Dati bibliografici
Autore: George Holmes
Tratto da: Dante
Editore: Dall'Oglio, Milano
Anno: 1981
Pagine: 60-68
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Ciò che suscita la maggiore incertezza, nel lettore che si sforza di capire a fondo la Commedia, è l’uso in essa dell’allegoria. In un’epistola che verso la fine della vita scrisse al suo grande patrono, Can Grande della Scala, signore di Verona, per accompagnare il dono d’una parte del Par, Dante gli offrì la seguente direttiva per la lettura dell’intera Commedia:
Bisogna sapere che quest'opera non ha un senso solo, anzi può essere detta polisema, cioè di più sensi; infatti il primo è quello espresso dalla lettera, e un altro è quello espresso da ciò che la lettera vuol significare; il primo è detto letterale, il secondo poi allegorico o mistico... Dunque il soggetto di tutta l’opera, nel puro senso letterale, è semplicemente «lo stato delle anime dopo la morte»: perché d’esso e intorno ad esso narra la storia di tutta l’opera. Se tuttavia in questa facciamo attenzione all’allegoria, il soggetto ne è «l’uomo, secondo che coi suoi meriti e demeriti nell'esercizio del suo libero arbitrio è suscettibile di premio o di punizione da parte della Giustizia».
L’autenticità dell’epistola a Can Grande è stata messa in discussione: alcuni dotti pensano che sia stata composta dopo la morte di Dante, da qualcuno desideroso di dare alla Commedia un senso innocuo, che la rendesse accettabile dalle autorità ecclesiastiche. Quest’è un enigma per eruditi che, come alcuni altri posti dalla critica dantesca, probabilmente non sarà mai risolto; almeno per ora, chi scriva su Dante deve decidersi in un senso o nell’altro. L'opinione qui da me adottata è che la lettera è probabilmente genuina, e ci fornisce utile informazione sulle intenzioni dell’autore. In ogni caso, quel che egli dice a questo punto è chiaramente vero: la descrizione degli spiriti che Dante incontra nell’ Oltretomba vuole attirare la nostra attenzione, in modo non sempre a noi evidente, sul significato morale del tipo di condotta da loro esemplificato. Nessun'altra interpretazione allegorica generale della Commedia ci viene fornita da Dante; cosicché restiamo liberi di speculare su eventuali altre implicazioni della sua dichiarazione nell’epistola. Tuttavia, nel medesimo passo egli rivela ancora qualcos’altro, che il lettore moderno non deve dimenticare: la normale pratica medievale di dare ai testi, nell’esegesi biblica, oltre al loro significato letterale, altri tre sensi: uno «allegorico», uno «morale» e uno «anagogico» (o «mistico»). L’esempio che Dante adduce è il salmo 114, «Quando Israele usci dall'Egitto...»; del quale dice:
Infatti, se guardiamo soltanto alla lettera, essa ci dice l'uscita dei figli d’Israele dall'Egitto al tempo di Mosè; se all’allegoria, ecco la nostra redenzione per opera di Cristo; se al senso morale, la conversione dell'anima dal tormento miserando del peccato allo stato di grazia; se all’az4gogico, il passaggio dell'anima santa dalla schiavitù di questa mondana corruzione alla libertà d’una gloria eterna.
Quel passo della Bibbia è, di fatto, usato poi nella Commedia (Purg, III, 46): nell’antipurgatorio, Dante vede arrivare una navicella da cui sbarcheranno più di cento spiriti, per cominciare l’ascesa del purgatorio. Avvicinandosi alla riva, essi cantano il salmo 114, che sarebbe senza senso, lì, se non avesse, sottintesi, i significati attribuitigli nell’epistola dantesca: che le anime stanno inneggiando, e alla possibilità di redenzione offerta dal sacrificio di Cristo, e all’esistenza del purgatorio, e alla propria salvezza dalla schiavitù della. vita terrena. Nella Commedia ci sono tantissimi richiami alla Bibbia, che bisogna sempre presumere siano investiti di significati allegorici di tal genere. In modo un po’ meno convenzionale, ma non certo senza precedenti, Dante attribuì significato morale anche a personalità ed eventi della storia dell’antichità pagana. Per esempio, sulla medesima riva [dell’oceano] ai piedi del monte del purgatorio, Dante e Virgilio incontrano il famoso romano Catone Uticense, che — con nostra sorpresa, dato che si tratta d’un pagano, e per di più suicida — ha la funzione di custode dell’entrata del purgatorio. Dante sapeva1 che Catone era stato un uomo di fermi principi, un credente nell’immortalità dell'anima, e che aveva scelto di morire piuttosto che sottomettersi a Cesare. Sebbene il Dante personaggio del suo proprio poema soltanto il giorno prima abbia visto le anime degli uccisori a tradimento di Cesare eternamente maciullati da Satana nel più profondo recesso dell’inferno, ora egli trova un altro avversario di Cesare esaltato — in un compito che mostra la fiducia di Dio in lui —, perché aveva preferito onorevole morte a vita disonorevole. Il supremo esercizio del libero arbitrio fa di lui un custode conveniente del purgatorio, nel quale l’anima deve esercitare la propria volontà a sormontare il peccato. Dante era pronto a servirsi di tutti i personaggi, biblici o pagani, per scopi morali, colla differenza che la Bibbia era già carica di sensi morali ch'egli non avrebbe osato mutare o sottacere, mentre il mondo pagano era un libero campo d’invenzione. A quest’apertura mentale era incoraggiato dal significato generale che a quel tempo egli era giunto ad attribuire alla storia romana, di serie d’eventi parallela a quella ebraica, e come questa provvidenzialmente diretta verso l’Incarnazione e il cristianesimo. Questa visuale dell'importanza equivalente e parallela della storia ecclesiastica in continuazione del Vecchio Testamento, da una parte, e della storia imperiale in continuazione della classica, dall'altra, portò Dante a investire eventi sacri e profani di significato metaforico parallelo; così facendo, aggiungeva davvero una sistemazione particolare degli avvenimenti trascorsi, all’attitudine generale del Medioevo rispetto al passato.
Si deve sempre presumere, quindi, che personaggi ed eventi della Commedia siano «polisemi», cioè che incorporino più o meno complesse filigrane di senso, non dichiarate, ma deducibili dal testo; e per quanto uno conosca delle fonti di Dante e delle tradizioni culturali a lui familiari, l’interpretazione resta ipotetica. Questo, naturalmente, in certo senso è vero di tutta la poesia in genere; ma la necessità d’interpretazione è insolitamente maggiore nel caso della Commedia, in parte perché essa brulica d’attori tratti dalla storia antica come dalla recente, e in parte perché Dante, mediante la presentazione di personaggi storici, vuole metterci sotto gli occhi un’intricata argomentazione morale. Entro pochissimi anni dalla sua morte, per lettori imbarazzati già si stavano approntando commenti minuziosi; e si badi che la massima incertezza d’interpretazione riguarda, non episodi particolari, ma i più importanti temi che legano insieme tutta la narrazione, e specialmente i tre protagonisti: Virgilio, Beatrice e Dante stesso. Il primo, all’apparenza, è l'ombra del poeta romano, inviata, grazie a Beatrice, dal suo luogo nel Limbo a guidare Dante attraverso l'inferno e il purgatorio. Beatrice è lo spirito del primo amore di Dante nella VIN: uno spirito beato che scende dal paradiso per guidare Dante attraverso le sfere celesti. Fino a che punto questi personaggi, come la Donna delle canzoni del Conv, «stanno in luogo» di qualcos’altro? Le interpretazioni più comuni sono state, che Virgilio rappresenta la ragione umana, e Beatrice la grazia divina. Collegato con questo, c'è il problema dell’anima stessa di Dante: è, il suo viaggio attraverso i regni dell’Aldilà, un'allegoria del progresso d’un'anima umana attraverso stadi di perfezionamento intellettuale o di conversione religiosa? Spiegazioni di questo genere sono state comuni fra i commentatori; ma per esse non ci sono supporti espliciti, né nella Commedia stessa né nell’epistola a Can Grande; cosicché a loro proposito sarà bene esser cauti. Certo, ai tre personaggi è stata data un’elaborata colorazione di grande valore poetico, che è espressa in moltissimi particolari: Virgilio è un grande pagano, e perciò è dotato d’intelligenza nei limiti della ragione; Beatrice è dotata del senno dei beati, e perciò sa quello che soltanto essi sanno; Dante avanza, d’esperienza in esperienza, dalla confusione mentale alla sapienza cristiana. E tuttavia quest'apposizione di significati al personaggio non implica un’allegoria sistematica. Sebbene l’elemento allegorico sia importante e dilagante, uno degli aspetti più impressionanti e più nuovi della Commedia, e particolarmente dell’Inf è un certo tipo di realismo individualizzante. Tanti, dei personaggi danteschi, sono, s'intende, figure dell’antichità, leggendarie o storiche; ma tanti altri sono individui che Dante aveva conosciuto, o figure del passato più recente, le cui caratteristiche erano ben note a lui e ai suoi contemporanei. Ciacco, l’insignificante fiorentino che appare tra i golosi nell’Inf, VI per dare a Dante un preannuncio dei prossimi due anni di storia comunale, era — come ci dice il Boccaccio, il grande novelliere fiorentino della generazione seguente quella di Dante —, un ben noto goloso e parassita, nella vita reale; sebbene per altro sconosciuto agli storici, doveva quindi essere una macchietta cittadina che i lettori, o almeno i lettori fiorentini, avrebbero riconosciuto, assai probabilmente con divertimento, come ben adatto a esser scelto quale commentatore che sgonfiasse la politica fiorentina. Altro esempio: nel cerchio dei lussuriosi (Inf, V), nell’episodio forse più noto dell’Inf, Dante incontra due amanti, Paolo e Francesca, ora due spiriti in balia del vento, eternamente insieme, eppure eternamente separati in punizione del loro peccato. In risposta alla domanda di Dante, Francesca spiega come sia giunta a commettere adulterio con Paolo, per la sensualità attizzata in loro dalla lettura in comune della storia di Lancillotto e Ginevra. Anche Dante aveva letto, in una versione francese della leggenda arturiana, come Lancillotto avesse ottenuto il primo bacio peccaminoso da Ginevra: è un quadro assai eccitante di romanticismo erotico. Ma nell’episodio dantesco, dove sono incorporati elementi della storia di Lancillotto, la commozione è intensificata, per la dannazione eterna dei due colpevoli; e vi si può leggere anche l’addio melanconico, ma ponderato, di Dante alla visuale dell'amore cortese, ora condannata come immorale, che pure aveva dominato, attraverso l’influenza della poesia del tempo, anche i suoi scritti giovanili. Questi concetti così notevoli sono tuttavia incarnati in due personaggi che erano stati anche due esseri reali: Francesca era una nobildonna della famiglia ravennate dei da Polenta, con cui Dante fece conoscenza nell’esilio; fu maritata a Gian Ciotto [=zoppo] Malatesta di Rimini, il cui fratello — il Paolo col quale ella perpetrò l’adulterio per cui suo marito li ammazzò entrambi — aveva tenuto la carica di Capitano, a Firenze, nel 1282, quando Dante aveva diciassette anni. E Dante, chissà se non stia adesso richiamandosi alla mente un qualche interesse giovanile da lui condiviso, per quel tipo di letteratura romantica. In ogni caso egli sta parlando d’uno scandalo reale, successo circa vent'anni prima della stesura dell’Inf, e di cui è più che probabile che abbia conosciuto almeno uno dei protagonisti; il che ne fa qualcosa d’assai diverso da una storia su figure mitiche quali Lancillotto e Ginevra. Senza dubbio Dante fu incoraggiato a ritrarre persone reali dall’esempio della Bibbia e dell’Eneide; ma popolare l’inferno con genuini contemporanei, esibendone le azioni e le caratteristiche ben note, come archetipi di difetti della natura umana, era far un passo da gigante, coll’immaginazione. E questo probabilmente è dovuto in gran parte alle usanze d’una città come Firenze, in cui la presentazione realistica di persone in carne ed ossa, nella poesia comica (come nella corrispondenza in versi tra Dante e Forese Donati), nella novellistica e nelle cronache politiche era relativamente ben sviluppata, ancor più che negli altri comuni italiani. Il realismo individualizzante, stimolato dall’intensità di rapporti sociali egualitari propri della vita comunale, è un aspetto dell’arte di Dante molto più peculiare della propensione al simbolismo e all’allegoria, da lui condivisa coll’intero mondo medievale. Quindi l’immaginazione del Nostro, nella maturità, unisce un’estrema astrattezza di concezione generale con un’estrema concretezza di rappresentazione personale: individui chiaramente messi a fuoco sono posti sullo sfondo del reticolato astratto dell’intero universo. A causa delle folle dei suoi personaggi, l’Inf, di tutte le opere di Dante, è quella in cui la turbolenza fiorentina — de «la gente nuova e i subiti guadagni », per usare le sue parole stesse — è più vivacemente rappresentata, in contrasto colle forme ieratiche, che pure l’affascinavano, della filosofia e della regalità medievali.