La topica dell'oppositore/aiutante nella Commedia: applicazione e reinterpretazione allegorica [Matteo Maselli]

Table of contents

Dati bibliografici

Autore: Matteo Maselli

Tratto da: La Parola del testo

Numero: 24

Anno: 2020

Pagine: 49-64

Il saggio qui proposto è da intendersi come studio teorico di alcuni meccanismi narrativi impiegati da Dante nella Commedia che consentiranno di mostrare la proficua attività laboratoriale che soggiace al «velame» della sua poesia.
Indagini di settore hanno già puntualizzato come Dante abbia prestato una rigorosa attenzione ai dettagli della trama, all’incastro delle sue parti e alla fluidità del discorso , nonché al rispetto reverenziale – non privo di audaci reinterpretazioni – per fonti e modelli antichi che fanno del suo testo un organismo vivo dai molti e indefiniti volti.
Nei suoi Dante Studies (1954/58), Singleton, ricorrendo ad una tanto fortunata quanto opportuna metafora, paragonava la scrittura della Commedia ai processi costruttivi della cattedrale di Chartes , intravedendo in Purg. XVII, il centro del poema, una modalità di lavorazione che Dante persegue senza esplicitarla al lettore e che potrà essere còlta solamente decriptando l’attività progettuale dell’autore. Prima di Singleton, ma non con esempi così diretti e pertinenti, fu Gioberti a rimarcare l’armonia dei particolari della Commedia, esempio assoluto di perfezione estetica e similitudine di una rigogliosa natura in fiore che accoglie e valorizza diversità per preservare l’integrità del microcosmo:

[…] si può dire dell’Alighieri ciò che altri affermò della natura; la quale è così mirabile nelle singole parti come nel loro complesso, e nelle cose menome, non meno che nelle grandi ed amplissime; e mette tanto studio nella composizione di un filo d’erba, d’un insettuzzo, di un fiorellino, come se questa fosse l’unica o la suprema delle sue opere .

Lo scritto che segue risponde alla medesima logica parteggiata da Singleton e Gioberti volendo dimostrare come la potenza evocativa e visiva di alcune scene cardine della Commedia possa giustificarsi e comprendersi meglio integrando ad altrui letture poetologiche, morali-estetiche, storico-psicologiche uno studio critico-ermeneutico che avrà come oggetto di riferimento il funzionamento interno del testo dantesco schiuso nelle sue singole parti costitutive. Verrà, pertanto, illustrata l’indicativa ricorrenza di uno schema topico che opera silente nella formazione della Commedia e che Danta ha costantemente fruito nonostante non sia stato ancora esaminato sistematicamente dalla critica internazionale e dalla dantologia nostrana. Mediante tale indagine verranno così rintracciate leggi proprie ed organiche che governano l’opera dantesca, in uno scenario che trova riscontro autorevole con l’idea desanctisiana della Commedia quale testo già intrinsecamente determinato da forme, concetti e strutture narrative .
La conclusione alla quale si approderà permetterà, emulando uno prospetto ricorrente negli studi su Dante di Yvonne Batard , di circoscrivere l’universale della poesia della Commedia per valorizzarne il particolare, cogliendo gli autentici e archetipici caratteri emersi dal lavoro creativo di Dante.

1. L’esegesi moderna della Commedia

Prima di rendere noto lo schema topico da adoperare come dispositivo esegetico di alcuni fondamentali passi danteschi, è doveroso interrogarsi sull’eventualità di applicazione di un approccio critico moderno potenzialmente dissonante con la cultura tardo-medievale della Commedia. È pertanto necessario partire dalla ricerca di una propedeutica giustificazione dell’impiego di una moderna metodologia critica su di un testo la cui datazione redazionale oscilla tra il XIII e XIV secolo.
Delineando la prassi di commento agli scritti danteschi, Boccaccio sosteneva che il dovere di uno studioso che si cimentava nell’indagare il contenuto della Commedia fosse triplice:

[Bisogna] spiegare l’artificioso testo, la moltitudine delle storie e la sublimità de’ sensi nascosi sotto il poetico velo della Commedia del nostro Dante .
Citando gli studi di Bellomo, autorevole esperto dei commenti danteschi, ne consegue addirittura che fu lo stesso Dante a concepire il suo testo come un oggetto che doveva essere corredato da un commento:

Dante è assolutamente consapevole della necessità di un commento per la lettura del suo poema e l’Epistola a Cangrande ne è la prova più chiara. Questa consapevolezza sta a indicare anche qualcosa d’altro: che il commento non solo è utile per la lettura della Commedia, ma è da questa postulato. Cioè a dire che il commento è previsto da Dante già a livello dell’ispirazione e che il poema nasce con questo presupposto .

Dal confronto incrociato tra gli obblighi di lettura segnalati dal Boccaccio e la presupposizione editoriale sulla centralità dei commenti promossa da Bellomo, risulta evidente, se non necessaria, l’esigenza di avvalersi di un processo ermeneutico per lo studio delle opere di Dante. Tuttavia, come accennato all’esordio di questo capitolo, la questione è un’altra: è lecito ricorre a moderne pratiche d’interpretazione testuale per un’opera tardo-medievale lontana storicamente e culturalmente dall’epoca in cui quelle pratiche sono state messe a punto?
Stando alle indicazioni di lettura della Commedia caldeggiate da Thomas Klinkert, occorre partire dalla consapevolezza che, sulla scorta della dipendenza del poema sacro dai commenti prefigurati da Dante, si può certo affermare che «la Commedia dantesca è situata in un rapporto di condizionamento mutuo con la critica letteraria quale erede del commento» . A ciò deve, però, far seguito la precisazione che, essendo un testo di per se mai fisso in un significato universale, inottenibile poiché muta il lettore e la sua pratica di lettura , è utopistico sperare di conseguire una forma di commento che riesca ad esaurire la totalità dei significati contenuti nel testo. Ciò risulta ancora più rimarchevole e problematico per la Commedia data la sua natura esplicitamente polisemica . Pertanto – continua Klinkert con un certo velo di amarezza – dinanzi al testo di Dante «i commentatori devono mettere l’accento su un’interpretazione parziale» . Malgrado ciò, una tale limitazione tipologica non è da intendersi necessariamente come negativa, poiché rappresenta, secondo una prospettiva inversa, un vantaggioso presupposto per consentire l’adozione di pratiche interpretative nuove e diversificate, le quali potranno avere il merito di definire meglio o ridefinire correttamente tratti analizzati parzialmente, in modo errato o addirittura tutt’ora inediti. Certamente, con ciò non si vuole tributare piena libertà d’azione al commentatore che rischierebbe altrimenti di cadere in un dannoso anacronismo interpretativo. È necessario, ovvero, evitare quello che Bellomo dichiara sia accaduto con il commento della Commedia di Iacopo della Lana scritto prima del 1328 nel quale si segnala una tale liberta interpretativa rispetto al testo di riferimento da rendere quest’ultimo un «pretesto» che dava adito a questioni diversificate e del tutto autonome dalla Commedia .
Scongiurato un simile rischio, una prima legittimazione per un approccio postmoderno al testo di Dante è decretata, stando agli studi di Cornelia Klettke, dalle intuizioni di Ulrich Prill che, ragionando sulla distinzione tra sensus litteralis e sensus allegoricus proposta nell’Epistola XIII, ha alleggerito il sistema del quadruplice seno della scrittura della Commedia rispettando così i dettami di san Tommaso per i quali la quadripartizione del senso della scrittura non doveva essere accostata a testi extrabiblici o profani :

Lo stesso Dante rinuncia […] all’applicazione sistematica della dottrina del quadruplice senso della scrittura alla sua Commedia. Anzi, in relazione al proprio testo il significato del concetto di «allegoricus» resta piuttosto equivoco. Dante, quindi, non fornisce alcuna interpretazione univoca del testo ma ne riserva la spiegazione dettagliata […] ai suoi lettori, limitandosi semplicemente a ricordare che la Divina Commedia possiede diversi piani di senso, ma non stabilendo come questi piani di senso debbano essere descritti dal punto di vista del contenuto .

Indipendentemente dal riscontro d’autenticità della mano dantesca dell’Epistola a Cangrande, ciò che conta è l’emergere di una possibilità di «lettura creativa» della Commedia – come la definisce Prill –, la quale autorizza nuove ed insospettate prospettive di studio della stessa:

[I]l critico letterario cede alla seduzione di rivolgere al testo della Commedia anche domande insolite e fino ad allora ritenute inappropriate, di infrangere certi tabù e, con un cambio di prospettiva, di dare nuove valutazioni e scoprire ambivalenze .

Insomma, come chiarisce anche Rino Caputo valutando la fortuna di Dante nel moderno Occidente , sono in atto varie metodologie ed epistemologie contemporanee riconducibili ad una sensibilità critico-ermeneutica novecentesca che possono reputarsi come alternativi, ma non meno efficaci, approcci di ricerca della Commedia rispetto alle consolidate, e in alcuni casi superate , tradizionali pratiche d’indagine:

La varietà di approcci esegetici permette di rinnovare continuamente il rapporto con il testo dantesco e con il piacere della sua lettura, perché, al di là delle forti differenze d’impostazione tra le tradizioni critiche, universale a ogni lettore è il piacere della lettura .

Caputo conclude questa sua riflessione chiosandola con l’impressione di lettura che Eliot ebbe di Dante, per il quale il fiorentino sarebbe «facile a leggersi» . Mario Luzi, altro insigne poeta, chiarisce forse meglio la questione fin qui trattata riconoscendo vera l’opinione che la comprensione di Dante passi inevitabilmente dalla conoscenza sistematica della cultura medievale, ma solo fintanto che questa «serva a stabilire un termine di confronto e non una pretesa di intelligenza totale» .

2. Il paradigma topico dell’Oppositore/Aiutante

Dopo queste doverose premesse si è legittimati a svelare i particolari dello schema narrativo ad alta occorrenza nelle cantiche dantesche prima accennato e la cui implementazione al testo di Dante ne permetterà l’attribuzione di una nuova significazione. Tale paradigma può qualificarsi come topica dell’Oppositore/Aiutante, schema che opera seguendo un sistematico funzionamento: l’Aiutante, utilizzando un oggetto-simbolo o mostrandosi egli stesso come simbolo, riesce a sopraffare l’Oppositore/Ostacolo azionando nuovamente il movimento del Soggetto, prima interrotto, inserendolo in una significazione non più narrativamente neutra ma allegoricamente caratterizzata, ovvero imperniata di «verità permanenti di natura religiosa o morale» .
Nonostante l’elevata incidenza che tale modello ha avuto nella tradizione letteraria esterna alla Commedia, presupposto di per sé sufficiente per verificarne la presenza anche nel poema sacro, in pochi hanno rintracciato e studiato le implicazioni narrative che ha avuto sulle cantiche dantesche. Ad oggi, il riscontro di uno schema narrativo che prevede l’impedimento al movimento del Soggetto dovuto ad un ostacolo invalicabile e interpretato in prospettiva allegorico-simbolica è stato solamente sfiorato da un’eruditissima esposizione sull’allegoria che Galvano Della Volpe ha dedicato alla lupa che sbarra il cammino di Dante in Inf. I:

[…] in «ma tanto lo ‘mpedisce che l’uccide» […] la fusione del letterale o reale e del simbolo o allegorico è perfetta, essendovi l’azione aggressiva di sbarrare il cammino proprio di una lupa reale e un tale risultato di questa azione ch’è, sì, un mortale danno morale, ma in quanto realmente, fisicamente, consiste nel subire un impedimento per un movimento contrastato e un impedimento ch’è poi moralmente letale perché ciò che viene contrastato è luogo di salvezza, il colle della vita virtuosa .
Tuttavia, oltre a non integrare il blocco dell’azione con la contrapposizione dell’aiutante che consente il movimento – Virgilio in questo caso –, Della Volpe non canonizza tale paradigma che rimane strumento ermeneutico-critico di inespressa potenzialità interpretativa poiché non impiegato sistematicamente sul testo dantesco. Malgrado ciò, bisogna riconoscere al Della Volpe il merito di aver categoricamente stabilito l’indispensabilità del livello allegorico-morale della poesia della Commedia, tratto essenziale anche per lo schema topico sopracitato, in quante le conferisce quell’«unità […] senza cui qualunque parte o episodio del poema perde la sua sostanza espressiva, artistica, col perdere appunto il suo puntuale significato universale, simbolico (allegorico)» .
È plausibile che il mancato riscontro da parte di abili ed esperti dantisti della topica che si esaminerà sia dovuto al rifiuto di un invece necessario esularsi momentaneo della dantologia pura per poter discernere la teoria che soggiace al paradigma Oppositore/Aiutante. Una compiuta configurazione dello stesso è infatti conseguibile solamente addentrandosi nei terreni di studio propri della semiotica, guidati da un nume tutelare che ha nome Algirdas Julien Greimas. Pertanto, quanto segue è da intendersi come sintetico ma esaustivo prospetto con il quale si presenterà l’iter di formazione del quadrato semiotico di Greimas, definizione tecnica della prosastica topica Oppositore/Aiutante, che verrà poi traslato sugli scritti di Dante: una necessaria e dovuta deviazione dalle tematiche dantesche per poterle poi meglio comprendere.

2.1. Volontà e resistenza all’azione

Nella sua fondamentale Semantica Strutturale (1971), Greimas sostiene che affinché si realizzi una «manifestazione del contenuto in quanto tale» è indispensabile il verificarsi di una congiunzione tra il livello semiologico (che studia i segni linguistici) e quello semantico (che studia i significati). All’accadere di ciò si genera una significazione, ovvero una successione di effetti di senso, forma narrativa interamente strutturata in nodi universali di numero finito detti «attanti» . Indagini di questo tipo rientrano nello studio del «modo di esistenza» delle strutture di significazione. Al contrario, si deve approdare al «modo di presenza» di quest’ultime, ovvero ragionare sulle loro possibili modalità d’impiego. Scrive, infatti, Greimas che «[l]a comunicazione è […] un atto e, appunto per questo, essa è soprattutto una scelta» . Per consentire tale shifting tematico occorre categorizzare gli attanti, individuare delle categorie in cui questi «potranno fornire i quadri strutturali che permetteranno di organizzare i contenuti […] entro i microuniversi manifestati» . Da qui deriva il noto modello attanziale di Greimas formato da sei elementi : Soggetto, Oggetto, Destinatore, Destinatario, Oppositore, Aiutante.
Tenendo bene a mente quanto riferito prima sulla scelta di determinate significazioni da parte della comunicazione e di esclusione di altre, nonché la sottolineatura che la manifestazione delle stesse significazioni nel discorso – ovvero la produzione di una forma narrativa – operi contemporaneamente su due piani «ponendo contenuti e tessendo contemporaneamente reti di relazioni tra termini semici eterogenei» , è possibile considerare in fase di analisi letteraria anche solo alcuni dei sei attanti (viene rispettato il principio per il quale «la comunicazione sceglie […] determinate significazioni e ne esclude altre»), con la premessa di ammettere comunque l’esistenza dei restanti non contemplati. Forti di questa logica, si potrà valutare la sola categoria attanziale Oppositore/Aiutante poiché rappresenta una coppia eterogena che produce una struttura narrativa in virtù del rispetto dei due principi che per Greimas originano la significazione: la simultaneità di due termini-oggetto (Oppositore/Aiutante) e la relazione tra i due (coppia eterogena).
Giunti ad un tale grado di analisi, ci si può concentrare sulla categoria attanziale Oppositore/Aiutante, la quale è identificabile quando si attestano due distinte tipologie di funzione:

1. Le une che consistono nel fornire l’aiuto agendo nel senso del desiderio […].
2. Le altre che, invece, consistono nel creare ostacoli, nell’opporsi alla realizzazione del desiderio .

Prima di procedere oltre è bene illustrare cosa Greimas intenda per «desiderio» e quale significato assegni all’azione che ne permette/non ne permette la piena realizzazione. Per far ciò bisogna riflettere su un’altra coppia attanziale, quella del Soggetto/Oggetto, che precede nell’ordine di esposizione di Greimas la categoria Oppositore/Aiutante ma che è ad essa strettamente correlata.
Confrontando la posizione di Propp e di Souriau sulle funzioni narrative, Greiams nota, non senza stupore, che la relazione che intercorre tra il Soggetto e l’Oggetto è calibrata sul desiderio:

Sembra possibile immaginare che la transitività o, come abbiamo proposto di chiamarla, la relazione teleologica, posta sulla dimensione mitica della manifestazione, si riveli in base a questa manifestazione semica, come un semema che realizza l’effetto di senso «desiderio» .

L’aspetto che preme rimarcare è soprattutto la prassi in cui si manifesta il desiderio: questo sarà «manifestato sotto la forma insieme pratica e mitica di “ricerca”» , che può intendersi anche alludendo alla componente che la presuppone, ovvero al movimento, all’azione. Tra Soggetto e Oggetto vi è, allora, un movimento di ricerca, un approssimarsi al desiderio. Da ciò si comprende meglio cosa significhi che l’Aiutante agisca per la realizzazione del desiderio e che l’Oppositore si impegni per impedire che ciò avvenga:

[L]’aiutante e l’oppositore sono semplicemente proiezioni della volontà di agire e delle resistenze immaginarie del soggetto stesso […] in relazione al suo desiderio .

Ovvero, tra Aiutante e Oppositore si istituisce un rapporto di scontro tra il non-movimento (Oppositore) e il movimento (Aiutante) nei confronti del verificarsi di un evento.
Ma come possono traslarsi in una configurazione narrativa concetti come quelli appena delineati che denotano un tecnicismo speculativo lontano da ogni tangibile forma artistica? È possibile farlo qualora si riesca ad esplicitare semanticamente l’antagonismo che divide l’Oppositore dall’Aiutante attribuendo allo scontro tra i due un significato che trovi un raffronto nella pratica letteraria. È Greimas che scioglie il dubbio:

[O]gni cosa avviene come se […] apparissero […], nello spettacolo proiettato su uno schermo assiologico, degli attanti che rappresentano, in modo schematico, le forze benefiche e malefiche del mondo .

Pertanto, accordando alla coppia Oppositore/Aiutante i ruoli effettivamente posseduti nella narrazione di personaggi tipizzati, si potranno osservare le seguenti caratteristiche proprie: l’Aiutante, per quello che si è detto pocanzi, verrà considerato quel personaggio che, rispetto al Soggetto-protagonista della vicenda, compie un atto benevolo di movimento verso il bene, da intendersi come un aiuto affinché il Soggetto-protagonista possa portare a termine la sua missione, sia in relazione all’evento singolo in cui interviene l’Aiutante che in un quadro narrativo più complesso ed esteso (scena singola vs opera intera). Al contrario, ed utilizzando il medesimo ragionamento applicato all’Aiutante, l’Oppositore dovrà considerarsi quel personaggio che, rispetto al Soggetto-protagonista, compie un atto malefico di non-movimento, ovvero rappresenta un ostacolo verso il bene che impedisce al Soggetto-protagonista di trionfare nella sua missione.
Constatata l’applicabilità di questo modello allo studio dei processi narrativi, si potrà addirittura individuare un contesto letterario in grado di accoglierlo integralmente e di conferire, tra le diverse opzioni identitarie plausibili, una personalità precisa all’altrimenti vago binomio Oppositore/Aiutante:

[Coloro che agiscono verso il bene o parteggiano per il male sono] […] incarnazioni dell’angelo custode e del diavolo nel dramma cristiano del Medio Evo .

Stando alle parole di Greimas non solo è lecito, ma è addirittura opportuno adoperare lo schema che si è tratteggiato per l’analisi di opere medievali erette su un fondale assiologico, uno sfondo che propone una gerarchizzazione dei valori morali e dei loro contrari e nel quale si succedono compiutamente lotte e dissidi tra le forze del bene e del male. Per inferenza, è una topica assimilabile anche alla Commedia essendo il testo dantesco un «corpus di comportamenti moralizzati e cioè mitici, che rivelano una struttura attanziale implicita» assiologica. Tuttavia, per assicurarsi la validità d’impiego di un intervento di tale portata sono d’obbligo ulteriori raffinamenti delle nozioni esposte da Greimas. In primis è necessario qualificare meglio l’Oppositore e l’Aiutante evidenziando come entrambi possano proporsi anche come esseri inanimati se continuano, comunque, ad «opporsi alla realizzazione del desiderio» (Oppositore) o a «fornire l’aiuto agendo nel senso del desiderio» (Aiutante). Secondariamente, ed è questo il punto su cui ora occorre riporre l’attenzione, bisogna integrare la categoria attanziale Oppositore/Aiutante al quadrato semiotico di Greimas per poter ricavare un compiuto e funzionale strumento esegetico con il quale studiare interi eventi narrativi. Solo allora il modello degli attanti, «a livello degli effetti di senso, […] potrebbe servire di punto di partenza per una stilistica attanziale che rendesse ragione dei procedimenti di personificazione, di reificazione, di allegoria, anche forse di alcuni tipi di figure» .

2.2. Il quadrato semiotico di Greimas

L’assimilazione della categoria attanziale Oppositore/Aiutante al quadrato semiotico di Greimas è convalidata dalla vicinanza degli attanti allo stesso quadrato come si evince ripercorrendo le tappe di formulazione di quest’ultimo che tengono conto proprio delle funzioni degli attanti.
Dopo aver elencato l’inventario delle 31 funzioni del racconto selezionate da Propp in Morfologia della fiaba (1928), Greimas ne tenta una rielaborazione, mediata da un processo di sintesi, preposta alla produzione di un modello attanziale. Tuttavia, anche dalla riduzione del numero delle funzioni di Propp – Greiams le raccoglie in fasci compatti di elementi simili – risulta un inventario più scarno ma comunque poco maneggevole per la sistemazione di un modello attanziale. Impegnato nella ricerca di una soluzione al problema, Greimas ragiona per «contrari». Nello specifico, congetturando sulle funzioni del divieto e dell’infrazione, ed eleggendole a cavie speculative, Greimas vi applica la lezione di Lévi-Strauss:

Come ha notato Lévi-Strauss nella sua critica a Propp (La struttura e la forma) il divieto è in sostanza «trasformazione negativa» di una imposizione, cioè di ciò che noi abbiamo designato col termine «mediazione» .

Emulando le presupposizioni del ragionamento di Lévi-Strauss, Greiams conclude che l’infrazione è una «trasformazione negativa» dell’accettazione. Pertanto, se indichiamo con A la mediazione, la sua «trasformazione negativa», ovvero il divieto, sarà catalogato come non A; ugualmente, se indichiamo con A1 l’accettazione, la sua «trasformazione negativa», ovvero l’infrazione, verrà posta sotto la dicitura di non A1. Ecco rintracciati gli elementi strutturali del quadrato semiotico di Greimas:

[È] chiaro che i quattro termini sono manifestazioni di un sistema semico che possiamo indicare:

a livello iperonimico, come articolazione di una categoria

A / A1;

Oppure a livello iponimico, ove ognuno dei termini rivela a sua volta un’articolazione categorica, come un sistema

A/(non A^1 )/A^1/(non A)

Deprivando il livello amorfo delle diciture alfanumeriche sopraelencate sarà possibile permutarle con le più tangibili figure dell’Oppositore e dell’Aiutante e ottenere così lo schema di base, anch’esso da dover poi sottoporre a sostituzioni varie, che potrà adoperarsi per l’analisi di alcuni eventi danteschi. Si presti attenzione alle seguenti modifiche di contenuto.
Dato:
Ostacolo/Oppositore = A
Aiutante = A1
A / A1
Tuttavia, è stato espressamente indicato come tra l’Aiutante e l’Oppositore sia in atto un rapporto di movimento (Aiutante) vs non-movimento (Oppositore) nei confronti dell’espletarsi di un evento. Pertanto si avranno le seguenti equivalenze:

Oppositore = A = non-movimento

Aiutante = A1 = movimento

Nondimeno, stando alle indicazioni espresse in fase di costruzione del quadrato semiotico di Greimas, può anche dirsi che:

L’Ostacolo è una trasformazione negativa (non) del movimento (A1) > quindi non A1
L’Aiutante è una trasformazione negativa (non) del non-movimento (A) > quindi non A

non A1 / non A

Per cui, «[s]e si considera che le due sequenze [A / A1; non A / non A1] contengono l’essenziale dell’investimento semantico del racconto, se ne deve dedurre che la lettura di esse deve dare la chiave della significazione del racconto» e dalla combinazione delle stesse potrà ricavarsi così il seguente quadrato semiotico:
A/(non A^1 )/A^1/(non A)

Analizzando i rapporti tra i costituenti di tale quadrato si evince che:

A e A1 sono contrari
A e non A sono contraddittori (l’Oppositore contraddice il movimento); A1 e non A1 sono contradditori (l’Aiutante contraddice il non-movimento)
non A1 e non A sono subcontrari (tra i due c’è una zona intermedia in comune)
A e non A1 sono complementari (l’Oppositore implica il non-movimento); A1 e non A sono complementari (l’Aiutante implica il movimento)

Non vi è quindi più una semplice opposizione binaria, bensì una correlazione di due categorie binarie che Greimas suppone «debba avere portata generale» per l’analisi letteraria. Il modello greimasiano è il quadrato semiotico, «dove il termine-chiave si sviluppa in una dialettica più aperta e complessa combinandosi con i termini “contrari” e “contraddittori”» .
Infine, accostando la categoria attanziale Oppositore/Aiutante al quadrato semiotico, può questo così essere sciolto:
Oppositore/(non-movimento)/Aiutante/movimento
Finalmente può dirsi elaborato nella sua interezza lo strumento esegetico che si cercava e che di volta in volta potrà adeguarsi narrativamente alla scena dantesca da analizzare attraverso la permutazione delle generiche categorie Oppositore/Aiutante e dei corrispettivi effetti (non-movimento/movimento) con personaggi e/o oggetti propri della poetica di Dante. Uno strumento duttile ma penetrante per dispiegare il senso nascosto di interi blocchi narrativi che presuppongono la presenza di un ostacolo che impedisce in modi diversi l’avanzata di Dante nei tre regni dell’Oltretomba e/o l’adempimento della sua missione, e di un aiutante che con il suo agire rimuove l’ostacolo azionando nuovamente il movimento che era stato interrotto. Inoltre, tenendo a mente che nella fictio narrativa della Commedia l’incedere di Dante è voluto da Dio , si potrà notare come lo scontro tra il non-movimento determinato dall’Ostacolo (marca negativa) verrà sempre risolto a favore del ritrovato movimento (marca positiva) conseguito con l’intervento dell’Aiutante:

Lo scontro appare innanzitutto come lotta dell’aiutante e dell’oppositore, cioè manifestazione […] di ciò che potremmo considerare come il termine positivo e il termine negativo della struttura di significazione complessa. La lotta è immediatamente seguita dalla funzione «adempimento» che significa vittoria dell’aiutante sull’oppositore, cioè della distruzione del termine negativo a vantaggio dell’unico termine positivo .

3. L’applicazione della topica Oppositore/Aiutante alla Commedia

Come accennato ad inizio del capitolo due, la topica Oppositore/Aiutante non può ritenersi di esclusiva paternità dantesca. Molto prima di Dante e parallelamente al suo operare si registra un fiorente e diversificato utilizzo di tale modello che è quindi da considerarsi connaturato ad una più generica e antica prassi compositiva. Tuttavia, rispetto alla tradizione, Dante nobilita gli effetti prodottisi a livello narrativo dall’impiego del paradigma descritto. Ricorrendo ad una componente simbolica, Dante utilizza la topica come dispositivo d’innesto di una significazione allegorica attribuibile alla scena sviluppatasi partendo dallo scontro Oppositore/Aiutante e che pertiene al duplice livello di contenuto che Jean Pépin discerne nell’allegoria:

Si tratta di due procedimenti, senza dubbio complementari ma di segno contrario, in ogni caso assai diversi: un modo di parlare e un modo di capire, un procedimento retorico e un atteggiamento ermeneutico confusi assieme a partire dall’antichità, e fino ai giorni nostri, sotto il nome di «allegoria» .

In Dante, interpretazione ed espressione allegorica, la ricerca di un senso nascosto oltre quello letterale e il dire altro da sé, interagiscono stabilmente. Lo stesso fiorentino ricorse ad un’esegesi allegorica per lo studio di opere pagane, delle Sacre Scritture nonché per arricchire il contenuto dei suoi stessi lavori. Risaputa era la dichiarata intenzione di Dante di riservare la medesima esegesi alle canzoni del Convivio dopo averne spiegato il sensus litteralis (il problema dell’allegoria verrà accennato anche nella Monarchia e nell’Epistola XIII). Chiaramente, approccio affatto diverso è tributato anche alla Commedia:

[I]n Dante scopriamo, accanto a un’esegesi allegorica che prende come oggetto i dati a lui esterni, un’altra esegesi del tutto simile che egli saggia sulle sue stesse opere. Se per designare quest’ultimo procedimento osassimo forgiare un neologismo […] potremmo parlare di «auto-allegoresi». Il termine […] corrisponde a un aspetto originale della pratica letteraria di Dante, che appare senz’altro estranea ai suoi predecessori e ispiratori, tanto patristici che medievali .

L’esercizio dell’auto-allegoresi presuppone anche che Danta abbia calato in punti scelti della Commedia delle figure simboliche la cui decodifica rivela contenuti allegorici circoscritti a singole parti narrative ma così rivelatori da integrarsi all’unitario prospetto allegorico dell’intero viaggio ultraterreno. Il quadrato semiotico impostato sulla coppia Oppositore/Aiutante accoglie proprio tali tracce simboliche e l’esito del funzionamento della suddetta topica (movimento vs non-movimento) equivale alla materia allegorica della narrazione.
Per testare la validità di tale paradigma verrà ora impiegato, condividendo la pratica di lettura incrociata della Commedia proposta da Hollander (vertical reading) , su due scene strutturalmente affini di Inf. IX e Purg. IX.

3.1. Contesti incrociati d’utilizzo: Inferno IX e Purgatorio IX

3.1.1. La porta di Dite e il messo divino

Oltrepassato il fiume Stige Dante e Virgilio si trovano al cospetto della luciferina città di Dite. La porta che ne serra l’ingresso rappresenta un ostacolo inevitabile da dover affrontare per poter accedere al basso inferno, poiché questa «cigne d’intorno la città dolente» (Inf. IX, v. 32) rendendo impraticabili alternativi passaggi. Il lettore comprende la difficoltà dell’avanzamento da Virgilio che in una sorta di monologo meditativo non rivolto a Dante indica che impossibile è il procedere «se non… Tal ne s’offerse» (v. 8). Il mantovano sta qui alludendo, come già aveva fatto nel canto precedente , al messo divino, unico mezzo disponibile per consentire il prosieguo del cammino. La sospensione della frase di Virgilio lascia spazio ad un dubbio momentaneo sull’effettiva riuscita del viaggio, che però è subito soffocato dalla certezza della benevolenza celeste. Tuttavia, ragionando in termini di costruzione dell’evento, il troncamento della frase e il conseguente vuoto del parlato di Virgilio può altresì rimandare all’utilizzo dell’immaginazione per prefigurare il seguito. Finché l’angelo non appare, immaginare che di lì a poco avverrà un colpo di scena è l’unica risorsa che il lettore ha – non si dimentichi che Virgilio non si sta rivolgendo a Dante – per sperare che i due personaggi possano entrare in Dite. D’altronde, è questa una situazione testuale consona alla narrativa dantesca, come ebbe a dire Foscolo commentando le immagini che da questa affioravano:

[Le immagini di Dante] sono ardite e prominenti figure di un alto rilievo, che ti sembra di poter quasi toccare, e cui l’immaginazione supplisce prontamente quelle parti che si nascondono alla vista [corsivo mio]

L’«offrirsi» del messo divino come figura risolutiva di una situazione altrimenti irrisolvibile rimanda ad un altro benevolo intervento d’aiuto senza il quale Dante non avrebbe avuto occasione di dare inizio al suo viaggio nei tre regni dell’Oltretomba. Il riferimento va, chiaramente, alla prima apparizione di Virgilio in Inf. I che «si fu offerto» (Inf. I, v. 62) al Dante che rovinava in basso loco. Thomas Klinkert, descrivendo il primo incontro tra Dante e Virgilio in relazione alla doppia codificazione del testo della Commedia secondo l’interpretazione crociana , riconosce tra le tre funzioni di Virgilio anche quella di salvatore: «[quella] di maestro e modello di scrittura, quella di saggio e quella di salvatore» . Tuttavia, contrariamente alla funzione svolta ai piedi del monte di Inf. I, ora davanti ai bastioni chiusi della città di Dite Virgilio non è più sufficiente ai propositi di Dante poiché, in uno scenario in cui è richiesto un intervento di natura divina, il mantovano, personificazione del pensiero pagano, non può che essere momentaneamente declassato rispetto al potere della Grazia Santificante di cui il messo angelico è chiaro portavoce:

At this critical point in the journey Reason (i.e., Virgil) is revealed to be inadequate; Divine Grace, through the mediation of the messo, must intervene in order to assure that the Christian soul (Dante the way farer) may continue the pilgrimage toward salvation. In this interpretative frame the doctrine, if not entirely lost, is certainly somewhat diminished .

Only through Christ and in imitation of him can the door of Tartarus be unlocked .

Ecco che allora sopraggiunge il valido aiuto promesso dal cielo:

Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo
(Inf. IX, v. 85)

Nonostante nel tempo commentatori antichi e moderni abbiano proposto le più diverse interpretazioni del personaggio planato sopra lo Stige , la parafrasi «da ciel messo» indica senza alcun dubbio che si tratti di un angelo inviato da Dio. Tuttalpiù, Virgilio sprona Dante ad inginocchiarsi in segno di reverenza, gestualità che verrà ripetuta al cospetto degli angeli purgatoriali .
Con la comparsa del messo divino si hanno finalmente a disposizione tutte le componenti del quadrato semiotico di Greimas che possono così essere assemblate:

(Porta chiusa di Dite (Oppositore))/(Impossibilità d^' accesso al basso Inferno (non-movimento) ) /(Messo divino (Aiutante))/(Accesso al basso Inferno (movimento))

Stando ai rapporti tra gli elementi della doppia correlazione binaria visti prima può ottenersi il seguente prospetto:

Tra la porta chiusa di Dite e il messo divino v’è un rapporto di conflittuale reazione.
Tra la porta chiusa di Dite e l’accesso al basso Inferno v’è un rapporto di contraddittorietà poiché la prima impedisce l’accesso al secondo; tra il messo divino e il non accesso al basso Inferno vige una relazione di contraddittorietà in quanto l’angelo invalida il non-movimento verso il basso.
Tra l’impossibilità d’accesso al basso Inferno e l’eventualità che ciò avvenga vi è un rapporto di subcontrarietà: tra le due opzioni vi è una zona comune da intendersi come la potenzialità di accadimento/non accadimento dell’evento che cade esattamente nel lasso di tempo racchiuso tra il dubbio di Virgilio (potenzialità di non accadimento) e l’apparire dell’angelo (accadimento).
La porta chiusa di Dite è complementare al non-movimento verso il basso Inferno – lo implica; il messo divino è complementare al prosieguo del cammino – lo implica.

La scena qui proposta rientra, inoltre, nell’opzione in cui l’Aiutante-angelo è in possesso di un oggetto-simbolo con il quale apre la porta di Dite:

Venne alla porta, e con una verghetta
l'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno.
(Inf. IX, vv. 89-90)

La verga, indicata con un diminutivo che allude alla facilità dell’operare dell’angelo, è un simbolo del potere: «questa verghetta dinota la giurisdizione e signoria della quale Iddio investì questo angelo» .
Ricostruito in tutte le sue parti, persino quelle simboliche, resta ora da vedere come Dante sprigioni da questo schema oppositivo la significazione allegorica che si è detta insita nel funzionamento dantesco della summenzionata topica.
È pratica abbastanza comune riferirsi al succedersi degli eventi fuori la città di Dite come ad una sacra rappresentazione concitata e frenetica sia nella tipologia dei personaggi coinvolti che nel comparto tecnico-stilistico di cui Dante si avvale per presentarceli. Già il Sapegno ricordava come la tecnica narrativa del poeta, qui declinata in un febbrile avvicendarsi di scene giustapposte grazie ad un montaggio ritmico incalzante, giunga ad una piena compiutezza poiché Dante è consapevole di dover descrivere il superamento di un ostacolo di più ardua portata rispetto alle pur difficoltose prove occorse nell’alto Inferno:

Questa sorta di sacra rappresentazione risponde a una precisa ed evidente esigenza strutturale: sulla soglia della città di Dite, mentre il pellegrino s'accinge ad affrontare la parte più ardua del suo viaggio, si ripresentano, con rinnovata gravità, le ragioni di ansia e di perplessità, i dubbi, gli ostacoli e i pericoli, che s'erano già affacciati ed erano stati provvisoriamente superati all'inizio dell'impresa [corsivo mio].

Tra i tanti che hanno affrontato la questione , si deve a Iannucci il merito di aver studiato sistematicamente il parallelismo tra l’evento che ha come protagonista il messo divino e la Descensus Christi ad Inferos del Vangelo di Nicodemo, la quale vicinanza tematica conferisce alla scena in cui l’angelo apre le porte di Dite una significazione allegorica che rimanda allo scontro tra le forze del bene e quelle del male. Si è dunque perfettamente riprodotta la logica che in Greimas consente il ricorso alla topica Oppositore/Aiutante come congegno narrativo in quanto, come detto prima, «su uno schermo assiologico, degli attanti rappresentano, in modo schematico, le forze benefiche e malefiche del mondo» .
Inoltre, condividendo una prassi di studio ricorrente in Bosco, incline a scomposizioni narratologiche di interi passi danteschi in «momenti dell’azione» , Iannucci espone un’inoppugnabile congruenza tra la struttura narrativa tripartita della Descensus e Inf. VIII-IX. Nel Vangelo di Nicodemo si ha nell’ordine: 1. Satana e le sue truppe si dispongono all’offensiva contro Cristo; 2. l’apparire di Cristo e l’apertura delle porte infernali; 3. la liberazione dei Patriarchi, dei profeti e di altre figure dell’Antico Testamento. In Dante il primo movimento copre i versi 67-130 di Inf. VIII (i diavoli impediscono l’ingresso nella città di Dite; Virgilio cerca di negoziare con essi); il secondo movimento corrisponde ai primi sessanta versi del canto IX e si conclude con l’invocazione di Medusa da parte delle Arpie; infine, il terzo movimento coincide con l’apparire e l’agire del messo divino (Inf. IX, vv. 64-105). Può, quindi, concludersi che:

Although the harrowing is displaced in Cantos VIII and IX, the essence of the theme […] is recovered, and so are the structure, tone, and dramatic rhythm of traditional accounts. In short, the whole episode is an original and powerful stylistic reworking of the harrowing of Hell, governed by the laws of Dante’s cultural syncretism .

La componente allegorica delineatasi con il sopraggiungere del messo divino è d’altronde anticipata da Dante con una momentanea sospensione della narrazione durante la quale si rivolge ai lettori:

O voi ch’avete li ’ntelletti sani,
mirate la dottrina che s’asconde
sotto ‘l velame delli versi strani.
(Inf. IX, vv. 61-63)

Nel noto saggio «Gli appelli di Dante al lettore» (Studi su Dante, 1929), Auerbach riconosce al passo di Inf. IX – insieme a Par. II, vv. 1-15 – la più nobile e suggestiva forma della pratica con cui Dante richiama l’attenzione di chi ha «’ntelletti sani», quella, ovvero, in cui si registra l’impiego del solenne vocativo dell’invocazione classica seguito dall’imperativo . Tuttavia, per rinvenire l’allusione allegorica in questi versi è necessario accostare all’interpretazione formale di Auerbach la constatazione del Della Volpe che riflettendo sul velame dei versi strani citati da Dante scrive:

[C]on la dottrina che si nasconde sotto il velo dei versi strani e che si svela solo agli sguardi dei lettori di mente sana, ci troviamo certamente di fronte a un’indicazione di allegoria formulata nei termini più classici. Con un procedimento insolito per le antiche letterature, è Dante stesso ad avvertire che il contesto di questi tre versi è stato scritto con un’intenzione allegorica sebbene gli eruditi di oggi si affannino molto a identificarla .

Interessante è anche l’idea proposta dal Sapegno che in un ideale chiusura del cerchio intreccia in una progressione logica l’aspetto strutturale, allegorico e topico dell’evento che anticipa il paradigma Oppositore/Aiutante:

Guardando al complesso dell'episodio, che dev’esser ricondotto a una funzione unica dottrinale e strutturale (in rapporto con l’allegoria generale del poema), sembra chiaro che Dante, sul punto di affrontare la parte più difficile del suo viaggio infernale […] abbia voluto sottolineare i più gravi ostacoli che l’uomo incontra e deve superare in questo suo sforzo per salvarsi .

Pertanto, ritornando alle intuizioni di Iannucci, con la rielaborazione della Descensus Christi ad Inferos Dante ricrea anche il valore allegorico da questa posseduta. Ciò che Iannucci non nota è il peso che la correlazione tra la struttura Oppositore/Aiutante (Cristo/Satana) ha nella determinazione del livello allegorico in Dante. Se l’affronto dell’angelo alle leggi demoniache che sbarravano l’ingresso di Dite ha potuto assumere una simbolizzazione allegorica della rivalità morale tra il bene e il male, ciò è dovuto all’ingegnosità artistica di Dante che è stato in grado di riprodurre per Inf. IX il medesimo schema narrativo applicato allo scontro tra Cristo e Satana, il quale corrisponde perfettamente alla topica dell’Oppositore/Aiutante. Pertanto, è l’intelaiatura narrativa topica, sulla quale poi andranno a collocarsi i concetti simbolici, che ha consentito prima di ogni altra istanza la presupposizione di una significazione allegorica dell’evento di Inf. IX. Se Dante non avesse messo a contrasto forze oppositive non vi sarebbe stata nessuna allegoria etico-morale come quella che coinvolge la rivalità Cristo-Satana, né sarebbe stata espressa la raffigurazione mitica dei tratti valoriali della benevolenza divina (carità, pietà, predisposizione all’aiuto) e, per contrasto, delle disdicevoli depravazioni demoniache (indifferenza, imperturbabilità al soccorso).

Insomma, se Inf. IX possiede uno specifico significato allegorico (scontro bene-male) ciò è dovuto all’applicazione al canto infernale della topica Oppositore/Aiutante – con tutti gli effetti ad essa corredati (movimento/non-movimento) – in una forma (Porta/Angelo) che deriva dal più originario degli schemi oppositivi Cristo/Satana.

3.1.2. La porta del secondo regno, l’angelo-custode e il rito penitenziale

Uguale logica interpretativa pertiene ad altri noti passi della Commedia. Come per Inf. IX, nel corrispettivo canto purgatoriale Dante deve compiere un atto d’accesso, qui oltrepassando una stretta fenditura rocciosa rialzata da tre gradini di diversa cromatura e a guardia della quale v’è un angelo, un «portier ch’ancor non facea motto» (Purg. IX, v. 78). Si tratta della porta del Purgatorio attraversata la quale Dante e Virgilio potranno accedere alle cornici del secondo regno. Rispetto al parallelo Inf. IX, dove Dante è spettatore passivo dell’incedere degli eventi che ne permettono l’ingresso a Dite, ora è richiesta una partecipazione attiva per poter rompere la stasi che la porta serrata del Purgatorio allude ed esser degno d’ammissione al regno della penitenza. Dante, attraversati i tre gradini ai piedi della porta purgatoriale, dovrà chiedere devotamente misericordia all’angelo dopo aver riconosciuto i suoi peccati ed essersi per tre volte battuto il petto in segno di pentimento. Solo allora potrà domandare umilmente al guardiano che «’l serrame scioglia» (Purg. IX, v. 108) disvelandogli il passaggio. Faccio notare, a difesa della vertical reading qui praticata, che il termine «serrame» (serratura) occorre solamente in due canti della Commedia: oltre a Purg. IX, lo si incontra proprio in Inf. IX dove rimanda alla configurazione della porta di Dite che dopo la discesa di Cristo agli Inferi «sanza serrame ancor si trova» (Inf. IX, v. 126).
Dimessamente pregato da Dante, dopo avergli ravvisati i suoi peccati, il guardiano incide sulla fronte del pellegrino sei P con una spada, e con due chiavi – l’una d’oro, l’altra d’argento – spalanca la porta del Purgatorio.
Come visto a proposito del messo divino di Inf. IX, anche l’angelo guardiano del Purgatorio ricorre a delle strumentazioni di chiaro valore simbolico. La spada può intendersi come la giustizia divina esercitata dal sacerdote confessore o come la parola di Dio che penetrando nell’intimo del fedele ne discerne l’autenticità del pentimento; le due chiavi, che Cristo diede all’apostolo Pietro e che aprono il regno dei cieli, sono una figurazione dell’atto del giudicare (chiave d’oro) e dell’assolvere (chiave d’argento):

La chiave d’oro rappresenta […] l’autorità, che da Dio deriva ai suoi ministri di rimettere i peccati («potestas ligandi et solvendi»); la chiave d’argento, la prudenza e sapienza che al sacerdote si richiedono per esaminare le colpe e giudicare («scientia discernendi») .

L’attribuzione all’angelo di una simbologia confessionale lo rende altresì, oltre che figura che brandisce oggetti-simbolo, simbolo egli stesso del sacerdote che amministra il sacramento della confessione.
Sono, quindi, rinvenuti tutti i componenti, nonché i tratti simbolici da essi posseduti, del quadrato semiotico di Greimas che si presenterà nella seguente forma:

(Porta del Purgatorio (Oppositore))/(Impossibilità d^' accesso al Purgatorio (non- movimento) ) /(Angelo (Aiutante))/(Accesso al Purgatorio (movimento))

Come adopera Dante in chiave allegorica lo scontro tra il non-movimento indotto dalla porta del Purgatorio (Oppositore) e l’utilizzo degli oggetti-simbolo dell’angelo custode (Aiutante) per consentire l’ingresso alle cornici purgatoriali? La topica Oppositore/Aiutante concorre alla formazione di un rilevante significato allegorico della scena racchiusa tra i versi 73-132 allorquando Dante compie una ritualità penitenziale resa necessaria per azionare l’intervento dell’angelo al fine di inficiare il non-movimento alluso dalla porta sbarrata del Purgatorio. L’angelo-Aiutante potrà, infatti, adempiere al suo ruolo di guardiano che vaglia con attenzione i candidati al varco purgatoriale e concedere l’ingresso a Dante solo dopo che questo si è reso autore di ciò che Raimondi definiva un «universo liturgico» , i cui presupposti d’attuazione risiedono proprio nell’ostacolo-Porta incontrato dal pellegrino:

Sul significato allegorico di tutta questa rappresentazione rituale sono d’accordo i commentatori antichi e moderni: essa simboleggia, nelle sue varie parti e momenti il sacramento della penitenza .

Pertanto, è il blocco all’incedere di Dante (Oppositore) che rende il suo atto penitenziale, con conseguente intervento dell’angelo (Aiutante), conditio sine qua non per l’ingresso al Purgatorio e con esso l’imporsi di una significazione allegorica all’evento narrato.
Vale, inoltre, quanto riferito alla singolarità dell’episodio del messo divino di Inf. IX il cui significato non rimane isolato in un evento autonomo dalla generale intelaiatura narrativa del poema. Al contrario, è rispettata l’accortezza con cui Dante, avvalendosi della topica Oppositore/Aiutante, ha congegnato scene allegoriche che, pur nella loro apparente autoreferenzialità, alimentano un più alto significato sovra-testuale della Commedia:

[I]l racconto di Dante è ben lungi dal ridursi a una fredda allegoria. […] Da un punto di vista strutturale, l’episodio simbolico si inserisce in un più vasto simbolo, onde il Purgatorio è immagine del processo di purificazione dell’anima che supera le tentazioni e si converte a Dio. […] [R]ito reale a cui il pellegrino si sottopone per rendersi degno di entrare nel mondo del pentimento e dell’espiazione; conclusione riassuntiva delle esperienze dell’Antipurgatorio, e solenne preludio alla varia ispirazione religiosa e morale del Purgatorio vero e proprio .

Dunque, a conferma di una certa validità della lettura incrociata della Commedia patrocinata da Hollander, emergono simmetrie strutturali e da esse analoghe conformità e affinità di contenuto con Inf. IX. Ciò è manifesto accennando anche all’appello al lettore a cui Dante ricorre come mezzo proemiale dei fatti che avrebbe di lì a poco presentato. Ugualmente alla funzione ravvisata in Inf. IX, anche in Purg. IX la sospensione del racconto e l’attenzione rivolta ai lettori è infatti da intendersi come preambolo che preannuncia invenzioni figurative, motivi dottrinali e intenti allegorici:

Lettor, tu vedi ben com'io innalzo
la mia matera, e però con più arte
non ti maravigliar s'io la rincalzo.
(Purg. IX, vv. 70-72)

In conclusione, appare evidente come a più punti della Commedia pertenga una logica strutturale, e con essa interpretativa, articolata su configurazioni che presuppongono scontri tra personaggi/oggetti preposti al compimento di funzioni narrative opposte e riassumibili nell’operato della topica Oppositore/Aiutante . Indubitabile, inoltre, la reinterpretazione della stessa conseguita da Dante, che la ridefinisce in una dialettica allegorica alla quale attribuisce, con una nobilitante svolta narratologica, qualità ben più performanti rispetto alla funzione che lo stesso modello ha in altre tradizioni letterarie dove si mostra indifferenziato e accessoriale componente della vicenda narrata.

Date: 2022-10-28