Ancora le tre Fiere [Giuliano Bonfante]

Dati bibliografici

Autori: Giuliano Bonfante

Tratto da: Italica. The quarterly bulletin of the American Association of Teachers of Italian (Evanston, Ill.)

Numero: XXXIII

Anno: 1946

Pagine: 69-72

Molti son gli animali a cui si ammoglia
e più saranno ancora, infin che il Veltro
verrà, che la farà morir con doglia

Che la lupa rappresenti la Chiesa di Roma, àvida di beni mondani, è stato detto da molti (p.es. da Gabriele Rossetti e da Tommaseo) e credo sia oggi ammesso dai più. Tuttavia nessuno, per quanto io sappia , à veduto l’appoggio che a questa interpretazione dànno i tre versi di sopra citati. Questa lupa si ammoglia, cioè fornica, con molti animali; essa è dunque una prostituta. Questa sémplice considerazione ci fa subito identificare la lupa la puttana del Purgatorio, 32, 147:

Sicura, quasi rocca in alto monte,
seder sovr’esso [carro] una puttana sciolta
m’apparve, con le ciglia intorno pronte.

dove la puttana è senza alcun dubbio la Chiesa, a cui alludono pure sicuramente i versi 106 sgg. del 19 dell’Inferno:

Di voi pastor s’accorse il Vangelista
quando colei che siede sopra l’acque
puttaneggiar coi regi a lui fu vista.

Sempre nel quadro di questa interpretazione, gli animali con cui la lupa si ammoglia sono naturalmente i vari principi e re con cui la lupa ordisce intrighi disonesti; e il Veltro è l’imperatore—sia l’imperatore in gènere, sia Arrigo VII. La selva (che è anche un deserto) è l’esilio, a cui Dante fu costretto poco dopo il suo 35° anno, smarrita che ebbe la diritta via (la via del ritorno). Il colle sarà il pronto ritorno in patria—ritorno che la lupa gli impedisce (che del bel monte il corto andar ti tolse) e che Dante spera; il leone è il re di Francia, che anch’esso ostàcola il ritorno di Dante in patria. La lonza è Firenze; essa à il pelo maculato, perché è divisa in Bianchi e Neri, secondo il Marchetti. Dobbiamo forse anche pensare che la gaetta pelle della lonza, che era cagione a bene sperare, rappresenti la situazione politica di Firenze, non disperata forse per Dante, se non fosse l’intervento ostinato e perfido della lupa a del leone nelle cose della città? Forse per mezzo della corda, cioè della penitenza, o col “voto della religione di San Francesco” (Buti), Dante pensò di prèndere la lonza, cioè di tornare in Firenze (Inf., 16, 106 sgg.). Virgilio rappresenta la saggezza politica, che indica a Dante la vera, benché lunga via per tornare decorosamente in patria—accettare per il momento dignitosamente e virtuosamente l’esilio.
Questa interpretazione, che noi diremmo politica, e che sarebbe secondo il Flamini (I significati, 1, pp. 62 sgg.) la anagogica, non esclude punto l’altra interpetazione allegorica: la legittimità anzi di varie (più di due) interpretazioni è espressamente affermata da Dante stesso nel Convivio, 2, 1 e nell’Epistola a Cane. L’identità lonza —lussuria è stata, mi sembra, definitivamente dimostrata dal McKenzie in Romanic Review, 1 (1910), pp. 18 sgg. (cf. anche Italica, 15 [1988], p. 95) sulla base di un bestiario medievale allora inèdito, dove si legge: La lonça sempre sta in calura d’amore et in desiderio carnale, launde sua fereçça e molto grandissima. La lupa è allora, secondo l’interpretazione del Boccaccio, l’avarizia (cf. Purg., 20, 10 sgg.!) e il leone la superbia. I molti animali a cui la lupa si ammoglia saranno allora i molti vizi di cui è causa l’avarizia, secondo Paolo, ΙΙρόϛ Τιμόϑεον, 1, 6, 10: ρίζα ϒάρ πάντων τών ϏαϏών έστιν ή λαρϒνρία (cf. Scartazzini-Vandelli ad locum). Il Veltro è allora naturalmente Cristo venturo (o un papa riformatore, Benedetto XI?); Virgilio, la filosofia o la ragione umana (che in Dante à lungamente taciuto: chi per lungo silenzio parea fioco ); Beatrice, la teologia o la rivelazione; la selva, il peccato; il colle, la salvazione dell’anima.
Se vogliamo assolutamente trovare poi tutte e quattro le interpretazioni di cui Dante parla nel Convivio e nell’Epistola a Cane, possiamo, oltre al senso letterale e all’anagogico (o politico), intendere il morale e l’allegorico cosi: che Dante sia una prima volta simbolo dell’umanità intera, e un’altra volta Dante stesso, in persona, e le tre fiere vizi (o pericoli o tentazioni) dell’umanità e al tempo stesso personali di Dante (idea a me suggerita dal lavoro di Alberto Scrocca, Saggi Danteschi, Napoli, 1908, pp. 5 sgg.).

G. BONFANTE

Princeton University, Marzo 1944

Date: 2023-01-02