Dati bibliografici
Autore: Edward Moore
Tratto da: Studi su Dante. II
Editore: Salerno Editore, Roma
Anno: 2015
Pagine: 565-569
In ogni caso sarebbe opportuno valutare ancora, prima di andare avanti, un argomento tangibile e diretto e, a mio parere, di notevole peso. Mi riferisco a tutti quei fatti, anche piuttosto importanti, che emergono nel racconto allegorico e che non trovano alcuna spiegazione in questa teoria. So bene che sarebbe un “banale equivoco” pensare di poter trovare una spiegazione di questo tipo per ogni aspetto, come una perfetta corrispondenza in ciascuna allegoria (secondo quanto osservato dall’autore). Non dimentico gli avvertimenti di sant'Agostino sulla questione e il suo chiarissimo esempio, e cioè che «tutte le parti dell’aratro sono necessarie sebbene solo il vomere venga utilizzato per separare il terreno». Tuttavia ci deve essere un qualche limite ragionevole alla proporzione tra particolari significativi e non significativi in ogni allegoria ben costruita. L'autore di questo articolo fa una parafrasi dell’allegoria della Vita nuova così come egli se la raffigura, presentandola con singolare abilità e metodo nelle pp. 41-44. Ma (1), tralascia una quantità notevole di dettagli realistici e (2) molti di questi dettagli sembrano essere importanti ed evidenti. Alcuni sono poi talmente elaborati ed enfatizzati che si è portati a pensare 0 che siano accaduti realmente 0 che siano stati inventati dall'autore per un fine ben preciso, al di là della generale volontà di ingannare il lettore con un finto realismo.
Tra di essi vanno menzionati in particolare (omettendo molti altri che andrebbero aggiunti):
a) la morte della giovane amica di Beatrice e il dolore solidale di Dante (par. VIII);
b) il fastidio provato dalla seconda donna della difesa per le attenzioni (simulate) di Dante (par. XII);
c) lo strano episodio del “gabbo” di Beatrice e delle sue compagne e la crisi, il punto di svolta nella vita di Dante cui tale evento lo ha condotto. Si potrebbe inoltre aggiungere il ruolo svolto dall'amico che l’ha introdotto nel gruppo e portato via (par. XIV);
d) la morte del padre di Beatrice, il suo intenso dolore, quello delle sue compagne addolorate e dello stesso Dante (par. XX);
e) il presentimento che Beatrice stessa debba morire; un’intuizione che Dante ha maturato nel corso della sua pericolosa infermità sopraggiunta poco dopo la morte del padre di Beatrice (par. XXIII). E anche le tenere cure ricevute dalla «donna giovane e gentile [...]la quale era meco di propinquissima sanguinità congiunta» (ivi);
f) la studiata introduzione dell'antica donna del suo miglior amico (Guido Cavalcanti) insieme a Beatrice (par. XXIV);
g) soprattutto, la data assolutamente precisa (giorno, mese, anno) assegnata alla morte di Beatrice, accompagnata dalla constatazione che essa era del tutto inadatta al fine allegorico di Dante d’individuarvi la manifestazione del mistico numero nove, come già detto in proposito (par. XXX [XXIX]). Si ha la netta impressione che Dante sia stato costretto dagli eventi concreti a fornire questa data (sulla questione vd. infra, p. 570);
h) la lettera indirizzata «ai principi della terra» (par. XXXI [XXX]);
i) l’episodio del fratello di Beatrice, il suo secondo miglior amico subito dopo Guido Cavalcanti (par. XXXIII-XXXIV [XXXII-XXXIII]);
l) la visita dei pellegrini nella città in cui è cresciuta Beatrice (par. XLI [XL]).
Tutti questi episodi rivestono un'importanza indubbiamente variabile, ma nel complesso hanno un certo peso contro una teoria che li respinge perché esterni al corso principale dell’allegoria. Ciò non basta di certo ad affermare che si tratti di dettagli puramente e arbitrariamente inventati per ingannare (per così dire) il lettore, “per gettargli polvere negli occhi” e tessergli intorno una rete d’illusione sulla realtà storica del racconto di Beatrice. Tuttavia, per quanto riguarda il peso da dare a considerazioni di questo tipo, non va sottovalutato l'elemento soggettivo. Ogni lettore giudichi da sé. Εν τή αίσθήσει ή κρίσις [‘nel giudizio relativo alla sensazione’, Arist., Eth. Nic, 11 9 (1109b 23)]. Qualcuno potrebbe forse ritenere che sia una scusa sufficiente l'ammissione dell’autore che propone di tradurre l’allegoria «non rigo per rigo e frase per frase ma a mano libera [...], lasciando ampio spazio di esplorazione al lettore diligente». In questo modo il “lettore diligente”, che è così congedato con il familiare «alia per te vide» degli antichi commentatori danteschi, avrà mano libera nell’opera di ulteriore esplorazione cui viene invitato. Credo non sia affatto adeguata questa difesa condotta allo scopo di evitare di offrire ogni tipo di spiegazione per una così grande massa di eventi importanti e non vedo nemmeno che tipo di interpretazione allegorica si possa dare, con questa teoria, per la maggior parte di tali eventi. Ammetto che vi è una miscela molto ampia di allegoria e idealizzazione nel racconto storico della Vita nuova;8? ma non potrei mai credere (e per questo verranno subito presentate altre motivazioni) che il libro sia solo ed esclusivamente un’allegoria e che tutte le questioni relative alle eventuali basi storiche siano del tutto secondarie e poco importanti. Esattamente come se considerassi In Memoriam un esercizio poetico su un nome immaginario, come senza dubbio si sosterrà, un giorno, molto prima che questa poesia divenga antica quanto l’opera di Dante.
Concluderò questa parte della discussione citando alcuni passi del dottor Carpenter che, a mio avviso, a partire da una base storica di fatti, presentano un racconto dello sviluppo della Vita nuova molto pit naturale ed esauriente rispetto a quanto suggerito dall’abile autore che ho avuto la ventura di criticare: «La Vita Nuova è molto pit di un’opera d’arte come si sarebbe inizialmente inclini a immaginare. È vero che ha la forma di un’autobiografia, ma all'autore che scrive nel “caldo e nel colmo delle emozioni”, la sua vita passata non sembra una mera successione di fatti: lui li vede come una serie d'immagini animate, di tableaux vivants, emozioni incarnate in episodi, una progressione di eventi in un ideale cammino verso un fine ideale. Ed è questo il modo in cui un poeta concepisce la sua vita e, nel raccontarla, tende a enfatizzare alcuni avvenimenti di rilievo e a trasformare gli altri, insignificanti e ingannevoli, in modo da collocarli lungo la linea dello sviluppo ideale che ha scelto [...]. Nella sua mente i fatti acquisiscono una perfezione che hanno difficilmente nella realtà e tutto, forma, colore, luci e ombre, funziona secondo il desiderio dell’artista». E ancora (p. 46): «Al tempo di Dante [...] il saggio e lo sciocco erano entrambi convinti che, specialmente nel mondo dell’arte, ogni cosa avesse, o dovesse avere, un significato allegorico se osservato con occhio avveduto. È proprio cosî che sono state lette la Bibbia e l’Eneide ed è in questo modo che Dante voleva fosse letta la Divina Commedia [possiamo aggiungere anche la Vita nuova]». Poletto spiega in modo analogo la genesi della Vita nuova: «Nella Vita Nuova tutto è storia, tutto realtà; e sulla realtà Dante poggia i suoi simboli come l’edificio sulle fondamenta» (Alcuni studi, p.3). Si veda poi D'Ancona, nel Discorso, p. XXXV. Delécluze descrive così, felicemente, la natura complessa della Vita nuova: «Ces memoires, ce roman — car la Vie Nouvelle tient par quelque chose à ces deux sortes d’ouvrages — la Vie Nouvelle de Dante, enfin, est écrite sous trois formes qui se développent simultanément: le récit détaillé en prose, le méme récit condensé en vers, puis enfin expliqué dans un commentaire [...]. Ce livre est donc tout è la fois narratif, poétique, et philosophique» (Préface, p.1).