Dati bibliografici
Autore: Zygmunt G. Baranski
Tratto da: "Sole nuovo, luce nuova". Saggi sul rinnovamento culturale in Dante
Editore: Scriptorium, Torino
Anno: 1996
Pagine: 15-40
Gli incerti inizi di queste note ebbero la loro lontana origine negli anni 1973-75. Io ero allora un giovane ricercatore all'Università di Hull impegnato ad esaminare lo stile della Commedia servendomi del libro di Patrick Boyde sulla poesia lirica di Dante . A mano a mano però che procedevo nei miei studi sulle formule e sulle figure retoriche presenti nel poema dantesco, mi sentivo sempre più insoddisfatto dell'orientamento che aveva preso la mia ricerca. Il catalogo che stavo pazientemente accumulando delle scelte lessicali del poeta e dei tropi, topoi e colores rhetorici da lui usati sembrava paradossalmente restringere l'originalità della sua grande impresa. Il quadro che emergeva dai dati raccolti era ben noto agli studiosi di Dante: mostrava come il tessuto stilistico complessivo della Commedia fosse il risultato di un processo di sintesi e dislocazioni formali di pratiche compositive contemporanee. D'altra parte, cominciavo a rendermi sempre più conto che la settorializzazione degli stili» su cui, da secoli, si ergeva la tradizione retorica non poteva spiegare gli esperimenti danteschi, ma tutt'al più condannarli come difetti. Continuavano in sostanza a rimanere oscure le motivazioni artistiche e i precedenti letterari del suo sperimentalismo. Il tipo di analisi stilistica in cui ero impegnato sottolineava gli effetti senza render conto delle cause; proponeva una descrizione di un universo poetico senza spiegare i principi testuali generali che erano alla radice della sua genesi. Peggio, non riusciva neppure a chiarire come Dante avrebbe potuto legittimamente giustificare i propri radicali procedimenti artistici, così evidentemente in contrasto con le idee letterarie comunemente accettate da una cultura talmente imbevuta della giusta riverenza per modelli canonici e auctoritates.
Nel tentativo di cercare una soluzione a questi problemi nel mare magnum della bibliografia critica dantesca, compresi che mentre molto era stato fatto sulle possibili motivazioni biografiche e sulle origini ideologiche - di natura politica, teologica, filosofica - della Commedia, non si era prestata la stessa attenzione agli stimoli più direttamente letterari alle radici della sua composizione. Sembrava soprattutto mancare uno studio della poetica della Commedia in grado di dare un fondamento e una spiegazione in termini formali e ideologici all’ossessivo desiderio di sperimentazione da parte di Dante, collocando tale desiderio in relazione alle teorie letterarie contemporanee.
Naturalmente, è in un certo senso ingiusto affermare che gli studiosi di Dante abbiano in gran parte trascurato quelli che potremmo genericamente definire i suoi contatti con la teoria e la critica letteraria. Questo è vero relativamente parlando, anche se, dato il fascino che per secoli Dante ha esercitato, quanto è stato scritto su questi temi costituisce una cospicua bibliografia, cresciuta per di più notevolmente negli ultimi due decenni . In effetti, la prima parte del mio titolo ricalca intenzionalmente (e, come spero di chiarire, polemicamente) i titoli di altri studi dedicati al rapporto tra Dante e la retorica medievale , Anche se la mia ricerca sarebbe sicuramente stata molto meno documentata senza questi e gli altri contributi critici a cui ho accennato, la mia principale obiezione nei loro riguardi è che, pur aiutando senza dubbio a chiarire il pensiero letterario del poeta, la maggior parte di essi finiscono per presentare un quadro distorto e riduttivo del concetto di letteratura per Dante, e in particolare della poetica della Commedia. Offrono, in fine dei conti, un quadro molto limitativo delle considerazioni medievali sul fare letterario. Ugualmente problematico è il fatto che eccessivo peso è stato dato, e non solo nel caso di Dante, alla retorica come ispirazione primaria della pratica letteraria medievale e delle riflessioni sulla letteratura. Si dimentica spesso, ad esempio, che era un precetto della grammatica, e non della retorica, l’esortazione, fra le altre cose, all’interpretazione e alla imitatio delle opere letterarie (poetarum enarratio) . Inoltre, l’attenzione dedicata dai critici alla retorica ha prodotto un gran numero di analisi della tecnica letteraria – l’ambito maggiormente coltivato dalla retorica medievale – e solo pochi studi sulla teoria della creazione letteraria, campo in cui essa aveva molto poco da dire .
Mio scopo, in questo primo saggio, che può funzionare un po' da sfondo ai capitoli che seguono, è, da un lato, di riassumere brevemente i limiti della possibile influenza della retorica su Dante, in particolare nella composizione della Commedia, e, dall’altro, di offrire qualche accenno generale ai modi svariati in cui Dante, manipolando con grandissima originalità e vigore la riflessione critica e le pratiche letterarie medievali, legittimò la novitas del suo fare poetico - quindi, di accennare sinteticamente a quali altre idee sulla letteratura lo abbiano potuto suggestionare. Nel Medioevo, per quanto riguarda le questioni linguistiche, letterarie e di stile, altrettanto importanti della retorica erano la grammatica, l’allegoria , la logica, la tradizione teologica e le diverse forme di esegesi, dagli scholia agli accessus ad auctores, dalle glosse interlineari o a margine sino ai commenti per esteso e alle vitae degli auctores . Resta tuttavia vero che la retorica, o per meglio dire la rielaborazione tutta particolare della retorica in Dante, svolge sicuramente un ruolo centrale nella composizione della Commedia. Questa influenza attrae, come si è detto, in modo preminente l'attenzione dei critici non solo per ragioni intrinseche al poema (e sulle quali ritornerò tra breve), ma anche per una serie di elementi extratestuali: innanzi tutto, il peso rilevante della retorica nell'istruzione scolastica ricevuta da Dante; in secondo luogo, i possibili collegamenti tra la retorica civile di stampo aristotelico e ciceroniano coltivata da Brunetto Latini e le radici politiche e morali del pensiero linguistico del poeta; inoltre, la fedeltà alle norme tradizionali della retorica manifestata da Dante nelle sue opere «minori» , infine, non meno importante, il fatto che Dante stesso iniziò a comporre un trattato in cui la retorica svolge un ruolo importante, come è dimostrato dal titolo stesso incentrato sull'eloquenza (in un manoscritto l'opera è persino intitolata Rectorica Dantis). Tutti questi problemi sono stati ampiamente dibattuti. Ciò nonostante, come è accaduto nello studio cli altri temi rilevanti rispetto al più generale argomento della poetica della Commedia (l'estetica di Dante, la manipolazione delle fonti, l'allegoria, la posizione di Dante rispetto alla semiotica medievale , i suoi giudizi su altri testi e autori), la critica è stata portata a considerare i diversi punti cli contatto con la tradizione retorica come se fossero isolati fra loro. Anche questo ha accresciuto l'impressione della onnipresenza della retorica, di contro ad una posizione più moderata che porterebbe piuttosto a sottolineare le non trascurabili sovrapposizioni tra diverse operazioni e prospettive retoriche; ad osservare che la retorica era semplicemente uno dei sistemi di pensiero tra i molti che avevano relazione con la letteratura; e ad indicare la Necessità di sondare i rapporti tra questi sistemi se si vuole raggiungere un'idea più completa della poetica medievale e in particolare dantesca . Purtroppo, a parte uno o due esempi di spicco (sto pensando specificamente ai lavori di Battaglia Ricci, Mengaldo, Nencioni e Schiaffini ), la tendenza nello studio della retorica di Dante è stata quella di frammentare e parcellizzare, con il risultato di privilegiare un’ottica parziale della poetica della Commedia che, a mio parere, ha sottovalutato l'originalità e la ricchezza di spunti delle considerazioni tecniche avanzate da Dante.
L'entusiasmo critico per la retorica ha assunto diverse forme, anche se il risultato finale è stato lo stesso: esagerarne l'importanza a danno degli altri modi di considerare la letteratura. Dove questo atteggiamento si è rivelato più accentuato, si può dimostrare che alcuni studiosi sono giunti a ritenere praticamente sinonimi retorica e poesia . Si tratta di un travisamento di un certo peso, poiché non solo nega l’evidente specificità di entrambe nel Medioevo, ma maschera altresì la funzione ausiliaria della retorica nella composizione poetica. Sono conclusioni che la celebre definizione dantesca del De vulgari eloquentia mette acutamente in evidenza: la poesis «nichil aliud est quam fictio rhetorica musicaque poita» (II, iv, 2) . Per Dante la poesia nasceva da una complessa sintesi di proprietà ideologiche e narrative (fictio) e formali (rhetorica e musica) . Egli non viene mano a questa sua sostanziale convinzione nemmeno nella Commedia. E nel Convivio chiariva ancora più esplicitamente che la retorica ispirava solo parzialmente la composizione formale della poesia: «la sua bellezza [riferendosi a «Voi che 'ntendendo»], ch'è grande sì per construzione, la quale si pertiene a li gramatici, sì per l'ordine ciel sermone, che si pertiene a li rettorici, sì per lo numero de le sue parti, che si pertiene a li musici» (II, xi, 9). La retorica per Dante, come per tutti i suoi contemporanei, si interessava specificamente di quegli aspetti del linguaggio («toute expression non fortuite, c’est-à-dire […] fonctionnalisée en vertu de règles connues et indubitables» capaci di rendere più piacevole e convincente un pensiero: «la chiarezza del suo [della retorica] aspetto che è soavissima e vedere» (Conv., II, xiii, 13). Sostanzialmente, tale chiarezza è il risultato della corretta applicazione delle regole della convenientia nella scelta del lessico e delle figure corrispondenti al contenuto ed al tema di un argomento. Di conseguenza, la mescolanza di registri diversi nella stessa opera era largamente scoraggiata. La discussione principale del secondo libro del De vulgari eloquentia, come è noto, verte sulla dottrina dei singoli «stili» retorici, ciascuno con una ben precisa materia da trattare e con particolari procedimenti formali :
Deinde in hiis que dicenda occurrunt debemus discretione potiri, utrum tragice, sive cornice, sive elegiace sint canenda. Per tragediam superiorem stilum inducimus [...] Stilo equidem tragico tunc uti videmur quando cum gravitate sententie tam superbia carminum quam constructìonis elatio et excellentia vocabulorum concerdat […] illa que summe canenda distinximus isto solo sunt stilo canenda: videlicet salus, amor et virtus et que propter ea concipimus, dum nullo accidente vilescant. (II, iv, 5-8)
Data la stretta somiglianza, notata da Paul Zumthor , tra questa concezione medievale della retorica e i moderni concetti dello stile letterario, non sorprende che tanti studiosi, anche se attenti a non identificare poesia e retorica, si siano limitati ad analizzare formalmente la Commedia tenendo conto solo della sua superfice retorica, e abbiano cercato di definire la poetica solo in termini retorici, potendo inoltre, per sancire tali processi interpretativi, contare sull’illustre esempio di maestri come il Curtius . Il poema di Dante è senza dubbio colmo di singoli elementi derivanti e legittimati dalla tradizione retorica: dalla funzione di esordio del canto I dell’Inferno, al parallelismo strutturale tra l'XI e il XII canto del Paradiso; dagli artifici e dalle convoluzioni linguistiche del canto XIII dell'Inferno alla armoniosa sequenza di immagini del Trionfo di Cristo; dalla violenza comico-realistica dell'episodio dei barattieri alla erudita ed elegante patina latineggiante di gran parte della seconda e terza cantica. Eppure, sia la scoperta di «fonti» retoriche per diverse parti della Commedia, sia la compilazione di cataloghi per elencare le singole figure o procedimenti retorici nascondono dei possibili rischi. Divorziati normalmente dalle più ampie questioni teoriche legate alla poetica della Commedia, questi studi danno l’impressione errata che il poema sia in fondo simile a tutte le altre opere medievali, organizzate convenzionalmente intorno a elementi di natura retorica; mentre il suo aspetto essenziale, a me sembra, è che la gamma di diversi «stili» (dal più «umile» al più «nobile», come è comprovato dagli esempi appena citati) abbracciata e sintetizzata dal poema costituisce una inequivocabile dimostrazione della sua unicità e anomalia proprio rispetto ai canoni della retorica.
Lo sperimentalismo di Dante, e non solo nella Commedia, si erige principalmente su due potenti pilastri: il volgare (su cui mi concentrerò nel prossimo capitolo) e, come ho appena notato, la sintesi. Per il poeta, in accordo con le aspirazioni totalizzanti attorno alle quali si organizzava l’ideologia dominante del suo mondo , la summa costituisce il modello letterario di base. Ognuna delle sue opere maggiori offre una prospettiva di stampo globale . La Vita nuova esamina i diversi gradi dell'amore e passa in rassegna la letteratura erotica in volgare ; il Convivio abbraccia la «scienza» e, in particolare, i legami tra filosofia e teologia; il De vulgati eloquentia indaga il linguaggio umano e il complesso delle sue creazioni ; la Monarchia fa il punto su questioni politiche; mentre la Commedia tenta di «legare in un volume / ciò che per l’universo di squaderna» (Par., XXXIII, 86-87). Se si considera la forma di questi testi, non può non colpire il fatto che i loro chiari fini summatici emergono, in modo più o meno marcato, dai rapporti che ogni opera stabilisce con specifiche e ben riconoscibili strutture «enciclopediche». Da questo punto di vista, l'opera che si distacca maggiormente da queste tradizioni è indubbiamente la Monarchia, la quale si ricollega piuttosto alle convenzioni dei trattati politici. Sospetto che la ragione per questo inusitato conservatorismo formale da parte di Dante si ritrovi nel fatto che la Monarchia fu scritta quando già la prima metà del Paradiso era completata, e, cioè, dopo che il poeta, tramite la sua -cornedia-, aveva risolto il problema di come un'opera «enciclopedica» si dovesse configurare. Più interessanti i casi della Vita nuova e del Convivio, i quali si modellano ambedue largamente sulle strutture dei commenti: il «libello» (VN, I, 1) su quelli ai poemi degli auctores , il «quasi comento» (Conv., I, iii, 2) su quelli alle opere filosofiche e teologiche e alla Bibbia - tutte tradizioni esegetiche che da secoli avevano esplicite tendenze summatiche . Prima della Commedia, e forse alquanto inaspettatamente, è il De vulgari eloquentia che rivela i nessi più suggestivi ed originali con l'«enciclopedismo» dell’epoca. Da un lato, analisi approfondite ed organiche del linguaggio mancano quasi del tutto, anche se abbondano poi le discussioni legate alle arti del trivio; quindi, si riconosce immediatamente la maggiore complessità e portata del trattato dantesco, se lo si mette a confronto con testi che parlano de lingua, per esempio, col Libro IX delle Etymologiae isidoriane o con l'apertura dello Speculurn doctrinale di Vincenzo di Beauvais. Dall'altro lato e in maniera altamente convenzionale, nel De vulgari eloquentia, iniziando il suo discorso con Dio e con la creazione, Dante segnala le ambizioni totalizzanti della sua opera avvicinandola esplicitamente alla caratteristica determinante di tutto un filone di «enciclopedie» popolarissime e di stampo conservatore che hanno in testa il De universo di Rabano Mauro . Questo sperimentalismo formale, come c'è da aspettarsi, tocca il suo apice nei cento canti e tre cantiche della Commedia - struttura totalizzante di grande originalità su cui tornerò .
Alla luce di questi sviluppi testuali, non è difficile vedere la carriera artistica dell'Alighieri come dominata dal tentativo di scoprire la forma più adatta in cui sfociare i suoi interessi summatici; questi nascono da una fede profonda e altamente ortodossa nell’ordine armonico e gerarchizzato delle pluralità costituente il macrocosmo universale foggiato dalla mente divina, modello che si ripete e che si deve ricercare, al livello microcosmico, in ogni ramo dello scibile, dalla linguistica all’ars amandi. Questo tentativo di imitare i modi del Deus artifex è un’altra costante dantesca, anche se in pratica ebbe esisti diversi. L’imitatio del divino sottolinea pure la fondamentale e ferma ortodossia ideologica che sostiene il suo sperimentalismo formale. Nel corso dei suoi viaggi intellettuali, Dante non abbandonò mai la credenza nei grandi dogmi ufficiali, persino quando si spinse in zone pericoloso come quelle del neo-averroismo . Inoltre, è importante ricordare che, siccome Dante sembra privilegiare le questioni formali su quelle ideologiche - o piuttosto considera le due sfere come indivisibili -, ciò dimostra non solo che, per lui la presentazione del sapere era un problema fondamentale e di poetica, ma anche che egli fu convinto che proprio la letteratura, meglio di qualsiasi altro processo conoscitivo umano, poteva offrire un’intuizione della cose divine , come è subito chiaro dal fatto che affidò alla poesia lo spunto per i discorsi filosofici della Vita nuova e del Convivio. Lo sperimentalismo di Dante non è mai fine a se stesso, ma – come si vedrà oltre – è sempre legato a scopi profetici, morali e didattici .
Dopo la digressione «enciclopedica», la quale serve anche a sottolineare da un’altra prospettiva i limiti di una spiegazione retorica della poetica dantesca, è tempo di riprendere il filo retorico «comico» del nostro discorso.
Per render conto dello stile ibrido, e per ciò stesso retoricamente imperfetto, della Commedia, alcuni critici hanno continuato a insistere che la soluzione vada comunque ricercata nei precetti delle artes pocetriae. Secondo costoro, Dante è poeta originale perché applica in modo flessibile la regola delle convenientiae retoriche e integra in un unico testo tutta la varietà della rota Vergili . Di per sé tutto ciò è vero; anche se, per quanto sono stato in grado di documentare, nessun trattato medievale di retorica offre una giustificazione per il genere di sperimentalismi adottati da Dante nella sua Commedia . Oltre a ciò, le implicazioni delle scelte. formali operate dal poeta non dovrebbero essere valutate tanto come ulteriore segno dell’onnipotente influsso della retorica, quanto come testimonianza che Dante ne percepiva le limitazioni. Il suo sincretismo stilistico rappresenta una sfida alle convenzioni retoriche del suo tempo e alla letteratura che ne era il riflesso, nonché una prova del fatto che erano senza dubbio possibili forme poetiche alternative. È evidente che il poeta non poteva facilmente trovare sostegno per questa svolta né nella tradizione retorica, né nella letteratura classica o medievale. È sintomatico che persino il modello «paterno» dell’Eneide era stato condizionato dal bello stile» (Inf. I, 87) appropriato ad una tragedia (ritornerò. in seguito su questo punto di cruciale importanza). Un assunto fondamentale, dunque, della poetica dantesca riposava sulla convinzione che il sistema gerarchico dei genera dicendi non fosse adatto al modo in cui la sua Commedia era complessivamente organizzata; d’altra parte, egli era anche favorevole a continuare a servirsi nel suo poema di singoli aspetti della tradizione retorica.
Questo atteggiamento apparentemente ambiguo è in un certo senso il fattore determinante per riuscire a comprendere la poetica della Commedia; e tale atteggiamento influenza il modo di assimilazione e rimaneggiamento in Dante non solo della retorica, ma anche delle altre tradizioni di pensiero letterario a lui contemporanee. Egli riteneva che il suo poema, date le responsabilità che Dio stesso gli aveva affidato («’l poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra», Par, XXV, 1-2), trascendesse necessariamente l’opera degli altri scrittori e non fosse perciò soggetto alle stesse costrizioni compositive:
Da questo passo vinto mi concedo
più che già mai da punto di suo tema
soprato fosse comico o tragedo
(Par., XXX, 22-24)
E nella Commedia simili dinieghi sono sempre molto più che semplici topoi, luoghi comuni di modestia o ineffabilità. Tuttavia, Dante era ben consapevole della necessità di comunicare entro una cultura che aveva un alto rispetto per la tradizione e che quasi inconsciamente associava determinati procedimenti formali con certe precise. connotazioni. Così, per parlare in termini genericamente comparativistici, Dante «elevò» effettivamente il proprio registro stilistico passando da una cantica a quella successiva. Del resto, se la sua grande opera di riforma doveva avere successo, occorreva parlare al suo pubblico in un modo che esso potesse apprezzare. Dante non era uno scrittore d’avanguardia nel senso moderno del termine; il rispetto che egli aveva per la tradizione era per così dire quasi «religioso» (basterà ricordare come rappresenta Virgilio e la sua opera). D'altra parte, percepiva assai bene le inaccettabili restrizioni che una precettistica dogmatica poteva imporre. Il suo obiettivo era di innovare la tradizione, persino di criticarla, ma con misura e dall’interno, non di respingerla; in effetti, se non avesse provocato una tensione, interna alla Commedia, ad esempio tra i modelli letterari sanciti dalla precettistica retorica e le proprie soluzioni poetiche, sarebbe stato difficile per Dante mettere in luce l’originalità del suo poema. Pur portando una sfida alla forma mentis plasmata dalla retorica, la sua idea di base — come si è visto — su quali dovessero essere le preoccupazioni e le responsabilità della retori- ca rimaneva sostanzialmente quella che aveva appreso a scuola.
Dante non ignorava le difficoltà interpretative che sarebbero scaturite dalla sua sperimentazione. Ma, non senza ragione, si attendeva dai lettori uno sforzo di decifrazione del poema, come avevano imparato a fare durante i corsi di grammatica e conformemente a quanto tutta la tradizione esegetica aveva da sempre ripetuto. Gli indirizzi di Dante all’onnipresente lettor sono in fondo gli indizi più accessibili di questo suo proposito. Dante pensava di poter contare sulla sofisticata memoria tecnico-retorica e letteraria, nonché sulla capacità di lettura perlomeno dei settori più colti del suo pubblico, per poter chiarire gli aspetti di originalità della Commedia. Per dare un aiuto e per guidare i lettori in questa operazione, Dante inserì nel suo poema una mirabile varietà di elementi metaletterari attraverso i quali egli sperava di illustrare la novitas della sua opera . Come ha scritto Gianfranco Contini in quello che resta forse il contributo più importante della critica dantesca di questo secolo, «una costante della personalità dantesca è questo perpetuo sopraggiungere della riflessione tecnica accanto alla poesia» . Nella Commedia, egli raggiunse questo scopo con strumenti che potevano essere immediatamente riconoscibili dai suoi contemporanei. Lo stesso inserimento di aspetti metaletterari con la funzione di stimolare l’attività interpretativa è tipico della letteratura medievale; tuttavia, sia la loro abbondanza (non vi è quasi canto che non comprenda almeno uno o due riferimenti di questo genere), sia l’accurata distribuzione che ne governa la comparsa distinguono il metodo dantesco da quello di altri autori. Analogamente, se si considera la definizione tecnica data del Purgatorio — «questa cantica seconda» (Purg., XXXII, 140) —, la distanza che separa l’uso dantesco del termine cantica dagli altri suoi significati correnti è subito evidente , anche se naturalmente Dante desiderava che venisse riconosciuto un certo rapporto tra i due . Parlando della Commedia, il poeta usava un linguaggio e delle strutture comuni e familiari alla memoria del suo pubblico: vale la pena di notare che, per quanto mi risulta, egli non coniò alcun nuovo tecnicismo per descrivere il suo poema così radicalmente innovativo, basandosi invece sulla terminologia in uso nelle diverse modalità medievali del discorso letterario. Però, è quasi sempre avvertibile una divaricazione semantica tra l'argomento e lo stile dei singoli brani e dei contesti in cui sono inserite le dichiarazioni metaletterarie, e le connotazioni allora consuete del medesimo gergo tecnico-letterario . Per esempio, Dante sperava che la spiegazione dello sperimentalismo del suo poema sarebbe cominciata ad apparire tramite la discrepanza ideologica che egli si aspettava si potesse creare tra le normali aspettative del lettore tradizionale quando vedeva il Purgatorio definito come urna cantica, e le originali e inaspettate soluzioni artistiche della Commedia descritte con quel termine. Per superare tale momento di confusione, il lettore sarebbe stato costretto a mettersi ad interpretare; mentre Dante ribadiva in questo modo la collocazione tutta particolare della sua opera in rapporto alla tradizione.
Per complementare questa descrizione più rigorosamente tecnica, anche se non proprio teorica, della Commedia, Dante la definì anche in termini più concreti. Come hanno dimostrato alcuni critici, sviluppando una delle numerose brillanti intuizioni continiane, Dante segnalò in modo analogo, attraverso una serie di complesse operazioni poetiche e ideologiche, la distanza che separava il suo poema da altre esperienze letterarie la sua distanza dai classici latini (compreso Virgilio) e dai poeti provenzali, dalle chansons e dai romans francesi e dalla poesia guittoniana e dal dolce stil novo (compresi i suoi stessi scritti giovanili). In particolare, la Commedia assimila e va al di là di tutte queste tradizioni mettendo in luce la loro inadeguatezza, proprio per la loro rigida fedeltà alle categorie dei genera dicendi, nel trattare la ricca diversità di «ciò che per l’universo si squaderna» (Par., XXXIII, 87).
Il secondo difetto principale di queste altre opere, secondo il poeta, è che nessuna di esse partecipa altrettanto direttamente della Commedia al disegno provvidenziale divino . Dante, a differenza dei suoi predecessori, aveva, per volontà divina, la responsabilità di narrare tutto quanto aveva appreso durante il corso del suo viaggio escatologico:
Tu nota; e sì come da me son porte,
così queste parole segna a’ vivi
del viver ch’è un correre a la morte.
E aggi a mente, quando tu le scrivi,
di non celar quel hai visto la pianta
ch’è or due volte dirubata quivi.
(Purg., XXXIII, 52-57)
E la sua fu un’esperienza che sembra aver evocato e toccato ogni diverso aspetto della creazione. Egli doveva adempiere a questo compito nel modo più esauriente e preciso possibile:
Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua vision fa manifesta;
e lascia pur grattar dov’è la rogna
(Par., XVII, 127-29)
Dante poteva dunque raggiungere questo risultato solo se fosse stato libero di usare a sua discrezione le soluzioni linguistiche - con una capacità di discernimento acuita dal viaggio stesso e dal suo talento (Par., XXII, 112-14) – che paressero più adatte ai suoi fini espressivi e didattici. In sostanza, Dante affermava di servirsi del linguaggio e della letteratura per compiere un'opera divina. Non aveva perciò più alcun senso essere limitati dalle convenzioni umane; queste ultime vengono anzi ritrasformate in seguito al contatto con il divino: la legittimazione della sua rivoluzione poetica proveniva direttamente dal Cielo. Nello scrivere la Commedia i modelli danteschi più immediati erano i due «libri» divini: l'universo, che comprende «in un volume» (Par., XXXIII, 86) tutta la creazione e nelle cui pagine il pellegrino aveva avuto il più che raro privilegio di scrutare, e la Bibbia, composta secondo le convenzioni stilisticamente e tematicamente onnicomprensive del semo humilis . Dante a sua volta si sforzò coscienziosamente di raggiungere una sintesi analoga restringendo i diversi «stili» retorici, generi letterari e linguaggi propri della cultura del suo tempo, in una struttura matematicamente armoniosa basata sui numeri tre e dici, esemplificazione testuale dei principi e dell’ordo della creazione divina . Questa organizzazione testuale avrebbe dovuto riflettere anche la mano dell’artista divino nella genesi della Commedia. Imitando il supremo artefice, il Deus artifex, fonte e ispirazione di ogni libro, Dante cercava una giustificazione per il proprio sperimentalismo letterario nell’unica fonte inattaccabile persino dal più pedante e conservatore dei precettori. Il dovere imposte all'umanità, ispirandosi alla Commedia, era di seguire l'autore del poema e imitare l’exemplum divino, quindi perseguendo in tutte le attività terrene un giusto e perfetto equilibrio. Nominando Dio come sua auctoritas, Dante, come ho già notato discutendo la sua vocazione summatica (a cui ora torno), poteva così integrare le proprie preoccupazioni artistiche e morali.
La «poetica teologica» di Dante istituisce e aderisce, in ultima analisi, ad una «nuova retorica», una retorica che, in opposizione a quella «vecchia», esalta come virtù la molteplicità nell’unità. Questo è l'unico ideale letterario accettabile per uno dei più convinti assertori del sincretismo nella cultura occidentale. È quindi inevitabile che il suo modo di vedere la grammatica, la retorica, la tradizione letteraria, e persino il mondo in cui viveva, privilegi sempre un'ideale di sintesi. Il modello sincretistico universale, di origine divina, viene reiterato ad ogni livello della poetica dantesca. Egli lo applicò anche all’allegoria della Commedia, che fonde l’«allegoria dei teologi» con quella «dei poeti», e ciascuna delle due con l'allegoria convenzionale e con la personificazione . In questo come in altri aspetti, Dante cercava di avvicinare la cultura religiosa a quella secolare, o (semplificando, ma non è detto che con ciò la precisione non ne guadagni), di unire la Bibbia e Virgilio. Questa è, credo, alla fin fine, la fonte di ispirazione della poetica della Commedia.
Una delle ragioni principali per cui Dante volle rinsaldare un particolare legame allegorico e intertestuale tra il suo poema e la Bibbia era per sancire la verità del suo racconto. Sulla scia degli scritti di Tommaso d'Aquino, il senso storico-letterario del testo sacro era nuovamente divenuto fondamentale, in coincidenza con il deprezzamento della «lettera» dei testi profani . Sebbene la Bibbia fosse considerata senza alcun dubbio un'opera ispirata da Dio, numerosi esegeti avevano iniziato, dal dodicesimo secolo in poi, a elogiare, l’abilità artistica con cui i suoi autori umani ne avevano forgiato la littera . Per Dante la storicità di stampo biblico di cui voleva che godesse la propria «lettera» era una garanzia non solo della verità del suo messaggio profetico, ma anche del fatto che la maestria poetica del suo testo sarebbe stata apprezzata, e non ignorata come facevano quelli come l’Aquinate che giudicavano tale maestria poetica solo una maniera assai criticabile per rendere più attraenti delle «belle menzogne» (Conv. I, i, 3), il cui valore era limitato alla lezione morale che se ne poteva trarre. Un altro modo in cui Dante dimostra l'inadeguatezza delle altre tradizioni letterarie presentate nella Commedia è di metterle a confronto con la propria, rispetto ai criteri biblici. In effetti, solo il suo poema poteva dirsi, per quanto parzialmente, vicino al libro divino per l’ampiezza formale, ideologica e ontologica dei suoi interessi. Nell'universo letterario dantesco dominato dalla Bibbia, solo un'altra opera; a parte la Commedia, poteva trarre qualche vantaggio dall'essere accostata alle Scritture. Infatti, anche l’Eneide, come rivela sorprendentemente Stazio, ha la capacità di salvare:
E se non fosse ch'io drizzai mia cura,
quand' io intesi là dove tu chiame,
crucciato quasi a l'umana natura:
«Per che non reggi tu, o sacra fame
de l'oro, l'appetito de' mortali?»,
voltando sentirei le giostre grame.
Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali
potean le mani a spendere, e pente'mi
così di quel come de li altri mali.
(Purg., XXII, 37-45)
Dante riesce così a rendere onore alle sue fonti principali, accostandole sino a formare, assieme alla propria comedia, una trinità di testi privilegiati (un numero che non può essere casuale). Questa operazione sottolinea poi la peculiarità di ciascuno di essi: la Bibbia è il culmine ideologico e formale raggiungibile pienamente soltanto da Dio; l'Eneide rappresenta il miglior esempio di testo chiuso in un'ideologia cui manca l'illuminazione divina e congegnato secondo le convenzioni' tradizionali della retorica; la Commedia raccoglie tutto il meglio di quest’ultima e compie il tentativo, seppur tra mille incertezze, di seguire l'esempio della Bibbia.
Dante non pensò mai alla sua Commedia come a una seconda Bibbia, nello stesso modo in cui la considerava una seconda Eneide. La subordinazione alla Bibbia è subito chiara, dal momento che il poeta non pretende di riuscire a raggiungere la perfetta sintesi di verba, res e signa che è la caratteristica distintiva del testo scaro . Date le sue umane limitazioni, sarebbe stato inutile per Dante cercare semplicemente di imitare la scrittura divina. È per questo che, come ho affermato, egli trasse ispirazione da ogni tradizione letteraria precedente affinché la sua debole voce umana potesse farsi degna di comunicare il messaggio divino di redenzione. Si tratta dì una scelta artistica e di una presa cli posizione essenziali, dato che «nello spazio tra il verbum divino e quello dantesco, non solo si trova la differenza tra la Bibbia e la Commedia, ma è anche il luogo in cui Dante rivendica il proprio genio poetico» , rivelando l’unicità del proprio discorso in raffronto al resto della tradizione letteraria. Per poter apprezzare la particolarità della Commedia e della sua poetica, è indispensabile tener conto di tutta la sua gamma allusiva e del costante riferimento incrociato tra le innumerevoli sue fonti. In tale maniera si concretizzano le ambizioni di un grandissimo sincretista.
Da un certo punto di vista, tuttavia, l'opera di Dante potrebbe essere giudicata un fallimento: il suo immediato destinatario come dimostrato dalla stragrande maggioranza dei commentatori trecenteschi, non riuscì districare il bandolo della sua nuova poetica . Ma la Commedia fonde così intimamente didatticismo e poesia, ideologia e arte da riuscire a produrre un fortissimo stimolo drammatico e intellettuale anche quando se ne percepiscano solo oscuramente le operazioni letterarie. Sembrerebbe questa una ben strana conclusione ad un discorso in cui ho sottolineato l'importanza cruciale della poetica e dello sperimentalismo di Dante; d'altra parte, è proprio questo il metro con cui dobbiamo valutare la consumata perizia con cui il poeta fonde poesia e riflessione tecnica. Dissezionare la poetica dantesca può dare grandi soddisfazioni dal punto di vista intellettuale, ma altrettanto può dare il contemplare il poema nella sua unità. È questa la lezione, insita nel poema stesso, che la Commedia insegna, e che le serve da sostegno ideologico: l'armoniosa fusione, a imitazione del modello divino, di elementi autonomi in una singola opera. Dante diede a questo suo nuovo progetto poetico una definizione retorica e letteraria convenzionale – comedia –, e nella scelta di questo titolo egli racchiuse tutto l'orgoglio che provava per i suoi principi poetici unendo intimamente la riflessione tecnica all'opera compiuta. A differenza dello stilus medius della tradizione - poco più che nominalmente tale -, il suo stile «comico», era veramente uno stile «mediano», luogo di incontro per ogni idea, ogni argomento, ogni registro formale. Ma il termine comedia non è solo questo. Nei suoi usi e significati tecnici, esso non apparteneva soltanto alla tradizione retorica, ma attraversava anche tutte le altre varie tendenze del pensiero letterario che erano alla base della poetica dantesca. In particolare, esaminando le analisi della nozione di commedia da Cicerone al Trecento, troviamo che il concetto abbracciava definizioni sorprendentemente difformi che comprendevano una vasta serie di temi e di registri stilistici . Il «comico» può dirsi adatto ad ogni soggetto e stile; esso sembra identificarsi con la letteratura tout court. Comedia, dunque, racchiude in sé lo stesso onnicomprensivo punto di vista che caratterizza la forma, la materia e la dimensione metaletteraria del poema di Dante. L'Alighieri unisce in una singola opera tutti gli elementi del «comico» discussi separatamente dalla tradizione, e, perciò, mai simultaneamente attualizzati da quel genere. Bisognava aspettare il grande genio sperimentale e sincretistico di Dante perché si svelassero le vere possibilità della commedia. La chiave per comprendere il variegato sincretismo del poema, e il centro focale da cui iniziarne l'esegesi partono, quindi, dal titolo - esattamente uno dei luoghi particolarmente indicati dagli accessus ad auctores come degni di speciale attenzione nell'atto di interpretare un’opera letteraria .
Eppure, il rapporto che Dante creò tra la tradizione esegetica e la Commedia è tanto rivoluzionario quanto lo sperimentalismo artistico del poema. Prima di Dante, la tradizione critica si era concentrata quasi esclusivamente su opere autorevoli in latino . Con la Commedia, il poeta non solo rivela che un testo in volgare merita di essere interpretato, ma sfrutta anche le convenzioni dell’allegoresi, su cui si fondava l’auctoritas della cultura latina, per rivendicare a sé lo statuto di auctor e fare del suo poema l’apice culturale ed ideologico del mondo cristiano moderno. Dove Dante si spinse per primo, il resto della comunità intellettuale trecentesca lo seguì tributandogli rispetto ed onore – ma anche, allo stesso tempo, con una certa cautela e con non poche perplessità .