Dati bibliografici
Autore: Friedrich Ohly
Tratto da: Geometria e memoria. Lettera e allegoria nel Medioevo
Editore: Il Mulino, Bologna
Anno: 1985
Pagine: 249-275
Nel descrivere l’arte del sublime, Hegel, nelle Lezioni sul l'estetica , ne caratterizzò le forme in base al diverso tipo di rapporto intercorrente fra la «sostanza come significato ed il mondo apparente» (484). Dalla poesia panteistica, le cui manifestazioni storiche egli vede collegate dall'esperienza dell’«esistenza sostanziale di Dio nelle cose (493), talché essa conosce solo simboli dal contenuto indistinto, Hegel separa la «forma d’arte del sublime vero e proprio», che è definita dal significato e dalla sua chiara comprensione. Qui l’opera d’arte è «l’effusione della pura essenza come ciò che dà il significato a tutte le cose»; il «significato di Dio che nel mondano si innalza al di sopra di tutto il mondano» trasforma l’arte del sublime in arte sacra. Il suo contenuto è la «relazione di Dio con il mondo da lui creato», dal momento che il creatore, il quale non ha forma, non è presente nel creato né è raffigurabile artisticamente per mezzo del creato. Elevatosi al di sopra del futile, l’uomo sarà in grado di cogliere la sublimità di Dio, come nella «poesia sacra» dei Salmi (495 s.). Ponendo l'origine del sublime nel monoteismo giudaico, Hegel è pervenuto alla radice della sublimità dell’arte cristiana, la cui trattazione egli non affronta. Non nell’antichità — che Hegel lascia del pari fuori della sua considerazione — ma nella Bibbia quale parola rivelata del rapporto intercorrente tra Dio e il mondo è collocato il fondamento per l’arte sacra del sublime. L’incombenza di rendere la parola trasparente in ordine al suo significato, che con la rivelazione risulta affidata all’arte e all’esegesi, permane nell’ambito del sublime hegeliano; tuttavia in questa sede non vedremo il «significato che nel mondano si innalza al di sopra di tutto il mondano» nell’«essere puro», la «sostanza», l’«assoluto» della filosofia hegeliana, bensì lo intenderemo in prospettiva cristiana, in ordine a Dio, come il significato del creato rivelato da Dio, nell’involucro della parola.
L'interrogativo sul senso spirituale della parola non è comune solo ad Ebraismo, Cristianesimo e Islam in quanto religioni rivelate, bensì proprio, anche nel Medioevo cristiano — che qui ci interessa — non soltanto al tedesco ma a tutte le lingue. Il problema è genericamente d’ordine ermeneutico e riguarda le lingue universali della chiesa non meno di quelle nazionali, e perfino i «linguaggi» delle arti non legate alla parola. Il suo sviluppo ci farà balzare evidente dinanzi agli occhi quell'intimo legame che nel Medioevo intercorre tra tutte le discipline scientifiche — incluse quelle naturali — accomunate nell’opera a servizio della conoscenza del mondo e del suo significato rappresentato nella parola — legame per il quale oggi non ingiustificatamente si nutrono preoccupazioni.
Nel porre il quesito circa il significato spirituale della parola si dovrà prendere le mosse dalla Bibbia, per la cui comprensione il Medioevo si è battuto nel culto e nell’insegnamento, in innumerevoli opere esegetiche e facendo ricorso ad ogni mezzo artistico, poesia inclusa. L’anelito ad intendere la Sacra Scrittura ha posto la cristianità dinanzi al più grande dei compiti, non solo storico-filologico in senso stretto, ma interpretativo, che sia stato allora affrontato dall’umanità. E noi filologi di norma non abbiamo coscienza — come l’ebbe, invece, Dilthey nella sua Origine dell’ermeneutica — dell’entità del debito che la nostra arte dell’interpretazione ha nei confronti dell’esegesi biblica già della Patristica e del Medioevo.
Nell’impegno a comprendere la parola della rivelazione è implicito un assunto che supera qualsiasi sforzo interpretativo compiuto intorno ad un testo letterario extrabiblico. Dai Padri della Chiesa in avanti si pone come premessa di ogni interpretazione biblica la convinzione che alla Scrittura inerisca natura singolare, differenziandosi il testo sacro in modo sostanziale da tutta la letteratura secolare, vale a dire, data la prospettiva, dall'intera produzione letteraria dell’antichità. Questo principio, continuamente ribadito, suona: mentre l’intera letteratura profana racchiude solo un significato storico o letterale della parola, la parola della Sacra Scrittura, accanto al significato storico e letterale, che essa ha in comune con la letteratura pagana, comprende un significato più alto, spirituale, un sensus spiritualis. Impiantata nel Nuovo Testamento, formulata nei suoi principi dal Peri Archor di Origene e dal De doctrina christiana di Agostino , sancita dalla tradizione formatasi attraverso l’esegesi patristica, e valida fino a quando Lutero, rompendo con l’interpretazione spirituale della Bibbia, non fu obbligato a rigettare anche la tradizione, la dottrina del sensus spiritualis della parola biblica ha dominato l’età di mezzo. Essa ha messo la filologia del Medioevo — sempre che sia consentito comprendervi lo sforzo esegetico compiuto da parte teologica intorno alla parola della Scrittura — di fronte a due problemi essenzialmente diversi. Uno consisteva nel cogliere con esattezza il senso letterale che la Bibbia ha al pari di tutta la letteratura profana: attraverso la critica testuale e gli altri metodi esplicativi del testo coltivati nel trivium, elaborati in età ellenistica e trasmessi nel Medioevo dall'antichità. Questo, dunque, il compito che la filologia moderna ha affrontato e di cui continua ad occuparsi con i suoi metodi estremamente raffinati. Determinate scuole ed età del Medioevo si sono fatte carico di questo compito con priorità assoluta; così l’antiochena, all’inizio, e, nel XII secolo, alcuni rappresentanti della scuola di San Vittore a Parigi. E già qui emergono le istanze che sono divenute ovvie per la nostra filologia: che vengano considerati il contesto, il luogo e l’epoca di composizione, il genere letterario, la persona dell’autore e particolari circostanze a lui relative — il tutto al fine esplicitamente espresso di comprendere il senso inteso dall’autore: sententiar litteralem scripturae ab auctore principaliter intentam . Cose, queste, che, almeno dopo la scuola d’interpretazione diltheyana, ci sono di nuovo familiari, sicché non è il caso di occuparsene ulteriormente. Il secondo e più considerevole compito spettante alla filologia cristiana del Medioevo consisteva nello scoprire il senso spirituale della parola celato nella lettera, che, secondo Bernardo di Chiaravalle, con la crocefissione del Verbo fu rivelato anche per l'Antico Testamento, allorché la «cortina della lettera che uccide fu lacerata» .
La dottrina di tale senso spirituale si fonda sul principio che il significato della parola è diverso nella letteratura profana e nella Sacra Scrittura. Lo cito in una formulazione del XII secolo, dato che sia qui sia in seguito non mi stanno tanto a cuore le derivazioni storiche, quanto una descrizione della situazione esistente in primo luogo nel XII secolo, da cui trarre conseguenze che, estranee all'interesse teologico, sono essenziali per la medievistica. All’esperto non sfuggiranno i miei debiti nei confronti dell’anglista H.H. Glunz, di teologi come J. Daniélou, H. de Lubac, M.-D. Chenu, C. Spicq e della storica Beryl Smalley — per limitarmi solo a questi nomi . Riccardo di San Vittore formula il principio in questi termini: «La parola di Dio è di gran lunga superiore alla sapienza del mondo per il fatto che non solo i suoni delle parole ma anche le cose [indicate dalle parole] hanno un significato»: non solum voces, sed et res significativae sunt . L'importanza di questa enunciazione è tale che non sussiste alcun rischio di sopravvalutarla. Senza di essa per il Medioevo il senso spirituale della parola non esisterebbe. Essa intende dire che la parola profana ha esclusivamente un significato evidente, superficiale, o, come dice Ugo di San Vittore, scritto sulla fronte, vale a dire quello storico o letterale, che consiste nella rispondenza tra un oggetto (res) e il suono della parola (vox). Il significato del vocabolo «pietra», ad esempio, sul piano del senso letterale si esaurisce nella cosa che ci è nota in natura. Mentre è proprietà della Sacra Scrittura che per l’appunto questa cosa in cui si esaurisce il senso letterale sia invece il vero e proprio portatore di significato. Ogni cosa che entra nella lingua con un appellativo, ogni elemento creato da Dio che viene denominato mediante la parola rinvia ulteriormente ad un significato pi alto, è segno di alcunché di spirituale, ha una sigrificatio, una be-zeichnunge, una Be-deutung. Si distingue pertanto un duplice significato, l’uno che procede dalla forma vocale alla cosa, dalla vox alla res, e uno più alto, legato alla cosa, che partendo da essa rimanda a qualcosa di superiore. Mentre il mondo dell’antichità (Ebrei e Gentili) si era occupato esclusivamente dei significati delle parole, la filologia cristiana del Medioevo si è altresì interessata dei significati di tutto quanto esistente nella creazione. Omnis creatura significans è detto con stringatezza presso Alano di Lilla ; oppure presso Ugo di San Vittore : «Omnis natura Deum loquitur. Omnis natura hominem docet. Omnis natura rationem parit, et nihil in universitate infecundum est». Ma la cosa non ha un solo significato come la parola (a meno che per omonimia essa non ne abbia più d’uno), bensì significati molteplici. Ciascuna cosa indicata con una parola ha addirittura una miriade di significati il cui numero corrisponde alla somma delle qualità di tale cosa. Questo è, infatti, il secondo principio, che ancora una volta non sarà visto nel suo svolgimento storico: l’oggetto ha tanti significati quante sono le qualità che esso possiede. La concisa formulazione di Pietro di Poitiers è: «Quaelibet enim res, quot habet proprietates tot habet linguas aliquid spirituale nobis et invisibile insinuantes, pro quarum diversitate et ipsius nominis acceptio variatur» . Le proprietà significative della cosa sono date nel suo aspetto esteriore (visibilis forza) nella sua intima natura (invisibili natura) . La neve significa qualcosa in base alla forma, in quanto è bianca, e qualcosa in base alla natura, in quanto è fredda. La filologia medievale deve avere come principale intento quello di sondare la natura e delle voces e delle res. Ciò si verifica nel quadro delle septerz artes liberales. Nel trivio (grammatica, dialettica, retorica) sono oggetto di trattazione le voces. Il quadrivio, invece, ha il compito di determinare la cosa in base a forma e natura, vale a dire in ordine alle sue proprietà in quanto depositarie di significato. Così, per esempio, la matematica tratta della forza exterior, la fisica della interior natura delle cose. Ovvero, se ci si fonda sulla suddivisione in logica, etica e teoria che è corrente nel Medioevo a partire da Origene: «Logica de vocibus, ethica de moribus, theorica de rebus tractat. Item theorica subdividitur in mathematicam, physicam, theologiam» . Non le discipline filologiche che fanno parte in senso stretto del trivio, quindi, bensf matematica e fisica sono strettamente apparentate con la teologia. Il trivio si pone al servizio della scienza del significato delle parole, il quadrivio della scienza del significato delle cose, che su quella si fonda. Tutte le discipline scientifiche medievali vengono impiegate allo scopo di analizzare il senso spirituale della parola: «Omnes itaque artes subserviunt divinae sapientiae et inferior scientia recte ordinata ad superiorem conducit» . Ovvero: «In hoc enim quod in divina pagina tam rerum quam vocum necessaria est significatio, artes ei subserviunt, dum trivium vocum, quadrivium physicarum rerum administrat notitiam» . Le discipline specificamente filologiche che si occupano della parola sono propedeutiche alle discipline del quadrivio, il cui oggetto di studio è la cosa, al fine di spianare la via al significato spirituale delle cose. Pertanto le discipline che trattano della forma e della natura delle cose non hanno senso autosufficiente quali scienze naturali «pure», ma iniziano al senso della Scrittura. Non diversa funzione assolvono il Physiologus, i bestiari, i lapidari, gli erbari, anzi l’intera enciclopedia del Medioevo, a cominciare dalla poderosa opera De universo di Rabano Mauro, il quale la intitola De semzonwmn proprietate et moystica rerum significatione . Obiettivo di ogni scienza volta al creato è la descrizione delle cose, al fine di preparare il terreno all’intelligenza spirituale di esse mediante la determinazione delle proprietà di ciascuna cosa creata. Nel novero di queste res primzze res secundas significantes non rientrano, tuttavia, solo gli oggetti visibili, ma anche persone, numeri, luoghi, tempi, come pure eventi storici . Gli accadimenti della storia che si è svolta a partire dalla creazione sono del pari portatori di significato, circostanza dalle vaste implicazioni per la coscienza tipologica che il Medioevo ha della storia. «Ea, quae in veritate gesta sunt, alterius sacramenti formam praefigurasse dicuntur» .
Qui di seguito prescinderò dalla distinzione tra il significato della parola e della cosa e, ad esso affine nella sostanza, il significato fattuale — sul quale ultimo poggia ampiamente la dimensione tipologica dell’arte medievale — per mantenermi nei limiti di quanto anche per il Medioevo è possibile esporre della scienza del significato con i mezzi della lessicografia.
Siccome la cosa ha tanti significati quante sono le sue proprietà, ma di proprietà ne esistono di buone e di cattive, la stessa cosa può avere significati buoni e cattivi — alcuni, come già si esprimono i Padri della Chiesa in bonam partem e alcuni in malam partem; oppure, come sovente anche si dice, vi sono parole che possono essere scritte con inchiostro dorato ovvero nero. La medesima cosa, designata con una sola parola, può significare sia Dio sia il diavolo, come pure coprire, con i suoi diversi significati, l’intera gamma di valori che si estende tra questi due estremi . Il leone può significare Cristo perché è sua natura dormire con gli occhi aperti: come Cristo, morto in quanto uomo, tuttavia era in vita in quanto Dio (III, 54). Secondo la natura che gli è propria può significare il diavolo per la sua sete di sangue, perché si aggira, ruggendo, alla ricerca di colui che divorerà (1 Pt., 5,8; III, 54). Significa il giusto, che è fiducioso «come un giovane leone» (Prv., 28,1; III, 53). Significa l’eretico per l’odore dei denti che promana dalle sue fauci, come dall’eretico la parola della blasfemia (III, 55), e così via. Quale significato abbia di volta in volta la cosa si determina in base alla proprietà della cosa che viene chiamata in causa e in base al contesto in cui la parola in questione fi- gura. Il significato della parola si esaurisce in rapporto all’unica cosa. Mentre la cosa ha un universo di significati, che va da Dio al diavolo, e potenzialmente esiste in ogni cosa designata da una parola . Esso si attualizza di volta in volta solo in una direzione determinata dal contesto e dalla qualità chiamata in causa nell'oggetto. Nel caso testuale concreto il leone, quindi, non potrà significare «Dio o il diavolo», ma solo l’uno o, in contesto differente, l’altro. Anche con i significati delle cose è necessaria un’interpretazione del significato che, scaturendo dal contesto, permetta di cogliere, nel numero di significati teoricamente illimitato, quello di volta in volta adatto. AI Medioevo importa rendere accessibile l’universo di significati riposto nella cosa sin dalla creazione, quale somma di possibilità di significati spirituali, per poterlo impiegare, avendo rinvenuto il significato confacente, nel contesto che interessa. Per questo motivo il Medioevo creò per le singole cose versi mnemonici che innanzitutto catalogano brevemente le proprietà di una cosa; così, ad es., per «mare» presso l’Anonimo di Chiaravalle (II, 156):
Est mare diffusum, fervens, salsum atque profundum,
Absorbens, fluidum, lucidum, foetens et amarum
Atque procellosum, rugit, gignitque periclum.
O per «olio» nelle Distinctiones monasticae (11,381): «Oleum multa significat in sacra scriptura, quia multae sunt eius proprietates, quae notantur his versibus»:
Est oleum pingue, calidum, nitidumque, suave;
Mitigat et reficit, lucet, superenatat, ungit.
Le proprietà vengono, poi, spiegate nel medesimo ordine di successione . Trattandosi delle proprietà di cui ci si può servire per l’interpretazione, ecco indicati in alcuni versi mnemonici delle Distinctiones monasticae — tanto per addurre anche in questo caso un esempio — dodici diversi significati della cosa «pietra», che trascorrono l'universo dei suoi significati da Cristo git sino ai Gentili (II, 330).
Christus, et angelica virtus, Christi quoque sponsa,
Iustus, iustitia, carnalis sensus, et usus
Pravus, peccatum grave, daemon, falsus hebraeus,
Verus gentilis dicitur esse lapis.
Le descrizioni delle cose sulla cui scorta viene reso accessi- bile nel Medioevo il significato possono rivelare, proprio se in prosa, grande accuratezza permeata da un senso di venerazione poetica verso la natura delle cose. È il caso della «rugiada» presso l’Anonimo di Chiaravalle, le descrizioni del quale sono sempre particolarmente belle: «Ros invisibiliter descendit, refrigerat, fecundat; clarus, suavis; modico calore siccatur; terram mollescit, semini placet; nocte fluit et silentio, minutatim ac sparsim» (II, 90). Ciò che è terreno, chiamato alla lode di Dio in quanto creato dalla sua mano, non viene mortificato dal processo di spiritualizzazione, ma, consacrato dalla parola del creatore rinchiusa nella cosa, viene descritto con pia devozione. Al Medioevo importa rendere accessibile il significato della natura delle cose cosf intesa. Perché, e in questo risiede il motivo di tanto affaticarsi, il significato delle parole è stabilito dall'uomo e serve all'uomo per manifestare il suo volere. Il significato della cosa, invece, è fissato da Dio. Per mezzo della parola l’uomo comunica con il suo simile, per mezzo della cosa Dio parla all'uomo — ed è la parola di Dio nelle cose che conta comprendere: «Voces ex humana, res ex divina institutione significant. Sicut enim homo per voces alteri, sic Deus per creaturas voluntatem suam indicat» .
Ma di che tipo è, dunque, il senso spirituale riposto nelle cose, il sersus meysticus, finché nascosto, ovvero spiritualis, quando è rivelato? A questo punto diventa inevitabile usare il termine sinora eluso e interrogarci sulla natura dell’allegoria. Non esiste, dall'antichità al Romanticismo e sin nella termino- logia scientifica moderna, concetto che appaia pit cangiante e che abbia dato in maggior misura origine a malintesi. In questa sede sarà sufficiente per noi prendere con fermezza una chiara decisione. Ciò che la storia della letteratura soprattutto del tardo Medioevo chiama poesia allegorica — come il Roman de la Rose francese e le allegorie d'amore — non ha nulla da spartire con quanto si ha da intendere qui per allegoria. I due concetti si escludono a vicenda. Nell’un caso si tratta di allegorie appartenenti al tipo delle personificazioni : il senso è quello dato, e la cosa idonea alla sua personificazione è ricercata e trovata attraverso l'invenzione poetica . Dopo il libro di Lewis Allegory of Love, la storia della letteratura s'è curata in modo particolare di questa poesia anche «allegorica» e il pe- ricolo che si ingeneri confusione concettuale, chiaramente evitato da Lewis, è oggi palese. L’allegoria che ricorre alla personificazione è una tecnica compositiva in uso dall’antichità, che trova la sua collocazione nella poetica, nel cui ambito in età medievale pure il suo nome continua ad esistere . Di diversa origine e diverso genere è ciò che il Medioevo intende per allegoria nell'esposizione della Sacra Scrittura. Se nella tecnica poetica dell’allegoresi si tratta dell’arbitraria illustrazione poetica di un'idea mediante personificazione o reificazione, nell'ambito dell’esposizione cristiana della parola, invece, si tratta di scoprire il significato del linguaggio di Dio suggellato nella creatura all’atto della creazione, di revelatio, di una spiritualis mottificatio — come la chiama Ugo di San Vittore (PL, 175, 20 D) — che nel muto mondo delle cose coglie il linguaggio dell’annuncio divino.
In linea di massima il Medioevo distingue tre gradi del senso spirituale della parola, indicando di solito come allegoria il primo di questi tre gradi. Sul fondamento del senso storico o letterale della parola si alza l’edificio — così detto dal Medioevo stesso — dei tre gradi del senso spirituale della Scrittura, l’allegorico, il tropologico e l’anagogico. A seconda dell'aspetto sotto cui la parola viene interrogata circa il suo significato, essa si schiude all’esegeta nella dimensione storica, allegorica, tropologica o anagogica. Se si interroga il testo su ciò che è stato a livello storico, esso risponde col senso storico letterale . Se si pone l’interrogativo circa il suo significato nella storia della salvezza, il testo risponde sul piano del senso allegorico. Con allegoria si intende in questo caso lo stesso che con il moderno concetto di tipologia, quindi la relazione di significato esistente tra prefigurazione e compimento, del tipo di quella che lega Antico e Nuovo Testamento. Questa forma di pensiero tipologica, ancorata alla concezione storico-salvifica, ha fortemente impresso di sé la coscienza storica del Medioevo, essendosi, tra l’altro, potuta trasferire al rapporto tra mondo antico quale prefigurazione e mondo cristiano quale compimento, e cosi accrescendo a tal punto l'euforia derivante dalla coscienza di vivere in un’epoca che aveva sopravanzato l’antichità che proprio a questa coscienza si sono ricondotte le profonde sollecitazioni che hanno promosso il superamento artistico del mondo classico nel Medioevo — scoperta, questa, di Schwietering, ulteriormente analizzata e motivata da Auerbach e Glunz . Se presa in esame non sotto l’aspetto storico-salvifico, bensì in riferimento all’esistenza dell'anima individuale nel mondo, la parola si schiude nel suo senso tropologico o morale, che dà indicazioni sulla condotta da tenere nella vita, facendo riconoscere la destinazione dell’a- nima e il cammino che essa deve percorrere per giungere alla salvezza. Ed infine, richiesta di una dichiarazione sulle promesse che si compiono nell'aldilà, si rivela il senso anagogico della parola, quello escatologico, che conduce al cielo. Un esempio tipico, citato frequentemente nel Medioevo a questo riguardo, è la parola Gerusalemme: a livello storico, una città sulla terra; allegoricamente, la Chiesa; tropologicamente, l’anima del credente; anagogicamente, la città celeste.
Secondo un’immagine corrente nel Medioevo a partire da Gerolamo, sulle fondamenta della comprensione letterale (oltre la quale non andarono né gli Ebrei né i pagani) vengono alzate le pareti dell’allegoria, sulle quali poggia la volta dell’intelligenza anagogica il cui sguardo è fissato verso l’aldilà, mentre i colori della wz0r4fitas valgono ad ornare tanto all’interno tanto all’esterno le pareti dell’edificio del significato. Se in precedenza è stato necessario introdurre il concetto dell’universo del significato, ora emerge per noi il nuovo concetto dello spazio del significato della parola, dell’edificio del senso spirituale, che viene costruito come sovrastruttura sul fondamento del senso storico. I gradi e le dimensioni della scienza medievale del significato conferiscono la loro prospettiva spirituale al mondo del creato, che nella parola si fa linguaggio. Il Medioevo, ritenuto privo di prospettiva, ha il proprio, congruo genere di prospettiva nella trasparenza spirituale dell’esistente. Essa si rivela allo sguardo che, staccandosi da ciò che è terreno, si leva a penetrare la realtà del significato spirituale del segno insito nelle creature. Essa è prospettiva nel senso più proprio, in quanto giunge all’invisibile attraverso il visibile e al significato attraverso il significante. Essa conduce dalle fondamenta alla volta, dal terreno al celeste. Sua essenza non è l'abbreviazione, bensì l'ampliamento nel sublime. Essa non relativizza da un punto di vista terreno, ma si volge all’assoluto, rende il creato trasparente sull’eterno. Essa non è di tipo fisiologico-visuale, ma teologico-spirituale e come tale determina l’arte del sublime. Ignorando le prospettive spirituali del mondo e dello spazio del significato, che danno la misura dei rapporti intercorrenti tra Dio e l'uomo, non possiamo aspettarci di comprendere la poesia che tale conoscenza presuppone. Ugo di San Vittore afferma che chi non trova modus e ordo legendi adeguati è come colui che, aggirandosi nel fitto del bosco, abbia smarrito la via e compia invano i suoi sforzi .
Se si prescinde dai pochi resti di forme pagane, la poesia tedesca, per citare solo questa, è per secoli, dal 770 circa al 1150 quasi esclusivamente e in seguito in notevole misura, poesia biblica. Per via del suo limitarsi al senso letterale della parola, alla moderna semantica, divenuta profana, si pongono dei confini nella comprensione di questa poesia. La lessicografia moderna, che interroga la parola soltanto circa il suo significato letterale, non è in grado di rendere accessibile il significato spirituale della parola. Anche la nostra moderna etimologia induce per lo più in errore, se ci accostiamo alla parola del Medioevo in vista del suo significato spirituale con i suoi metodi. Il Medioevo opera con un’etimologia speculativa, vicina alla teologia, utile al chiarimento del significato riposto nella parola. Laddove essa si spaccia per storica, viene nondimeno proiettata nel dato storico una dimensione speculativa e il compito principale consiste in una spiegazione del significato attraverso l'etimologia del genere fiorito per tutto l’arco del Medioevo a partire da Isidoro di Siviglia. Il suo interesse è solo in apparenza orientato in senso genetico, propriamente solo fin dove giova alla scienza del significato. La derivazione medievale della parola mors da amarus, o dal dio Marte, in quanto apportatore di morte, costituiva un’interpretazione possibile anche al mondo pagano, mentre la terza etimologia della parola è condizionata alla realtà cristiana, visto che fa derivare il termine dal morso della mela all’atto del peccato originale «a morsu primi hominis, qui vetitae arboris pomum mordens mortem incurrit» (PL, 177, 134 C). Sarebbe insensato farsi beffe, di siffatta etimologia bollandola di non scientificità, dal momento che essa ha concorso a far pervenire la sua epoca ad un’interpretazione profonda del significato della parola, essendo per l'appunto l’etimologia del tempo al servizio del chiarimento del significato spirituale della parola . Al Medioevo la nostra etimologia sarebbe apparsa discutibile, fermandosi essa al senso letterale e non offrendo alcuna dilucidazione sul significato del mondo e della vita. Il senso spirituale della parola, col suo universo di significati e il suo spazio significativo, contiene un’interpretazione in chiave di spiritualità cristiana e pertanto direttive per l’esistenza, come è dato già vedere nei versi mnemonici, sovente citati, che in termini concisi formulano per il principiante l'assunto dei quattro gradi del senso scritturale:
Littera gesta docet, quid credas allegoria,
Moralis quid agas, quo tendas anagogia.
Una storia dell’etimologia cristiana del Medioevo è ancora da scrivere. Il ricorso alla spiegazione etimologica del significato della parola, se non erro, va diminuendo nel Medioevo nella misura in cui acquistano prestigio le lingue nazionali, a causa dell’impossibilità di trasferire dal latino al volgare — come dimostra l'esempio di mors — il sostegno etimologico del significato; ovvero, tale operazione è possibile solo in casi eccezionali, quale è il luogo della Genesi di Vienna (603 s.) ove della creazione di Eva è detto: «maget sol si haben namen, want si fone manne ist genomen» . Se l’etimologia medievale, dunque, resta in prevalenza circoscritta ad una lingua, è nella natura dei significati insiti nelle cose, invece, che il senso spirituale della parola sia il medesimo in ogni lingua, dato che esso non procede dalla forma vocale del termine nelle varie lingue, bensi dal linguaggio delle cose che nella crea- zione si rivolge identico a tutti gli uomini — quel linguaggio che Alano di Lilla canta in un ritmo sulla rosa (PL, 210, 579 A):
Omnis mundi creatura
Quasi liber et pictura
Nobis est et speculum;
Nostrae vitae, nostrae mortis,
Nostri status, nostrae sortis
Fidele signaculum.
Nostrum statum pingit rosa,
Nostri statum decens glosa,
Nostrae vitae lectio.
Ad una riflessione teologica risulta che la confusione babelica delle lingue si perpetua solo a livello di significato letterale, mentre è annullata dal senso spirituale della parola, comune a tutte le lingue, che va attinto alle cose. Grazie ad esso tutte le lingue prendono parte al mistero della Pentecoste. Grazie ad esso sia le lingue sia i tempi storici sono elevati alla verità eterna, da cui si annuncia ogni elemento storico .
Rappresenta una necessità per tutti gli indirizzi disciplinari che si occupano di Medioevo — dalla filologia alle discipline artistiche e storiche sino alle scienze naturali — non rimettere esclusivamente alla teologia la problematica circa il senso spirituale del mondo del creato che diventa linguaggio nella parola, ma farla propria e renderla fruttuosa, ciascuno per il rispettivo campo di pertinenza — così come s'è iniziato a fare nella storia dell’arte e denota la ricerca simbolica degli storici (P.E. Schramm).
Il Medioevo ha prodotto non solo un’etimologia, ma anche una grammatica cristiana, che, per riprendere le parole usate da Smaragdo nel commentario a Donato redatto per volere di Carlo Magno, nel compimento doveva superare con lo spirito della verità quanto prefigurato nel mondo antico in modo indistinto, trasformare il paganorum ritus anche in questo campo in un sacrificium domini . Ma non è mio intento qui spianare la strada ad un giudizio storico, consono allo spirito del loro tempo, sull’etimologia e la grammatica cristiana del Medioevo (non nate dallo storicismo del XIX secolo) che potevano anche essere d’ausilio alla scienza del significato , quanto piuttosto attirare l’attenzione su un ambito di ricerca che a mio avviso riveste interesse maggiore.
Chi era abituato ad interrogare le cose circa il loro senso spirituale, poteva finire — così come si riferisce di Gregorio Nazianzeno — con l’assumere ad esercizio quotidiano di devozione quello di allegorizzare, nella meditazione, le cose del mondo comunemente sotto gli occhi. E che Bernardo di Chiaravalle dia alla predica degli alberi e delle pietre preminenza su quella dei libri, è da vedersi alla stessa stregua . Importa leggere il libro della creazione e interpretare meditando le sue lettere. Anche qui vale la parola: «Principium ergo doctrinae est in lectione, consummatio in meditatione» . L'essenza dell’edificazione religiosa risiede nella costruzione, operata nel raccoglimento, dello spazio del significato . L'esposizione biblica e la predica educano non soltanto quanti già edotti in campo religioso, ma anche coloro che sono toccati da questo annuncio attraverso i metodi che consentono di svelare il senso spirituale riposto nelle cose. Che nell'arco di secoli che va da Paolo ai Padri si sia riusciti ad innalzare alla luce del suo significato spirituale l’universo del mondo creato, per quel che appare nel lessico della Bibbia, è opera enorme, realizzata da una meditazione creativa, suscitata dallo spirito della Bibbia, rivolta alla natura e alle vie della salvezza. Nella tensione fra tradizione e libertà, durata secoli — a tratti allentata a tratti tangibile — che include il grave problema della modificazione di significato del senso spirituale della parola — così come si profila nel passaggio dal romanico al gotico con il processo di destoricizzazione e interiorizzazione mistica della religione — la continuità dell’interpretazione legata alla tradizione è talmente grande che si poté giungere ad una codificazione lessicografica del senso spirituale delle parole, laddove la storia di tale lessicografia non è meno vivace di quella dell’esegesi medievale .
Il Medioevo ha prodotto in ambiente e monastico e scolastico decine e decine di dizionari allegorici, che interpretando sistematicamente in ordine al suo significato spirituale il lessico della Bibbia — con naturale limitazione ai nomi comuni e propri e ai numeri — mediante la costruzione dell’edificio del significato o percorrendo l’intero suo universo, lo rendono traslucido sulla sua carica spirituale. Essi iniziano nel V secolo con le Formulae spiritualis intelligentiae di Eucherio di Lione , e ricevono prima dell’820 un vistoso ampliamento nella Clavis dello Pseudo-Melitone , divengono pit frequenti a partire dalla metà del XII secolo, mantenendosi come ausilio corrente per predicatori ed esegeti in una catena ininterrotta sino al XVIII secolo. Per lo pit ancora inediti (qualcosa si reperisce nel Migne), presi finora occasionalmente in esame quasi soltanto da parte teologica, ne sapremmo poco, se un secolo fa la stupefacente erudizione del cardinale Pitra non avesse aperto una breccia alla nostra conoscenza di tali materiali in occasione della sua edizione della Clavis, isolatamente allora e senza grande seguito ancor oggi. Accanto alle «Artes praedicandi» e alle istruzioni per la lettura della Sacra Scrittura, dal De institutione clericorum di Rabano Mauro (secondo la Doctrina christiana di Agostino) e l’Eruditio didascalica di Ugo di San Vittore (PL, 176, 739-838) sino alla Clavis di Flacius Illyricus nel XVI secolo, quanto è stato detto in precedenza sul significato spirituale della Scrittura si ricava in larga misura dai proemi di questi dizionari .
In base alla forma espositiva si distinguono tre tipi principali di interpretazione lessicografica del senso spirituale della parola. Una possibilità è che questi dizionari procedano nell’elencazione dei termini secondo la loro occorrenza in un determinato testo, innanzitutto il Salterio, come è nel caso delle raccolte di Distinctiones, note dall'inizio della Scolastica, che sono vicine all’esegesi progressiva del commentario biblico. Successivamente il XII secolo elaborerà, per esempio con Alano di Lilla, Pietro Cantore e lo Pseudo-Rabano, una nuova forma, meglio rispondente ai bisogni dei predicatori, che offre il lessico in ordine alfabetico e che prevale anche in seguito. Anteriore e legata nell'impostazione più ad una concezione ideale che non ad esigenze pratiche, è la terza forma di dizionario allegorico, che ordina il lessico per oggetto in una sorta di somma. Queste somme sono pit antiche e di tipo diverso da quelle scolastiche, essendo più vicine, anche cronologicamente, ai tentativi di un’ordinata registrazione ed interpretazione del mondo, come quello compiuto da Rabano Mauro nel De universo: ne è un esempio la Clavis. I suoi dodici libri offrono il lessico per materia: prima le parole per Dio, poi quelle per il Figlio. Seguono le cose che sono tra cielo e terra, dagli angeli alla rugiada, poi la terra con tutto quanto è ad essa relativo, e quindi l’uomo con le parti del suo corpo e le sue attività. I libri successivi, che trattano i metalli e gli arnesi che con essi si approntano, il mondo vegetale, gli uccelli e gli animali, ci fanno capire che il Physiologus, gli erbari, i trattati ornitologici e i lapidari del Medioevo sono da intendere, in base all’idea che li informa, alla stregua di lessici allegorici speciali, che tendono a diventare parti di simili dizionari universali o a distaccarsi da essi. Il libro seguente tratta dell’uomo come individuo sociale nell’ambito familiare e religioso, quello ancora successivo reca la soprascritta de civitate — intendendosi per città un organismo architettonico e sociale — ed è importante per la storia dell’arte per via dell’allegoresi architetturale. Il dodicesimo libro tratta del simbolismo numerico — come i molti trattati speciali de significatione numerorum. Il tredicesimo, infine, secondo l'esempio di Gerolamo, tratta i nomi geografici e storici.
Tra i dizionari ordinati alfabeticamente esiste, però, una forma mista che organizza il lessico distribuito nelle singole lettere dell’alfabeto di nuovo a mo’ di somma, vale a dire che sotto la A adduce dapprima le parole relative a Dio, per scendere, attraversando il cosmo delle cose che hanno l’iniziale A, a quelle che designano il diavolo. Ci offre un esempio di questo tipo la Rosa alphabetica di Pietro di Capua del 1200 circa, in cui, ad esempio, la serie delle parole con l’iniziale I si apre con iustitia e termina con infernus. Nell’organizzazione dei sin- goli lemmi dei dizionari prende nuovamente corpo l’idea della somma, dato che in base alla descrizione della cosa — che come tale può essere non soltanto bella, ma anche interessante a livello storico-culturale — viene di nuovo interamente percorso l’universo del significato della singola cosa, da Dio sino al diavolo — secondo il procedimento che abbiamo visto in nuce nei versi mnemonici sui significati di lapis.
Devo limitarmi qui alla sommaria indicazione del contenuto e al generico richiamo all’importanza che siffatti dizionari allegorici rivestono per tutte le discipline della medievistica. La gradiosità di concezione e la mirabile compattezza della scienza cristiana del significato della parola, incluse l’etimologia cui si fa ricorso nei dizionari e la relativa grammatica cristiana, è la straordinaria attestazione storica di una scienza che pervade il mondo di spiritualità. Essa non distoglierà il linguista moderno dal suo cammino, già tracciato in certe premesse storiche, ma lo potrà impressionare, e forse lo indurrà a riflettere, per esempio a proposito dell'ambito di validità spettante ad applicazioni al Medioevo della recente teoria del campo semantico, se si procede alla comparazione tra i principi medievali che presiedono all’organizzazione del lessico nella somma e principî moderni quali i progetti di sistemazione lessicografica di Hallig e Wartburg . Sono compiti della medievistica: 1) procedere ad un censimento dei dizionari allegorici; 2) allestire l'edizione almeno dei più importanti tra essi; 3) favorirne l’utilizzazione da parte di tutte le discipline, ciascuna per il proprio ambito di ricerca .
Al principio che il senso spirituale della parola individui la Bibbia rispetto all’intera letteratura profana e che a quest’ultima tale principio non sia applicabile, la teologia medievale — ad esempio Tommaso d'Aquino — s’è rigorosamente attenuta. Nella pratica, tuttavia, esso non s'è potuto osservare, in quanto il metodo allegorico dell’interpretazione testuale nel Medioevo — come d’altronde già nell’antichità — è stato altresì applicato a testi extrabiblici e pagani, come Omero, Virgilio e Ovidio, penetrando sin nelle lingue nazionali, come nell’Ovide moralisé. L’allegoresi della grotta dell'amore nel Tristan di Gottfried von Straßburg è il primo esempio di impiego del metodo interpretativo spirituale praticato da un poeta tedesco expressis verbis nel proprio testo profano. Dante ha descritto e usato il medesimo metodo nel Convivio, e nella epistola dedicatoria a Cangrande l’ha indicato come applicabile alla Divina Commedia, citando esempi per il Paradiso. Quando Chrétien de Troyes opera la distinzione tra materia e significato, dobbiamo ponderare se egli, al di là della distinzione tra soggetto e idea che vale per la sua opera, non abbia pensato con maggiore consapevolezza di quanto non si sia sin qui visto alla possibilità di interpretare secondo il loro senso anche motivi isolati dei suoi soggetti . A me, per esempio, solo attraverso i dizionari allegorici è riuscito di vedere nel leone che, dopo aver salvato Iwein dal drago, lo accompagna fedelmente, sì da fare di lui il cavaliere del leone, il diritto, nel cui nome e col cui ausilio l'eroe supera la sua prova di cavaliere . Del resto ciò si può ben cogliere nella lode rivolta a Hartmann von Aue da Gottfried von Straßburg (4621 ss.):
Hartman der Quwaere
ahi, wie der diu mere
beid ùzen unde innen
mit worten und mit sinnen
durchverwet und durchzieret!
wie er mit rede figieret
der aventiure meine!
[Hartmann von Aue, come colora e orna la narrazione, dentro e fuori, di parole e significati! Con quale eloquenza coglie il senso della storia!]
Se la conoscenza del metodo di dilucidazione della parola a livello spirituale è indispensabile per comprendere la poesia biblica del Medioevo, essa, con tutta la possibile cautela e la sensibilità necessaria ad accostarsi al fatto poetico, può essere messa a frutto anche per la poesia secolare. Ad una poesia biblica che scientemente si mantiene legata al senso storico, e alle leggende, ad essa affiancabili, che non conoscono allegoresi , dovremo giustapporre la poesia biblica allegorizzante quale prodotto letterario con istanze più alte . Laddove una poesia passa dalla semplice narrazione all’allegoresi, come la Genesi di Vienna, in ambito biblico, e il Tristan, in quello profano, dobbiamo chiederci della sua funzione poetica e del suo valore estetico. Che poeti medievali potessero riprendere tematiche straniere senza dover temere per le sorti della loro reputazione di poeti, come è nel caso — che si verifica accanto a numerosi altri — dei poeti tedeschi, i quali riprendono romanzi francesi continuando a lavorarvi per chiarirne il significato, va visto in rapporto al fatto che al Medioevo non interessa tanto inventare nuovi soggetti quanto dare loro una nuova interpretazione (differenza sostanziale, questa, rispetto alle aspettative che in tempi moderni si hanno nei confronti del poeta). Come la teologia si avvicina instancabile agli stessi testi per offrirne nuove interpretazioni creative, così fa la poesia con i pochi soggetti che sono stati inventati. Il chiarimento del significato delle storie esistenti, e sia pure, come nella teologia, attraverso il compiersi — in questo caso poetico — della modificazione storica del suo significato, riveste per il Medioevo pari dignità poetica della creazione di pochi grandi come Chrétien, il cui romanzo trova la sua ultima interpretazione creativa soltanto in Cervantes, allorché nella malinconia di chi con entusiasmo è diventato solo ha mostrato che in un mondo che non poteva più vedere nel cavaliere se non un amabile folle la sua vicenda è ormai conclusa.
Dal momento che Ebrei e Gentili rimasero fermi alla lettera mentre secondo Agostino è l’intelligenza spirituale che dona la salvezza al credente , una nuova estetica cristiana del Medioevo, grazie al procedimento allegorico nel quale si attuava il superamento del mondo antico, vide attribuita al mondo nuova bellezza. Di essa ha parlato Otfrid von Weißenburg, il primo poeta del sensus spiritualis in lingua tedesca, nel commentare il miracolo delle nozze di Cana. Egli interpreta il mutarsi dell’acqua in vino come il passaggio dal senso letterale della parola al riconoscimento del suo senso spirituale. La ristoratrice acqua di fonte della parola si muta in ottimo vino, se resa trasparente in ordine alla salvezza in essa riposta. In tale dilucidazione, e poi trasformazione, della parola Otfrid ha identificato il suo lavoro di poeta. Col risvegliare la lettera allo spirito, con lo scoprire il celato, coll’innalzare le ombre alla luce della conoscenza, col trasformare l’acqua in vino Otfrid vede conferita mediante Cristo una nuova bellezza (II, 10, 11, s.):
Deta er iz scénara al so zam,
(wir géum es némen wollen),
joh ziarara ouh so filu fram,
so win ist widar briinnen.
[Egli ha compiuto tutto ciò in maniera molto più grandiosa, come si conviene, e molto più squisita, come ci accorgeremo che è col vino rispetto all’acqua].
Conformemente all'esigenza del suo maestro Rabano Mauro in verbis verum amare, non verba, in Otfrid la bellezza della parola si manifesta non tanto nel suono che essa ha quanto nel suo significato spirituale. Ma il suono non deve essere indegno del senso spirituale. La bellezza formale della sua opera, umilmente curata, diventa visibile solo a colui in grado di comprendere anche il più profondo significato della forma, disponibile attraverso l’allegoresi verso la terminologia della poetica classica. Grazie ad Otfrid sappiamo che comporre poesia allegorica significa realizzare una nuova bellezza in forma significativa risvegliando la lettera allo spirito.
Lutero ha detto di sé che nel periodo in cui era stato monaco aveva allegorizzato qualsiasi cosa. Dopo di che era stata sua cura radere scripturam simplici sensu . Con ciò il Medioevo poté apparire giunto a conclusione. Tuttavia, seppure i libri di emblemi del Rinascimento che, saltando il Medioevo, attinsero direttamente al mondo antico, si affiancarono ai dizionari allegorici e parve scalzassero la loro impostazione cristiana: il Barocco ha nuovamente pervaso l’emblematica, rimasta viva fino a Winckelmann, dello spirito medievale dell’allegoria, come mostra il Mundus symbolicus di Filippo Piccinelli del XVII secolo . Tuttavia già in Leibniz è detto: «La natura intera è colma di miracoli, ma di miracoli della ragione» .
Solo quando l'osservazione autonoma della natura pose in forse l’immagine biblica del mondo e una storia divenuta profana, quella della salvezza, e si rinvenne una rivelazione nelle scoperte, e il senso fu rimesso ai sensi, e l’experientia Dei religiosa nel mondo fu spostata dall’'esperimento sino all’experimentum suae medietatis , solo allora insieme alle sette arti liberali scomparve anche il loro senso di rendere accessibile all'uomo il mondo in una interpretazione creativa che attingeva allo spirito. Le arti liberali divennero scienza esatta. L’inquietudine derivante dalla nuova conoscenza — di verità non più eterne, ma storiche — ha turbato la sacra gravità con cui nell’attività artistica si ricreava l’opera dei sei giorni chiarendo il suo senso nella meditazione e ha fatto vacillare il luminoso edificio della spiritualità delle cose. Ovunque s’infranse la comunanza dei popoli nel linguaggio pentecostale dell’allegoria, per il Medioevo scoccò l’ultima ora .