Dati bibliografici
Autore: Giuseppe Ledda
Tratto da: Il bestiario dell'aldilà. Gli animali nella "Commedia" di Dante
Editore: Longo, Ravenna
Anno: 2019
Pagine: 7-12
Una tra le presenze più sorprendenti nel poema dantesco è quella degli animali. Si tratta di una presenza continua e variatissima, che si apre nel primo canto dell’Inferno (vv. 31-60) con la lonza, il leone e la lupa, le cosiddette “tre fiere”, e arriva sino alle api, cui sono paragonati gli angeli nell’Empireo (Par. XXXI, 1-12) . Naturalmente si tratta di presenze ontologicamente ben diverse e bisognerà sempre prestare la massima attenzione alle differenze, distinguendo in particolare fra gli animali incontrati “realmente” nel viaggio oltremondano e quelli invece chiamati in scena attraverso allusioni, perifrasi, metafore, similitudini.
La similitudine, in particolare, si rivela la modalità più frequente della presenza degli animali nel poema dantesco. Si va dalle tre similitudini ornitologiche usate in Inferno V per le anime dei lussuriosi (vv. 40-49 storni e gru; vv. 82-87 colombe) sino a quella già ricordata delle api per gli angeli nell’ Empireo (Par: XXXI, 1-12), passando attraverso decine di altre occorrenze . Per dare un’idea della ricchezza del fenomeno, si può pensare all’affollarsi delle similitudini animali nei canti infernali dei barattieri (Inf XXI-XXII: cani, delfini, ranocchi, rane, lontre, anatre, falchi) o nel primo canto dei traditori (XXXII: rane, cicogne, becchi).
Fin troppo facilmente, questo infittirsi di immagini animali nei canti del basso Inferno può essere interpretato come un segno della degradazione dei dannati a causa del peccato e della dannazione. E in questa direzione insistono infatti molte letture e analisi . Ma non bisogna pensare che la similitudine animale svolga esclusivamente una funzione di degradazione bestiale dei dannati. Altrimenti come potremmo spiegare le numerose immagini animali che Dante usa per gli spiriti del Purgatorio? Eppure, nella seconda cantica incontriamo riferimenti a colombi, pecore, leoni, buoi, sparvieri, e a molti altri animali, sino alle formiche, alle gru e ai pesci cui sono paragonate le anime dei lussuriosi nell’ultima cornice. E perfino nel Paradiso i movimenti e gli atteggiamenti dei beati sono continuamente illustrati attraverso similitudini animali: pesci, bachi da seta, gru, aquile, falchi, cicogne, allodole, pole, colombi. Nella terza cantica non manca neppure un selettivo ma eloquente bestiario di Beatrice. Del resto, nel poema si trovano pure immagini animali che hanno come tenore i diavoli o gli angeli. Si tratta quindi di una grande varietà di riferimenti che non possono essere ridotti univocamente alla funzione generica di segni della degradazione bestiale dei dannati.
Un’altra tendenza dominante negli studi danteschi è quella a interpretare le immagini naturalistiche e quelle animali disseminate nel poema come prova di un atteggiamento “realistico” da parte di Dante. Non è questa la sede per passare in rassegna il “realismo” nella critica dantesca otto-novecentesca , e del resto non si può certo negare che Dante manifesti una grande attenzione per la realtà in tutti i suoi aspetti né può essere negata l’icasticità e la vivacità della sua tecnica rappresentativa. Tuttavia, parlare di “realismo” per un poeta che rappresenta l’oltremondo appare per lo meno improprio, come dimostrano anche le formule artificiose e talvolta ossimoriche escogitate per qualificare il presunto «realismo» dantesco di volta in volta come «narrativo», «analogico», «spirituale», «figurale», «fantastico», per citare solo alcune delle formulazioni proposte.
Del resto, nella cultura medievale l’attenzione per la natura si realizzava soprattutto nella prospettiva dell’interpretazione allegorica e simbolica di ogni aspetto della realtà. La natura è un insieme di segni con i quali Dio parla agli uomini delle realtà spirituali . Ciò vale soprattutto per le pietre, le piante e in particolare per gli animali.
Infatti, la presenza degli animali nel testo biblico aveva spinto gli esegeti fin dai primi secoli a impegnarsi nell’interpretazione dei valori allegorici e morali di tali riferimenti. Esemplare è il caso del Fisiologo, composto in greco probabilmente nel II secolo e poi tradotto in diverse lingue, fra cui il latino, e diffuso in tutto l’occidente. Nel Fisiologo, a ogni animale si associano una o più citazioni bibliche, poi si spiegano le “nature” dell’animale e infine se ne danno una o più interpretazioni allegoriche e/o morali, che rendono ragione del significato ultimo del versetto biblico da cui si era partiti . Il Fisiologo può essere considerato una sorta di capostipite della ricca letteratura dei bestiari e in particolare della tendenza ad associare le notizie sugli animali a certe citazioni bibliche e ad accompagnarle con una spiegazione allegorica o morale. Un animale può essere citato più volte nella Bibbia e in modi diversi: da qui deriva un simbolismo molteplice, ora positivo ora negativo, secondo il principio dell’ambivalenza simbolica. Il leone è un esempio perfetto e spesso ripetuto di questa ambivalenza: la sua natura regale e alcune notizie sul suo comportamento ne fanno un simbolo divino e segnatamente cristologico, ma la sua ferocia lo rende un’immagine del diavolo .
Da questa tradizione esegetica si sviluppa una amplissima e vertiginosa biblioteca zoologica . Infatti queste “nature” degli animali vengono riprese nella letteratura naturalistica e nelle enciclopedie, sempre secondo il principio dell’interpretazione allegorica della natura, mentre sulla base degli stessi principi si sviluppa pure la serie dei bestiari, libri interamente dedicati a illustrare e a interpretare allegoricamente le nature degli animali.
Anche le notizie provenienti dalle opere più “scientifiche’’ della letteratura naturalistica antica, come la Naturalis Historia di Plinio e il De animalibus di Aristotele entrano progressivamente nella letteratura dei bestiari e nelle enciclopedie, ma spesso le notizie da loro offerte, accumulate insieme con quelle di altra provenienza, vengono piegate alla stessa procedura allegorizzante e moralizzante . Una importante quanto complessa ricezione medievale ha pure la tradizione favolistica antica, il che aggiunge ulteriori elementi di ricchezza alla modalità di rappresentazione degli animali nel Medioevo .
Sulla base di questa pluralità di tradizioni, gli animali venivano anche assunti, in funzione esemplare e in senso morale, all’interno del discorso religioso, sia in sede di trattatistica teologica su vizi e virtù sia nelle varie forme della letteratura devota e spirituale, e soprattutto nella predicazione , tanto che anche alcuni dei bestiari approntati nel XIII secolo si presentano come strumenti adatti alle esigenze di un predicatore alla ricerca di esempi animali per arricchire e rendere più incisive le proprie prediche .
Ma le immagini del bestiario popolano anche la lirica amorosa provenzale, francese e italiana, in cui spesso i comportamenti degli animali diventano immagini per illustrare atteggiamenti e stati d’animo degli amanti. Il repertorio animale della lirica è talmente vasto che si presta a essere sistematizzato in un’opera come il Bestiaire d’amours di Richart de Fornival, un trattato-narrazione che racconta tutta una vicenda amorosa interamente attraverso le similitudini animali . La presenza di tali immagini è notevole pure nella lirica amorosa italiana del Duecento, sino a essere percepita come uno dei tratti distintivi delle tradizioni prestilnovistiche, da cui gli stilnovisti si vorranno poi distinguere, come mostra esplicitamente Cino da Pistoia in un suo polemico sonetto responsivo a Onesto da Bologna, in cui alle accuse dell’avversario replica rivendicando per la nuova poesia, tra le altre cose, il rifiuto delle immagini da bestiario tanto care alla tradizione precedente, dai Siciliani a Chiaro Davanzati . Cino rivendica invece una poesia «sanza essempro di fera o di nave» .
Si aggiunga che anche la letteratura classica proponeva a un lettore attento come Dante una pluralità di similitudini animali nobilitate dalla poesia epica di Virgilio o rese memorabili dalle vertiginose metamorfosi raccontate nel poema di Ovidio.
Dunque l’uomo medievale aveva a disposizione un thesaurus ampio e diversificato di animali biblici, simbolici, allegorici, moralizzati, esemplari, scientifici, poetici, i quali non potevano non popolare la sua memoria e il suo immaginario, e condizionare il suo modo di guardare e interpretare anche gli animali osservati nella realtà. Perciò, anche per l’interpretazione delle similitudini animali presenti nella Commedia dantesca occorre tenere in considerazione il bestiario medievale nei suoi molteplici aspetti, in quanto, se è vero che al tempo di Dante si sviluppano un naturalismo e uno sperimentalismo di matrice aristotelica, resta ancora viva anche la tendenza all’interpretazione simbolica degli elementi della natura.
Così, quando nel poema dantesco si incontrano similitudini animali, bisogna prestare particolare attenzione, perché non si tratta di semplici quadretti naturalistici nei quali spicca lo spirito di osservazione del poeta e trova espressione il suo realismo. In esse agiscono sempre complesse strategie di costruzione del significato, attraverso l’attivazione dei valori simbolici che agli animali erano attribuiti nell’esegesi biblica, nei bestiari e nelle enciclopedie, ma anche tramite allusioni alla presenza degli animali in altri testi poetici antichi e medievali. È quindi necessario interrogare le tradizioni letterarie relative per capire se e come abbiano agito su Dante. E ancora, dato che l’interpretazione simbolica era l’operazione più diffusa, davanti a un animale dantesco occorre chiedersi quali valori allegorici o simbolici esso sia chiamato a veicolare. Andrà poi considerata la dimensione intratestuale, non solo nel caso in cui uno stesso animale sia presente in più luoghi del poema, attraverso i quali si attua un progressivo compimento dei significati, ma anche quando diversi animali si succedano nel rappresentare fenomeni o situazioni appartenenti allo stesso campo semantico o simbolico.