano state scritte in ogni tempo:
«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti si, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore. [...]»
Come ha rilevato Auerbach, «la struttura del famoso testo dantesco è molto simile ad una forma classica di preghiera» di antica e ricca tradizione nel Medioevo, certo presente a Dante e dalla quale tuttavia egli si distacca, superando di gran lunga tutti i modelli. «Tutti gli elementi delle forme paleo-cristiane d’elogi sono fuse nel testo dantesco: l'elemento dommatico, lo storico, il figurale, l’emotivo. Dogma e storia prevalgono; non ci sono figure nella preghiera dantesca, ma le immagini richiamano interpretazioni figurali; l’elemento emotivo, nel senso d’una parafrasi emotiva degli eventi, manca; il fervore dell'emozione è espresso in modo immanente, attraverso l'ordine tematico, le parole, i sensi, non per esplicita dichiarazione di sentimento. I motivi principali sono, senza dubbio, dommatici; […] questo famoso testo, nella sua struttura fondamentale, è una rigida composizione di dichiarazioni dommatiche». E tuttavia, continua Auerbach, «precisamente per questo elemento di composizione rigida, di potente sintesi, Il testo di Dante differisce dagli elogi dell’alto medioevo. Senza codesto unico potere che gli consentì di concentrate in pochi versi la storia dell’umanità, egli non sarebbe stato mai capace di compiere la Commedia […]. Nei versi di questo elogio, le immagini e le figure diventano vera realtà, presentando in un movimento ampiamente comprensivo il destino del mondo […] L’immagine dantesca di Cristo, come amore incarnatosi nel seno della Vergine per la salvezza dell’umanità, è un simbolo d’un avvenimento storico insostituibile con altro esempio, inseparabile dalla dottrina. la rigida coerenza di storia, simbolo e dottrina conferiscono alla composizione della preghiera dantesca un grado di rigidezza che un poeta antico non avrebbe potuto né voluto raggiungere»1.