Dati bibliografici
Autore: Cornelia Klettke
Tratto da: Dante e la critica letteraria. Una riflessione epistemologica
Editore: Rombach, Freiburg
Anno: 2015
Pagine: 216-221
I nostri approcci alla Commedia di Dante si muovono nell’orizzonte del poetologico. Di conseguenza, il nostro sguardo è rivolto alle qualità poetiche dell’opera. Il paragrafo 27 dell’Epistola XIN a Cangrande rinvia alla presenza di una tale dimensione:
(27) Forma sive modus tractandi est pocticus, fictivus et descriptivus, digressivus, transumptivus, et cum hoc diffinitivus, divisivus, probativus, improbativus et exemplorum positivus.
Forma o modo dell’esposizione è il modo della poesia, delle finzioni e descrizioni, delle digressioni e dei traslati, e inoltre il modo delle definizioni, divisioni, dimostrazioni, confutazioni e delle presentazioni di esempi.
Die Form oder Art des Traktierens besteht in Poesie, Fiktion, Beschreibung, Abschweifung, Metaphorik, aber zugleich auch in Definition, Einteilung, Beweis, Widerlegung, Anfihrung von Beispielen.
In questa sede, non possiamo affrontare la questione dell’autorialità di Dan: te rispetto all’ Epistola a Cangrande. Mentre August Buck, Giorgio Padoan e Ulrich Prill considerano la questione definitivamente risolta ultimamente Alberto Casadei ha messo di nuovo in dubbio l’autenticità dell’Epistola. Ciononostante, noi rinviamo all’Epistola perché questo testo — per quanto riguarda il poetologico — sembra corrispondere all’intenzione di Dante.
Nel collegamento («et cum hoc») delle categorie — evidente nell’elencazione (Ep. XIII, 27) - provenienti dagli ambiti della poesia e delle scienze teologico-filosofiche si è vista un'innovazione della Commedia. Un simile testo non si era mai dato prima. L'unione della poesia, basata sull’immaginazione creativa, con la rappresentazione dei contenuti di fede viene inscenata ricorrendo al personaggio del pellegrino quale doppio (double) dello stesso autore, come una realtà vissuta, una visionaria verità creduta, stilizzata anche come sogno. Dietro la maschera del viandante che attraversa l’Aldilà, l’autore descrive lo straordinario fenomeno dell’incontro, in sfere metafisiche, di un uomo terreno con le anime dei defunti. Questa prestazione della fantasia realizzata nella Commedia va evidentemente ben al di là di ciò che il testo biblico come tale riesce a presentare come apparato poetico. Tenendo presente Alberto Magno e Tommaso d'Aquino, Curtius rinvia alla critica che i pensatori scolastici medievali muovevano al valore della poetica rispetto alla scienza teologico-filosofica. La Scolastica fa la distinzione fra due diversi piani di poesia: le storie, le parabole e le metafore presenti nella Bibbia, che annunciano quale sacra scrittura la Verità, e la poesia basata sulla finzione umana — «auf menschlicher Fiktion beruhend» – che se dal punto di vista della forma – ossia per quanto riguarda la retorica – mostra elementi in comune con la prima, per quanto, invece, attiene alla pretesa di verità si attesta molto al di sotto della poesia biblica. Già Curtius vede nella sorta di estetizzazione realizzata da Dante un’autonomizzazione addirittura dalla stessa dottrina di Tommaso d’Aquino, il cui insegnamento, peraltro, costituisce notoriamente una base dell’opera dantesca.
Già nel suo saggio «L’Epistola XIII, l’allegorismo medievale, il simbolismo moderno», del 1984, Umberto Eco illustra il suo punto di vista postmoderno rispetto al rapporto di Dante con Tommaso con particolare riferimento alla questione del «senso allegorico» nella poesia mondana. Fra l’altro, Eco sostiene — in maniera, potremmo dire, rivoluzionaria — che Dante, con la sua misteriosa inconseguenza ed equivocità rispetto all’insegnamento dell’Aquinate, ha preso come poeta una strada che anticipa di ben duecento anni la «rottura epistemologica» che si compirà solo col Rinascimento. Secondo Eco, Dante oltrepassa la linea di confine fra allegoria e simbolo.
La «bifrontalità» della Commedia quale geniale combinazione di un testo teologico-filosofico con uno poetico si fonda sull’indecifrabile unione dell’autore con il personaggio protagonista del viandante che attraversa l’Aldilà. Con questo personaggio, che si muove al di sopra del piano della realtà, Dante si crea un doppio che impersona la sua trama onirica interiore. Questo personaggio è carico di elementi biografici dell’autore, così che anche il testo riporta tratti autobiografici che lo fanno assomigliare ad una autofinzionalizzazione. Di quest'ambito fanno parte — per citare solo alcuni esempi — la predilezione del poeta Dante per l’antichità (in special modo per Virgilio quale suo autore preferito), il personaggio di Beatrice quale amore di gioventù, l’evocazione dell’avo Cacciaguida con le sue idee di morale sociale nonché l’incontro con il maestro Brunetto Latini e il reiterato riferimento alla città natale di Firenze e al trauma dell’esilio.
Com’è noto, nel VII secolo Beda il Venerabile, sulla scorta del pensiero di Origene, sviluppò per l’esegesi biblica l’insegnamento dei quattro sensi della Scrittura, un modello che - stando soprattutto a Tommaso d'Aquino — non poteva essere applicato a testi profani o extrabiblici. I commenta: tori danteschi hanno tuttavia provato ad applicare il molteplice senso della scrittura del testo biblico al testo della Commedia. In ciò essi si rifacevano all’Epistola XII a Cangrande (Ep. XII, 20-25, 33 s.), che nei paragrafi 24 e 25 applica all’opera di Dante due modi di lettura: il sensus lifferalis ed il sensus allegoricus:
(24) Est ergo subicctum totius operis, litteraliter tantum accepti, status animarum post mortem simpliciter sumptus; nam de illo et circa illum totius operis versatur processus.
Dunque soggetto dell’intera opera presa soltanto alla lettera è la condizione delle anime dopo la morte considerata in generale; infatti il corso di tutta l’opera si svolge su di essa e intorno ad essa.
(25) Si vero accipiatur opus allegorice, subiectum est homo prout merendo et demerendo per arbitri libertatem iustitie premiandi et puniendi obnoxius est.
Ma se l’opera è intesa allegoricamente, ne è soggetto l’uomo in quanto acquistando meriti e Seed per effetto del libero arbitrio è esposto alla giustizia del premio e del castigo.
Mentre il paragrafo 24 descrive l’oggetto alla lettera, il che corrisponde al sensus litteralis, il paragrafo 25 si riferisce piuttosto al sensus moralis, ossia al senso didascalico della Commedia, per il quale qui l’autore dell’Epistola usa il termine «allegorico». L’autore spiega che con questo termine egli non sì limita ad indicare solo il senso nascosto, ma che concepisce il concetto di « allegorico » in modo più ampio di quanto previsto dalla regola generale:
(22) Et quomodo isti sensus mistici variis appellantur nominibus, generaliter omnes dici possunt allegorici, cum sint a litterali sive historiali diversi. Nam allegoria dicitur ab ‘alleon’ grece, quod in latinum dicitur ‘alienum’ sive ‘diversum’.
E come questi sensi mistici vengono designati con diversi termini, possono tutti essere detti in generale allegorici, dato che divergono dal senso letterale o storico. Infatti si dice allegoria dal greco ‘alleon’, che in latino suona ‘alienum’ o ‘diversum’.
Rinviando al significato greco e latino di «allegoria» nel senso di ‘altro’, ‘diverso’, l’autore dell’Epistola usa il termine «allegorico» per indicare tutti i significati che non corrispondono alla lettera del testo. Da questo punto di vista egli si stacca dal rigido sistema del quadruplice senso della scrittura, non differenziando sempre e in maniera assoluta i vari piani di significato. In tal modo, l’autore dell’Epistola si avvicina alla teoria dell’interpretazione allegorica della Scrittura formulata dai primissimi Padri della Chiesa, quindi ancor prima di Origene. La teoria illustrata in proposito nell’Epistola corrisponde effettivamente alla prassi dantesca nella Commedia. Forse in ciò è da vedere anche una sorta di compromesso di Dante con Tommaso d’Aquino, il quale, come abbiamo già ricordato, non voleva vedere il quadruplice senso della scrittura applicato a testi extrabiblici. Rifacendosi al discorso di Dante nell’ Epistola a Cangrande, Ulrich Prill nota:
Lo stesso Dante rinuncia [...] all’applicazione sistematica della dottrina del quadruplice senso della scrittura alla sua Commedia. Anzi, in relazione al proprio testo il significato del concetto di «allegoricus» resta piuttosto equivoco. Dante, quindi, non fornisce alcuna interpretazione univoca del testo ma ne riserva la spiegazione dettagliata — certo consapevolmente - ai suoi lettori, limitandosi semplicemente a ricordare che la Divina Commedia possiede diversi piani di senso, ma non stabilendo come questi piani di senso debbano essere descritti dal punto di vista del contenuto. Proprio questa possibilità di una rilettura creativa garantisce a chiunque si accosti alla Commedia un accesso affatto individuale all’opera.
Con questa valutazione Prill fornisce un decisivo argomento per la legittima: zione di una lettura postmoderna della Commedia. Con l’ammorbidimento del sistema del quadruplice senso della scrittura in applicazione alla Commedia la costruzione dantesca di un ordine etico-morale del mondo diventa accessibile e oltremodo interessante anche per i non cattolici e i non cristiani. Allo stesso modo, anche il sensus anagogicus conosce una transcodificazione verso idee della fine dei tempi non più implicanti una redenzione dell’uomo in un Aldilà. L'apertura del sistema somiglia, a dire il vero, all’apertura del vaso di Pandora. A questo punto sono da citare l’interpretazione filoislamica della Commedia ad opera di Catherina Wenzel così come la lettura psicanalitica che ne fa Judith Kasper sulla base della teoria freudiana del trauma.