Dati bibliografici
Autore: Marie-Dominique Chenu
Tratto da: La teologia nel XII secolo
Editore: Jaca Book, Milano
Anno: 2016
Pagine: 210-213
A più riprese, nel corso della nostra analisi abbiamo notato la tendenza dei medioevali a volgere la metafora in allegoria; ogni legge del processo simbolico favoriva, si direbbe, questa propensione. Di fatto, l’allegoria ha, a poco a poco, completamente ricoperto i campi di espressione che abbiamo percorso: natura, storia, rito, come ha invaso tutti i generi letterari: commenti biblici, omelie, liturgie, formulari dogmatici, poesie, e gli stessi testi giuridici, profani e sacri. È la forma letteraria più universale. È anche, a distanza, l’elemento decisamente superato, dalle astrazioni personificate del De planctu Naturae alle esegesi del rituale levitico nei trattati sulla Legge antica.
Il compiacimento con cui un Bernardo Silvestre, un Alano di Lilla, un Chrétien di Troyes personificano le forze della natura, o le Virtù, o le Idee, o le Scienze, non fu solo l’effetto di un’imitazione dell'Antichità in cui questo genere aveva conosciuto un’enorme popolarità, da Prudenzio a Boezio, ma era anche l’espressione di un gusto personale, che tuttavia non rivalorizzava se non in modo molto, insufficiente gli antichi luoghi comuni.
Così, non moltiplicarono le applicazioni pluraliste della tropologia biblica per semplice fedeltà ai dottori dell’Antichità cristiana. Di fronte a un san Bernardo, che le animava della sua grazia, tanti altri invece le sistematizzavano, le estendevano, le materializzavano, le appesantivano, in rapporto alle fecondità creatrici di un Origene o, di un Agostino. Le Allegoriae di Isidoro le offrivano, pronte confezionate, in un repertorio.
Infine, nel culto liturgico, le azioni simboliche, primitivamente destinate a ri-presentare i misteri, sono considerate delle «spiegazioni», dettagliate e intellettualizzate, come si può osservare in particolare per il banchetto eucaristico. È peraltro abbastanza noto quale decadenza della liturgia venisse sanzionata da questa deviazione.
E non fu questo un eccesso occasionale, ma, al limite, incomprensione del carattere proprio della metafora come immagine, e, di qui, della differenza tra simbolo e allegoria. In certi casi, come in quello veramente più rappresentativo del Cantico dei Cantici, la compenetrazione dei due generi, o il passaggio continuo da un processo all’altro, era legittimo, e, d’altronde, fondato nella tradizione; ma la confusione doveva prodursi con l’ostentazione, istituzionalmente praticata, dell’allegoria. Mentre nella metafora, o nella parabola, si sviluppa un’immagine che, per mezzo della sua somiglianza dissimile, e dunque secondo il suo insieme, ci introduce all’intelligenza della realtà spirituale così figurata, l’allegoria è la descrizione analitica di un'idea a partire dagli elementi sminuzzati e astratti di un'immagine, di cui ogni dettaglio assume significato. Non è più tanto l’arca come. tipo della Chiesa ad essere presa in considerazione, ma ogni dettaglio, della sua costruzione, le sue travi, la sua forma, la sua lunghezza, e così via. Con i suoi sette colori, la pantera è figura del prete che si appresta al sacrificio, e che indossa i vestiti per il combattimento . Non è più la liberazione di san Pietro, come episodio evangelico nel’ suo complesso, ad essere la figura della liberazione dal peccato; ma vi sono anche i quattro secondini che rappresentano le quattro passioni, le due catene che sono l’abitudine e la disperazione, i suoi sandali che significano la perfezione, e la sua tunica la giustizia . La resurrezione di Lazzaro altro non è che l’occasione per descrivere i diversi atti del sacramento della penitenza, in cui l’uomo, all’inizio in stato di peccato mortale, si pente e poi, assolto, resuscita dopo tre giorni . E così via. «Non bisogna occuparsi del testo che per elevarsi all’allegoria», diceva un programma biblico , con un eccesso che sarà peraltro combattuto dai Vittorini. I personaggi allegorici si allegorizzano sempre di più: Alano di Lilla presenta Dama Natura più nei suoi tratti accessori, nei ricami dei suoi vestiti che rappresentano i diversi esseri, che nella sua grandezza cosmica; Chrétien di Troyes descrive la scienza di Érec delineando sul suo abito le quattro arti del quadrivium .
Simbolo, allegoria: il simbolismo promana da un’adesione del. nostro essere, e la sua chiarezza si nasconde, in qualche modo, nel corso dell’esperienza spirituale, all’interno delle stesse immagini, mediatrici del mistero; di qui, la loro intensità e il loro valore, anche, estetici. L’allegoria, invece, deriva, non da questa operazione estetica, allo stato puro, ma dal suo sfruttamento critico, per estrarne dei pensieri astratti e pervenire ad un’esposizione didattica. Al limite, la spiegazione ha sommerso il significato. «De causis et significationibus», diceva Onorio d’Autun, riunendo due valori diversi (titolo del suo Sacramentarium, sopra citato). Questo è il genere favorito dai nostri medioevali. Quanto, nei Padri, conservava una linfa vitale, anche quando il processo tropologico ricorreva a categorie elleniche o d’altro tipo, è divenuto, nel XII secolo, un procedimento tecnico, concettuale, astratto, svuotato di quella άναϒωϒή psicologica e religiosa di cui Dionigi aveva posto il fondamento metafisico.
Ciò non toglie che l’allegoria, come tale e nel suo luogo, sia un modo di espressione congenito per un’economia in cui il valore figurativo delle cose e degli eventi è una componente della sua storia santa. Il popolo di Dio, nell’antica alleanza, non prepara solamente la Chiesa, la prefigura; e la Chiesa terrena prepara e prefigura la Gerusalemme celeste. Le forme terrene della verità e della bellezza non sono, delle immagini fugaci, ma le analogie valide, intelligibili, analizzabili dell’inefabile bellezza e dell’unica verità. «Quanto i moderni, per esprimere la storia, cercano nella teoria dell’evoluzione, gli antichi lo domandavano al metodo allegorico. Fu l’espressione di un profetismo del progresso» (E. Caird).
Dopo tutto, l’allegoria è un genere letterario, di cui la critica riconosce le leggi. Dante ne sarà presto il geniale esemplare. «L’allegoria è per lui una delle forme più naturali e soddisfacenti della retorica, o, se si vuole, della poetica». Aveva ricevuto da Donato quest'idea feconda secondo cui ogni uomo intelligente che leggesse Virgilio dovesse ricercarvi un senso allegorico: un poema ha un doppio fine, diceva il Grammatico: delectatio, utilitas; è esattamente quanto propone tutta l’allegoria dantesca: diletto e ammaestramento (Convivio, 1, II, 17 e II, I, 3) . Pur non avendo il genio di Dante, i maestri del XII secolo, i poeti, ma anche i teologi, i liturgisti, i moralisti, mettevano in pratica questa dottrina e questo metodo.