Dati bibliografici
Autore: Gabriele Marruzzo
Tratto da: L'Alighieri. Rassegna bibliografica dantesca
Numero: 2
Anno: 1971
Pagine: 92-94
Nella breve introduzione e nel primo capitolo l'autore mette a fuoco il problema, rifacendo la storia dell'allegoria da quella greca, propria dei poeti, che egli chiama anche «creativa» o filologica, a quella prettamente medievale, «critical», usata per interpretare Virgilio o Ovidio, e quindi a quella propria dell'arte retorica, l'«alieniloquium» di Isidoro di Siviglia. Quanto a Dante, anche se qua e là usa questi tipi di allegoria, egli consapevolmente compone il suo poema seguendo un criterio eccezionale di scelta: i fatti che narra «storici», ed allora il criterio interpretativo da adottare sarà indicato da lui stesso nella lettera a Cangrande, e sarà la tecnica esegetica usata dai teologi per la lettura della Bibbia. Cose queste ben note agli studiosi, specialmente dopo gli studi di Henri de Lubac, di Erich Auerbach e di Charles S. Singleton. Partendo dalle scoperte dei due ultimi, l'Hollander precisa la sua posizione critica. L'Auerbach si è limitato ad illustrare nei suoi scritti l'importanza della «figura», tralasciando di approfondire l'uso consapevole da parte del poeta anche degli altri sensi. Con Catone «figura», per esempio, l'Auerbach penetra solo limitatamente nella complessa poetica di Dante. Il Singleton è stato il primo dopo Filippo Villani a vedere la struttura della Commedia come Dante stesso la vide; è stato cioè il primo critico moderno che ha capito la vera sostanza del poema, che è «the imitation of God's way of writing». Tuttavia la sua tesi non sarebbe confortata da una esauriente analisi testuale (pp. 48-49). Proposito dell'Hollander è di esaminare la Divina Commedia alla luce dello schema interpretativo proposto nella lettera a Cangrande. Dante però, avverte l'autore, pure avendo concepito la Commedia ad imitazione dei libri sacri, rendendola interpretabile secondo i quattro sensi, probabilmente solo raramente include o esclude alcunché per il suo significato morale o anagogico. Anche per Dante, come per ogni esegeta della sacra Scrittura, il senso a cui si deve fare più attenzione è quello allegorico. Dacché tutti gli altri sensi spirituali sono basati sul letterale, è pur vero che dal letterale si passa a quello allegorico, poiché è questo che stabilisce la relazione storica a sua volta necessaria a rendere più chiari gli altri due sensi.
Esaurite queste necessarie premesse, Hollander analizza i passi che ritiene più adatti a sostenere la sua tesi. Tratta innanzitutto dell'uso fatto da Dante della stessa terminologia del secondo senso (pp, 64 sg.). Afferma che nella maggior parte dei casi è evidente che Dante non usa le parole «figura» e «ombra» con la consapevolezza di stabilire un rapporto figurale, ma che sicuramente egli conosceva quale significato esse avessero in riferimento alla sacra esegesi. Analizza il passo dove Beatrice si rivolge a S. Giacomo che sta per esaminare Dante sulla Speranza (Par. XXV, 32): secondo l'autore questo passo vuole imitare la Sacra Scrittura e rispecchia i quattro sensi esegetici per la pregnanza semantica della voce verbale figuri. Segue l'analisi di Purg. XXI, 7-10: Stazio ombra, figura, messaggero di Cristo, costruito con accuratezza da Dante con elementi presi direttamente dalla Sacra Scrittura, ha un pieno significato figurale.
L'autore si rende poi conto della difficoltà di intendere storicamente il senso letterale dei primi due canti del poema (p. 70). Col canto III dell'Inferno egli afferma che si ha uno dei più grandi momenti nella storia della narrativa occidentale: all'improvviso il lettore è richiesto non solo di leggere quello che il poeta ha scritto, ma anche di vedere quello che lui ha visto; ed egli vede non delle cose, ma delle parole, e quelle parole sono reali, scolpite nella pietra: quelle parole reali sono modelli di tutte le altre parole che riportano tutto quello che il poeta vede. Dio ha scritto quelle parole sulla porta dell'inferno; così tutto quello che si vedrà lungo il racconto del poema deve essere inteso come fatto da Lui, non dal poeta; tutto quello che sarà descritto dal poeta ha quindi, come gli eventi del racconto biblico, un senso figurale col passato, col presente o col futuro, o un senso morale o anagogico (p. 72). La conferma viene da Inf. III, 58-60: assumendo che la parola ombra indichi Celestino V, gli altri sensi esegetici risultano evidenti, e il rifiuto di Celestino può essere così figura di altri personaggi storici, come Pilato o Esaù, che altri critici si sono sforzati di vedere in quella ombra: «Seen with the eye of historical figuralìsrn, each act in universal history has its past or future counterparts in other acts. lt allows a polysemous interpretation that is both multitudinous and precise» (p. 74).
Per Dante gli eventi narrati nel suo poema ed attinti dalla letteratura pagana hanno, ai fini della sua narrazione, la stessa validità storica degli eventi narrati dalla Bibbia. Con l'apparizione di Virgilio nel I canto dell'Inferno viene introdotto il problema della lettura da parte di Dante dei poeti pagani. Per capire quanto la lettura di Virgilio abbia influenzato Dante basta analizzare l'uso fatto da Dante delle parole volume ed autore: da esso appare che l'Eneide è per Dante il duplicato del Vecchio Testamento; la storia di Troia è parallela a quella degli Ebrei: ambedue sono dirette verso il Cristianesimo (pp. 75-79). L'Hollander si spinge poi a suggerire una relazione figurale tra il primo canto dell'Inferno e i due primi grandi eventi narrati nella Genesi: la caduta di Adamo e il diluvio universale. Mentre da una parte l'Hollander tiene per fermo che la relazione figurale Dante-Adamo non abbia bisogno di maggior illustrazione e deriva «from Singleton's work in such a way as to be merely a footnote», (in una nota afferma però che il Singleton non condivide questa sua teoria, cfr. p. 80), egli trova che nei due primi canti dell'Inferno un'altra figura parallela, Enea, viene a inserirsi nel contesto «storico» del poema: «'l lungo studio e 'l grande amore che m'ha fatto cercar lo tuo volume» (lnf. I, 83-84) sono parole sufficienti a farci capire come Dante non abbia imitato a caso o inconsciamente. L'Hollander prosegue nella sua ricerca e tenta di stabilire un rapporto «figurale» tra le parole più significative usate da Dante nella D.C. La tecnica figurale viene da Dante così «sofisticata» che secondo l'Hollander essa crea richiami e risonanze verbali nell'Interno del poema stesso. Questo «verbal figuralism» così come è chiamato qui, è la tecnica di ripetere una parola usata precedentemente per adempiere (to fulfill) il suo significato figurale (p. 105). A sostegno di questa teoria, «complex use of figuralism», l'Hollander analizza tre famosi episodi della Divina Commedia, quelli di Francesca, Ulisse e Catone.
Nel IV capitolo si esaminano alcuni importanti passi del Purgatorio, quelli che si riferiscono in particolare alle figure femminili che vi si incontrano. Anche qui l'Hollander vuole far risaltare l'uso straordinario della tecnica figurale da parte di Dante, con la quale può ricreare in qualunque momento risonanze di altri momenti, non come semplici richiami, verbali, ma come concrete situazioni parallele, che il lettore iniziato sarà capace di vedere e riconoscere simultaneamente (p. 154). Anche nel capitolo seguente l'autore, analizzando alcuni passi del Paradiso, fa notare quanto la tecnica figurale di Dante si levi ad un livello straordinario, «a level it could not have reached before - a level at which, as I have suggested, all the parts become the whole, all the pages become the book. And it is the many single leaves finally understood as unitary book that is the metaphor Dante uses to express his vision of the Godhead» (p. 226).
A conclusione della sua indagine l'Hollander non manca di dedicare un capitolo al problema delle allegorie, perché egli dice, come il poema è «polysemous» sotto vari rispetti, così si può parlare anche di vari tipi e gradi di allegorie, che entrano nella composizione dell'opera con caratteri e fini differenti. Accogliendo il suggerimento di T. Bergin, il quale sostiene che nella Commedia non si può parlare di allegoria pura e semplice, ma di varie allegorie, a volte completamente diverse, l'Hollander per semplificare raggruppa e distingue i diversi tipi in tre categorie: l'allegoria dei poeti, l'allegoria dei retori e l'allegoria dei teologi. Escludendo l'ultima, trattata nei capitoli precedenti, l'autore punta ora la sua attenzione sulle altre due: l'allegoria dei poeti e quella dei retori (pp. 233-34). I passi dove Dante richiama l'attenzione del lettore a penetrare oltre il «velame» (Inf. IX, 63) e il «velo» (Purg. VIII, 20) dei versi per intendere la dottrina che si nasconde, sono presi dall'Hollander come esempi del modo in cui Dante usa l'allegoria più antica, quella dei poeti; fatti o azioni dichiarati apertamente irreali servono a richiamar-e l'attenzione al loro significato parabolico e metaforico, e nello stesso tempo la loro funzione è quella di rafforzare la realtà di altri episodi raccontati dal poeta: è lo stratagemma del «play within the play» (pp. 233-48). Questi due passi richiamano inoltre l'attenzione all'uso da parte di Dante dell'allegoria della personificazione. Nella rappresentazione allegorica di concetti morali, Dante mescola due tecniche allegoriche; per esempio le azioni di Gerione prendono significato alla luce della «storia», mentre lui stesso rappresenta soltanto qualità morali. La differenza che passa tra «figura» e «figurativo» è precisamente la stessa che tra i due tipi di allegoria. Il volo di Gerione è in relazione con i voli di Fetonte e di Icaro, ma egli stesso è preso come la personificazione della frode. Gerione sembra essere stato creato soltanto dal poeta e non da Dio, eppure compie azioni che sono dello stesso ordine di quelle compiute da chi è stato areato da Dio. Come Gerione tutti gli altri «mostri» infernali hanno, almeno poeticamente, una doppia natura, ambedue esistono e non esistono nell'ordine del mondo storico attuale (p. 249). Lo stesso accade con la rappresentazione della Fortuna: Dante la tratta come se avesse un'esistenza reale, mentre poi dalle descrizioni delle sue «azioni» nel mondo si comprende abbastanza bene che essa è solo un'astrazione concettuale (p. 250). L'Hollander porta ancora altri esempi a dimostrare l'uso articolato dell'allegoria da parte di Dante.
Numerose pagine di appendice, unite ad una bibliografia molto ricca ed accurata, completano questo interessante studio.